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Incollò l’etichetta sulla fiala che avvolse con cura in un pezzo di carta.

Ora.

— C’è un altro modo di entrare nell’Università. — Rivolse di sottecchi un’occhiata a Esk, che stava svogliatamente pestando delle erbe in un mortaio. — Un modo da strega.

Esk alzò gli occhi. La No

— Ma non mi aspetto che ti interessi — continuò. — Non è molto sensazionale.

— Ha

— Già. Lo hai detto. Così non desideri riprovarci. Lo capisco benissimo.

Seguì un silenzio rotto soltanto dallo scricchiolio della pe

Alla fine Esk disse: — E questo modo…

— Uhm?

— Mi farà entrare all’Università?

— Naturale — affermò altera la vecchia. — Ho detto che avrei trovato un modo, no? Anzi, un modo eccellente. Non dovrai a

— Prego, un’altra tazza di tè, signora Weatherwax? — le offrì la signora Whitlow.

— Tre zollette di zucchero, per piacere — rispose la No

L’altra spinse la tazza verso di lei. Sebbene aspettasse con impazienza le visite della No

— Fa molto male alla figura — osservò. — E ai denti, così dicono.

— Non ho mai avuto una figura di cui preoccuparmi e i miei denti ci pensano da sé. — Era vero, purtroppo. La No





Si accorse che la governante stava parlando con voce flautata, e fece: — Uhm?

— Ho detto — riprese la signora Whitlow — che la giovane Eskarina è un vero tesoro. Proprio un tesoruccio. Tiene i pavimenti immacolati, immacolati. Nessun compito è troppo grande. Le ho detto ieri, le ho detto: "quella tua scopa potrebbe avere una vita propria" e sai che cosa ha risposto?

— Non posso nemmeno immaginarlo — disse debolmente la No

— Ha detto che la polvere ne aveva paura! Ci crederesti?

— Sì.

La signora Whitlow spinse verso di lei la tazza di tè con un sorriso imbarazzato.

Dentro di sé, la No

La scopa si spostava rapida per il corridoio alzando una grande nuvola di polvere che, se osservata attentamente, pareva essere risucchiata nel manico. A guardare ancora meglio, si sarebbe notato che esso presentava degli strani segni, non delle vere e proprie incisioni, che stranamente cambiavano forma sotto gli occhi.

Ma nessuno guardava. Seduta nella strombatura di una delle alte finestre, Esk contemplava la città. Era più arrabbiata del solito, così la scopa attaccava la polvere con insolito vigore. I ragni facevano dei balzi disperati sulle loro otto zampe in cerca di un rifugio, via via che ragnatele ancestrali sparivano nel vuoto. Sui muri i topi si stringevano l’uno all’altro, puntando le zampe dentro le loro tane. I tarli cercavano d’infilarsi nelle travi del soffitto mentre erano tirati indietro, inesorabilmente, lungo le loro gallerie.

— Sei veramente capace di fare le pulizie — esclamò ad alta voce. — Uh!

Doveva riconoscere, però, che c’erano dei vantaggi. Il cibo era semplice ma abbondante, e disponeva di una stanza sua da qualche parte sottotetto. E per lei era un lusso, perché poteva restare a letto fino alle cinque del mattino, cioè praticamente mezzogiorno per il modo di pensare della No

Ma dell’arte della magia Esk non apprendeva nulla. Poteva entrare nelle classi vuote ed esaminare i diagrammi tracciati con il gesso sulla lavagna e, nelle classi più avanzate, sul pavimento. Ma le forme non avevano per lei alcun significato. Ed erano sgradevoli.

A Esk ricordavano le figure nel libro di Simon. Sembravano vive.

Guardando i tetti di Ankh-Morpork, andava ragionando tra sé e sé: La scrittura erano solo le parole pronunciate dalle persone, compresse tra fogli di carta finché erano fossilizzate. (Nel mondo-Disco i fossili erano ben noti, grandi conchiglie a spirale e creature malformate rimaste dai tempi in cui il Creatore non aveva ancora deciso ciò che voleva fare e, diciamo, si trastullava pigramente con il Pleistocene). E le parole pronunciate dalle persone erano soltanto ombre delle cose reali. Ma certe cose erano troppo grosse per essere davvero intrappolate nelle parole e anche le parole erano troppo potenti per essere completamente domate dalla scrittura.

Così, ne conseguiva che certi scritti cercavano di trasformarsi in cose. A questo punto, i pensieri di Esk si facevano confusi. Ma era certa che le parole realmente magiche erano quelle che battevano con forza nel tentativo di sfuggire e diventare reali.

Il loro aspetto non era precisamente gradevole.

Ma poi si ricordò del giorno precedente.

Era successo un fatto piuttosto strano. Le classi dell’Università erano state progettate a forma d’imbuto: le file dei sedili (resi lucidi dai deretani dei più grandi maghi del Disco) guardavano giù a una zona centrale dove c’erano un banco da lavoro, un paio di lavagne e sul pavimento uno spazio abbastanza grande da contenere un ottogramma educativo di buone proporzioni. Lo spazio, sotto le fila dei sedili, era vuoto ed Esk lo aveva trovato un eccellente posto di osservazione, dal quale poteva guardare l’insegnante sbirciando attraverso le calzature a punta degli apprendisti maghi. Stare lì era molto riposante, mentre su di lei aleggiava la voce monotona dei conferenzieri, simile al ronzio delle api leggermente ebbre nello speciale giardino delle erbe della No

Ma il giorno prima era stato differente. Esk sedeva nella semioscurità polverosa e si sforzava di fare almeno una magia molto semplice. In quel momento aveva udito la porta aprirsi e un rumore di passi sul pavimento. Già questo era sorprendente. Esk conosceva gli orari e gli studenti del Secondo A