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«Da dove proviene il segnale?» chiese A

La do

Avvicinandosi allo schermo del laptop, Painter si massaggiò i polpastrelli. Sentiva un formicolio insistente sotto le unghie. Smise di sfregarsi le dita per il tempo necessario a indicare lo schema tridimensionale del castello. «La stima migliore è che provenga da questa zona», disse, toccando un punto sullo schermo. Aveva constatato con sorpresa quanto il castello si estendesse nella montagna. Era scavato nella roccia fino alla vetta. Il segnale proveniva dal versante opposto. «Ma non è un punto preciso. Il sabotatore ha bisogno di un’esposizione diretta per usare il telefono satellitare.»

«C’è l’eliporto, laggiù», disse A

Gunther a

A

Gunther si precipitò verso un telefono e diede inizio al blocco. Il piano era perquisire chiunque si trovasse nelle vicinanze del segnale e scoprire chi fosse in possesso di un telefono satellitare illecito.

A

«Potrei esservi ancora utile», replicò Painter, che non aveva smesso di battere sulla tastiera del laptop. Memorizzò il numero apparso sullo schermo, poi scollegò l’amplificatore di segnale che aveva costruito. «Ma mi servirà uno dei vostri telefoni satellitari portatili.»

«Non posso lasciarla qui con un telefono», ribatté A

«Non c’è bisogno che mi lasciate qui. Vengo con voi all’eliporto.»

Gunther fece un passo avanti, assumendo un’espressione ancora più accigliata del solito.

A

Lei fece strada.

Painter la seguì, continuando a massaggiarsi le dita. Le unghie avevano cominciato a bruciare. Le osservò con attenzione per la prima volta, aspettandosi di trovarle infiammate, ma erano stranamente sbiancate, scolorite.

Un principio di congelamento?

Gunther gli passò uno dei telefoni del castello, notò lo sguardo di Painter e scosse la testa. Allungò una mano. Dapprima Painter non capì, ma poi si accorse che all’uomo mancavano le unghie delle ultime tre dita.

Gunther riabbassò il braccio e s’incamminò al seguito di A

Painter chiuse le mani a pugno e le riaprì. Quel bruciore, quel formicolio, non erano dovuti al congelamento. La malattia quantica stava progredendo. Ricordò l’elenco degli effetti debilitanti riscontrati fra i soggetti degli esperimenti con la Campana: perdita delle dita delle mani, delle orecchie, delle dita dei piedi. Non molto diverso dalla lebbra.

Quanto tempo, ancora?

Mentre si dirigevano verso l’altro versante della montagna, Painter studiò Gunther. L’uomo aveva vissuto tutta la vita con una spada di Damocle sopra la testa: deperimento cronico e progressivo, seguito da follia. Painter stava andando incontro alla versione abbreviata della stessa malattia. Non poteva negare di esserne terrorizzato. Non tanto per il deperimento fisico, ma per la perdita delle facoltà mentali.

Quanto tempo gli rimaneva?

Gunther doveva aver intuito i suoi pensieri. «Non permetterò che tutto questo accada ad A

In fondo erano fratello e sorella. Solo dopo averlo saputo, Painter aveva notato le elusive somiglianze nei lineamenti: la curvatura delle labbra, il mento scolpito allo stesso modo, un’identica espressione accigliata. Ma le somiglianze terminavano lì. I capelli scuri di A





Mentre percorrevano corridoi e scendevano scale, Painter staccò il coperchio posteriore dal telefono portatile. Estrasse la batteria e fece un collegamento di fortuna tra l’amplificatore e il filo dell’ante

«Che cos’è quello?» chiese Gunther.

«L’amplificatore ha registrato i dati del chip del telefono del sabotatore, durante la chiamata. Forse riesco a usarli per trovarlo, se è qui vicino.»

Gunther grugnì, bevendosi quella frottola.

Fin lì tutto bene.

Le scale terminavano in un’ampia galleria, abbastanza larga da poterci far passare un carro armato. Il pavimento era percorso da vecchi binari d’acciaio che s’inoltravano nel cuore della montagna. L’eliporto era situato all’altra estremità. Montarono su una vettura col pianale piatto. Gunther rilasciò il freno a mano e azionò il motore elettrico spingendo un pedale.

Painter si te

«Per trasportare merci», rispose A

Superarono una serie di magazzini pieni di barili, scatoloni e casse, evidentemente trasportati lì per via aerea. Dopo un minuto raggiunsero la fine della galleria. L’aria era più calda, vaporosa, e c’era un vago odore di zolfo. Sceso dalla vettura, Painter sentì nelle gambe una vibrazione profonda e sonora che risaliva dal pavimento. Ricordava di aver visto nella piantina del castello che la centrale geotermica era situata nei sotterranei di quell’area.

Loro, comunque, non sarebbero scesi, ma risaliti in superficie lungo una rampa molto ampia. Giunsero in un locale in cui si riversava la luce proveniente da due portelloni d’acciaio aperti nel soffitto. Sembrava il magazzino di un aeroporto commerciale: casse, carrelli elevatori, macchinari pesanti e, al centro, un paio di elicotteri A-Star Ecuriel, uno nero e uno bianco, entrambi somiglianti a calabroni.

Klaus, il gigantesco So

«Non vi è sfuggito nessuno?» chiese A

«Nein, eravamo pronti.»

A

A

Inciampò. Subito Gunther l’afferrò per un braccio, aiutandola a riprendere l’equilibrio, preoccupato.

«Sto bene», gli sussurrò lei, proseguendo da sola.

«Abbiamo perquisito tutti quanti», disse Klaus, facendo del suo meglio per ignorare il passo falso di A

A

O forse Painter aveva sbagliato i suoi calcoli. Nel qual caso avrebbe dovuto riscattarsi.