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Si precipitarono in quella direzione.

Lisa notò che Boston Bob li seguiva, guardandosi le spalle, percependo l’autorità che emanava Paitner. O forse era il fucile d’assalto di Gunther. Il tedesco aveva caricato un’altra granata nel lanciarazzi. Era pronto a un ultimo atto di resistenza, mentre loro tentavano di inviare un appello via radio.

Ma, prima che potessero raggiungere la tenda, Painter gridò: «Giù!» e gettò a terra Lisa.

Tutti seguirono il suo esempio, anche se Josh dovette afferrare Boston Bob per le gambe per farlo cadere.

Un nuovo, strano rumore echeggiò tra le montagne. Painter scandagliò il cielo.

«Che cosa…» chiese Lisa.

«Aspetta», disse Painter, perplesso.

Poi, sopra la spalla del Lhotse, comparvero due jet militari, che solcavano il cielo a tutta velocità, tracciando scie parallele. Sputavano fuoco da sotto le ali.

Missili.

Ma il loro obiettivo non era la base. I jet sfrecciarono sulle loro teste con un rombo assordante e salirono rapidamente di quota.

I due elicotteri d’assalto ve

Painter si rimise in piedi, poi aiutò Lisa ad alzarsi. Gli altri fecero altrettanto.

Boston Bob si fece avanti, facendo il prepotente con Lisa. «Che diavolo era quel casino? Che merda ci hai scaricato addosso?»

Lisa fece per andarsene. Come le era venuto in mente di andare a letto con quel tipo, a Seattle? Era come se fosse stata un’altra do

«E non mi voltare le spalle, puttana!»

Lisa si girò, col pugno chiuso, ma non ce ne fu bisogno. Ci aveva già pensato Painter. Caricò il braccio e mollò un diretto in faccia a quell’uomo. Lisa sapeva che cos’era un colpo da KO, ma non ne aveva mai visto uno dal vivo. Boston Bob cadde all’indietro, dritto come un fuso, e si schiantò al suolo. Non si rialzò. Rimase lungo disteso, col naso rotto, privo di sensi.

Painter scrollò la mano, trasalendo.

Josh restò a guardare a bocca aperta, poi sorrise. «Ragazzi, è da una settimana che non vedevo l’ora di farlo.»

Prima che qualcuno potesse aggiungere qualcosa, un uomo dai capelli biondo-rossicci uscì dalla tenda. Indossava un’uniforme militare. Degli Stati Uniti.

Si avvicinò al gruppetto, posando lo sguardo su Painter. «Direttore Crowe?» chiese, con l’accento strascicato della Georgia, tendendo una mano.

Painter accettò la stretta di mano, con una smorfia di dolore per la pressione sulle nocche contuse.

«Logan Gregory le manda i suoi saluti, signore.» Con un ce

«Meglio tardi che mai.»

«Lo abbiamo in linea. Se mi vuole seguire.»

Painter accompagnò l’ufficiale dell’Air Force, il maggiore Brooks, verso la tenda. Lisa cercò di seguirli, assieme ad A

«Torno subito», li rassicurò Painter, entrando nella tenda.

All’interno c’era un vasto assortimento di apparecchiature. Un radiotelegrafista si allontanò da una stazione per le telecomunicazioni satellitari e Painter prese il suo posto.

«Logan?»

La voce gli giunse chiara. «Direttore Crowe, è meraviglioso sentire che sta bene.»

«Penso di dover ringraziare lei per questo.»

«Abbiamo ricevuto il suo SOS.»

Perciò il suo messaggio era arrivato a destinazione. Per fortuna il segnale GPS era stato inviato prima che l’amplificatore sovraccarico esplodesse. Evidentemente era stato sufficiente per consentire la loro localizzazione.

«Abbiamo dovuto lavorare alla svelta per attivare la sorveglianza e coordinarci con l’esercito reale nepalese», spiegò Logan. «E comunque ce l’abbiamo fatta per un soffio.»

Ovviamente Logan aveva monitorato l’intera situazione via satellite, forse già dal momento in cui erano fuggiti dal castello.





Ma i dettagli potevano attendere, Painter aveva preoccupazioni più importanti. «Logan, prima che faccia un rapporto completo, ho bisogno che lei avvii una ricerca. Le faxerò un simbolo, un tatuaggio.» Painter mimò il gesto di scrivere su un blocco, rivolgendosi al maggiore Brooks. Gli furono portati carta e pe

«Mi metto subito al lavoro.»

Completato uno schizzo approssimativo del tatuaggio a forma di quadrifoglio, Painter lo passò al radiotelegrafista.

Mentre il fax veniva trasmesso, Painter riferì in breve che cosa era accaduto. Fu grato a Logan perché non lo interruppe per fare domande.

«Il fax è già arrivato?» chiese Painter dopo qualche minuto.

«Lo sto prendendo in mano in questo momento.»

«Perfetto. Questa ricerca ha la massima priorità.»

Seguì una lunga pausa. Painter pensò che avessero perso il segnale, poi Logan ricominciò a parlare, esitante, confuso. «Signore…»

«Che c’è?»

«Conosco questo simbolo. Grayson Pierce me l’ha mandato otto ore fa.»

«Come?»

Logan riferì gli eventi di Copenhagen. Painter faceva fatica a dare un senso a tutto quanto. Conclusa la fuga, l’adrenalina stava svanendo e il dolore martellante alla testa lo confondeva e lo deconcentrava. Si sforzò di mettere assieme i pezzi del puzzle. Gli stessi assassini erano alle costole di Gray, So

Painter chiuse gli occhi. Il mal di testa peggiorò ulteriormente. Gli attentati in Europa confermavano ancora una volta che era in atto qualcosa di grosso. E forse che il piano stava per arrivare a compimento.

Ma quale?

Avevano soltanto un punto di partenza, un unico indizio. «Quel simbolo deve essere importante. Dobbiamo scoprire a chi appartiene.»

Logan rispose, in tono asciutto: «Forse ho la risposta».

«Come? Di già?»

«Ho avuto otto ore, signore.»

Giusto. Painter scosse la testa. Diede un’occhiata alla pe

Painter sapeva bene cosa significava.

Il tempo stringeva.

Logan spiegò ciò che aveva scoperto. Painter lo interruppe: «Ha già dato queste informazioni a Gray?»

«Non ancora, signore. Abbiamo difficoltà a raggiungerlo in questo momento.»

«Si metta in contatto con lui, subito. Gray non ha idea di chi ha di fronte.»

Wewelsburg, Germania,

ore 09.50

La cripta s’illuminò: Monk aveva acceso una torcia. Gray cercò la propria nello zaino, l’accese e la puntò verso l’alto. Lungo il bordo della cupola c’erano piccole bocche di aerazione. Ne sgorgava un gas verdognolo, più pesante dell’aria, creando cascate di fumo. Le bocche di aerazione erano troppo in alto e troppo numerose per poterle bloccare.

Fiona gli si avvicinò. Ryan era dal lato opposto del pozzo, con le braccia strette al petto, incredulo.

Un movimento attirò l’attenzione di Gray. Monk aveva estratto la sua Glock da 9mm e l’aveva puntata alla porta a vetri.

«No!» gridò Gray.

Troppo tardi. Monk aveva già premuto il grilletto.

Il colpo di pistola echeggiò nella stanza, accompagnato da un acuto ping: il proiettile rimbalzò sul vetro e colpì una delle bocche di aerazione d’acciaio, facendo scoccare una scintilla. Perlomeno il gas non sembrava infiammabile. Quella scintilla avrebbe potuto farli fuori tutti.