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Monk se ne rese conto. «Antiproiettile.»

«Abbiamo dovuto installare sistemi di sicurezza aggiuntivi», confermò il curatore. «Troppi neonazisti cercavano di intrufolarsi qui dentro.» Il riflesso delle torce sul vetro nascondeva la posizione dell’uomo.

«Bastardo…» borbottò Monk.

Il gas cominciò a riempire i livelli più bassi. Aveva un odore dolciastro e stantio, ma un sapore pungente. Non era cianuro, quantomeno. Quello profumava di mandorle.

«Restate in piedi», disse Gray. «Tenete la testa alta e venite al centro della stanza, lontano dalle bocche di aerazione.»

Si raccolsero attorno al pozzo cerimoniale. Fiona gli prese la mano e la strinse forte. Poi sollevò l’altra mano: «Gli ho sgraffignato il portafogli, sempre che serva a qualcosa».

«Fantastico», ironizzò Monk. «Non potevi rubargli le chiavi?»

Ryan gridò, in tedesco: «Mio padre sa che siamo qui! Chiamerà la polizia!»

Gray dovette riconoscere che il giovane stava facendo del suo meglio.

Gli rispose una nuova voce, senza volto, dietro il riflesso nel vetro. «Temo che suo padre non chiamerà nessuno, mai più.» La frase non fu pronunciata in tono minaccioso, era una semplice constatazione.

Ryan fece un passo indietro, come se l’avessero colpito fisicamente. Lanciò un’occhiata a Gray, poi guardò di nuovo verso la porta.

Gray riconobbe quella voce. Anche Fiona. Gli strinse la mano ancora più forte. Era il compratore col tatuaggio, quello che avevano visto alla casa d’aste.

«Non potrete usare nessuno dei vostri trucchi questa volta», disse l’uomo. «Non avete scampo.»

Gray cominciava a sentirsi intontito. Scosse il capo, cercando di schiarirsi le idee. Quell’uomo aveva ragione, non potevano fuggire. Ma ciò non significava che fossero indifesi.

Sapere è potere.

Gray si voltò verso Monk. «Prendi l’accendino.»

Mentre l’amico obbediva, Gray estrasse dallo zaino il taccuino e lo gettò nel pozzo. «Monk, butta le fotocopie di Ryan; Fiona, la Bibbia, per favore.»

Obbedirono entrambi.

«Accendi», disse Gray.

Monk fece scattare l’accendino e appiccò il fuoco a una delle fotocopie appena fatte da Ryan, poi la gettò nel pozzo. In pochi secondi, si levarono fiamme e fumo. Sembrava persino che la colo

Sentì le persone al di là della porta borbottare qualcosa, senza distinguere le parole.

Gray sollevò la Bibbia di Darwin. «Soltanto noi conosciamo il segreto nascosto in questo libro!»

L’assassino dai capelli biondo platino, ancora invisibile dietro il vetro, rispose, vagamente divertito: «Il dottor Ulmstrom ha visto tutto ciò che volevamo sapere: la Menschrune. Ormai la Bibbia non ha più nessun valore per noi».

«Davvero?» Gray mostrò il libro, illuminandolo con la torcia. «Abbiamo mostrato a Ulmstrom soltanto ciò che Hugo Hirszfeld ha scritto sulla terza di copertina, ma non quello che ha scritto sul davanti!»

Ci fu un momento di silenzio, poi ancora qualche mormorio furtivo. A Gray sembrò di sentire la voce di una do

Ulmstrom pronunciò un chiaro nein ad alta voce, in tono difensivo.

Fiona incespicò accanto a Gray: le cedevano le ginocchia. Monk l’afferrò, tenendole la testa sollevata oltre il livello crescente del gas velenoso. Ma anche lui barcollava.

Gray non poteva più aspettare.

Spense la torcia per ottenere un effetto drammatico e lasciò cadere la Bibbia nel fuoco. Le vecchie pagine presero fuoco immediatamente, facendo divampare le fiamme. Un nuovo filo di fumo cominciò a fluire verso l’alto.

Gray fece un respiro profondo, mettendo tutta la convinzione possibile nella voce: doveva vendere bene quella menzogna. «Il segreto della Bibbia di Darwin morirà con noi!»

Aspettò, pregando che lo stratagemma funzionasse.





Un secondo… due…

Il gas continuava a salire. Ogni respiro era soffocato sul nascere.

Ryan crollò improvvisamente, come se qualcuno avesse tagliato i fili che lo tenevano in piedi. Monk cercò di afferrargli un braccio, ma cadde in ginocchio, appesantito da Fiona. Non si rialzò, anzi si accasciò, trascinando con sé la ragazza.

Gray fissava la porta scura. La torcia gli scivolò dalle dita ormai inerti, rotolando via. C’era ancora qualcuno là fuori?

Non l’avrebbe mai scoperto.

Il mondo scompariva lentamente, finché Gray non fu avvolto dall’oscurità.

Riserva di Hluhluwe-Umfolozi,

ore 17.30

A migliaia di chilometri di distanza, un altro uomo si risvegliò.

Il mondo ricomparve, in un marasma di dolore e di colori. Sbattendo le palpebre, aprì gli occhi, per ritrovarsi qualcosa che gli svolazzava sul viso: le ali di un uccello. Un canto gli riempì le orecchie.

«Si sveglia», disse qualcuno, in lingua zulù.

«Khamisi…» disse una voce di do

L’uomo impiegò qualche istante per collegare quel nome a se stesso. Sentì un lamento: era la sua voce.

«Aiutalo a mettersi seduto», disse la do

Khamisi si accorse che lo sollevavano e si ritrovò seduto, floscio, sostenuto da qualche cuscino. La vista si stabilizzò. La stanza, una casupola di mattoni di fango, era buia, ma dai bordi delle tende alle finestre e di un tappeto appeso alla porta penetravano dolorosi dardi di luce. Il soffitto era ornato con zucche colorate, trecce di cuoio e piume. La stanza era impregnata di odori strani e nauseanti. Gli fu sventolato sotto il naso qualcosa che puzzava di ammoniaca. Gettò la testa all’indietro e si agitò convulsamente. Si accorse che il braccio destro trascinava il tubo di una flebo. Aveva le braccia bloccate.

Da un lato, lo sciamano a torso nudo, con una corona di piume in testa, lo teneva fermo per una spalla. Era lui che cantava e che aveva sventolato un’ala essiccata di avvoltoio, per scacciare i mangiatori di morte.

Dall’altro lato, la dottoressa Paula Kane gli aveva preso il braccio e lo stava appoggiando sulla coperta.

Era nudo e il sudore gli aveva appiccicato la stoffa alla pelle. «Dove… cosa…»

«Acqua», ordinò Paula.

La terza persona nella stanza, un anziano zulù ingobbito, obbedì, passandole una borraccia ammaccata.

«Riesci a tenerla?» chiese la dottoressa.

Khamisi a

Il cuore cominciò a battergli più forte. Trascinandosi dietro il tubicino dell’endovenosa, si portò l’altra mano al collo. C’era una benda. Ricordava tutto quanto. La freccia, il mamba nero, la simulazione dell’attacco di un serpente.

«Cos’è successo?»

Il vecchio colmò le lacune della sua memoria. Era l’anziano che per primo aveva riferito di aver visto un ukufa nel parco, cinque mesi prima. All’epoca, non era stato preso sul serio, nemmeno da Khamisi. «Ho sentito quello è successo a signora dottoressa», disse, facendo un ce

Khamisi chiuse gli occhi. Era arrivato a casa, era stato punto e dato per morto. Ma i suoi aggressori non sapevano dell’uomo nascosto sul retro.

«Io vengo fuori», proseguì l’anziano. «Chiamo altri. In segreto, noi portiamo te via.»

Paula concluse il racconto: «Ti abbiamo portato qui. Il veleno ti ha quasi ucciso, ma la medicina, quella moderna e quella antica, ti ha salvato. Per un soffio».

Khamisi guardò la flebo e lo sciamano. «Grazie.»