Добавить в цитаты Настройки чтения

Страница 34 из 49

L’immagine sbiadì, e rimase soltanto l’abbacinante disco del sole meridiano riflesso nell’acqua del barile.

—  Là — disse Sparviero, e rivolse ad Arren uno sguardo strano e ironico, — là, se mai potessi ritornarvi, neppure tu potresti seguirmi.

Davanti a loro c’era la terra, bassa e azzurra nel pomeriggio come un banco di nebbia. — È Selidor? — chiese Arren, e il suo cuore batté più rapido; ma il mago rispose: — Obb, credo, o Jessage. Non siamo ancora a metà strada, ragazzo.

Quella notte attraversarono lo stretto fra le due isole. Non videro neppure una luce, ma nell’aria c’era un odore di fumo, così pesante da bruciare i polmoni. Quando ve

—  Ha

—  Sì. E i villaggi. Ho già sentito l’odore di quel fumo.

—  Sono selvaggi, qui in occidente?

Sparviero scosse la testa. — Contadini; cittadini.

Arren fissò la nera terra devastata e gli scarni alberi dei frutteti contro lo sfondo del cielo; e il suo volto era duro. — Che male gli ha

—  Non ha

—  E tutto questo è opera di un uomo solo, quello di cui ha parlato il drago? Non mi sembra possibile.

—  Perché no? Se ci fosse un Re delle Isole, sarebbe un uomo solo. E regnerebbe. Un uomo può distruggere con la stessa facilità con cui può governare: può essere re o antiré.

Nella voce di Sparviero c’era di nuovo quel tono di sarcasmo o di sfida che irritava Arren.

—  Un re ha servi, soldati, messaggeri, luogotenenti. Governa per mezzo dei suoi servitori. Dove sono i servitori di questo… antiré?

—  Nelle nostre menti, ragazzo. Nelle nostre menti. Il traditore è l’io: l’io che grida Voglio vivere; bruci pure il mondo, purché io viva! La piccola anima traditrice dentro di noi, nell’oscurità, come il verme nella mela. Lui parla a tutti noi. Ma soltanto alcuni lo comprendono. I maghi e gli incantatori. I cantori, i creatori. E gli eroi, coloro che cercano di essere se stessi. E essere se stessi è una cosa rara e grande. Essere se stessi per sempre: non è ancora meglio?

Arren guardò in faccia Sparviero. — Tu mi diresti che non è meglio. Ma spiegami il perché. Ero un bambino quando ho incominciato questo viaggio, un bambino che non credeva nella morte. Tu mi ritieni ancora un bambino, ma ho imparato qualcosa; forse non molto, ma qualcosa; ho imparato che la morte esiste e che dovrò morire. Ma non ho imparato a rallegrarmi di questa certezza, ad accogliere con gioia la mia morte o la tua. Se amo la vita, non devo odiarne la fine? Perché non dovrei desiderare l’immortalità?





Il maestro di scherma di Arren, a Berila, era stato un uomo sulla sessantina, basso e calvo e freddo. Arren l’aveva detestato per a

—  Perché non dovresti desiderare l’immortalità? Come potresti non desiderarla? Ogni anima vi aspira, e la sua salute è nella forza del desiderio… Ma sta’ in guardia: tu sei uno che potrebbe realizzare quell’aspirazione.

—  E allora?

—  E allora, ecco: un falso re che governa, le arti dell’uomo dimenticate, il cantore ammutolito, l’occhio cieco. Questo! Questa desolazione e questa pestilenza sulle terre, questa piaga che stiamo cercando di risanare. Sono due le cose, Arren, due le cose che ne fa

—  Se ne dipendono tante cose, mio signore, se la vita di un uomo può bastare a rovinare l’Equilibrio del Tutto, senza dubbio non è possibile… non sarebbe permesso… — Arren s’interruppe, confuso.

—  Chi permette? Chi proibisce?

—  Non lo so.

—  Neppure io. Ma so quanto male può fare un uomo, una vita. Lo so fin troppo bene. Lo so perché io l’ho fatto. Ho compiuto lo stesso male, la stessa follia dell’orgoglio. Ho aperto la porta tra i mondi, l’ho socchiusa appena, solo per mostrare che ero più forte della morte… Ero giovane, e non avevo incontrato la morte… come te… Fu necessaria la forza dell’arcimago Nemmerle, e chiudere quella porta gli costò la maestria e la vita. Puoi vedere sulla mia faccia il segno che lasciò su di me quella notte: ma uccise Nemmerle. Oh, la porta tra la luce e la tenebra si può aprire, Arren: occorre molta forza, ma si può fare. Quanto a richiuderla… è tutta un’altra storia.

—  Ma, mio signore, ciò di cui stai parlando non è sicuramente molto diverso da questo…

—  Perché? Perché io sono un uomo buono? — La freddezza dell’acciaio, dell’occhio del falco, era riapparsa nello sguardo di Sparviero. — Cos’è un uomo buono, Arren? È un uomo buono colui che non farebbe il male, che non aprirebbe la porta verso la tenebra, che non ha la tenebra dentro di sé? Guarda ancora, ragazzo. Guarda un poco più avanti: avrai bisogno di ciò che impari, per andare dove dobbiamo andare. Guarda in te stesso! Non hai udito una voce dire Vieni? Non l’hai seguita?

—  Sì. Io… non ho dimenticato. Ma pensavo… pensavo che quella voce fosse… la sua.

—  Sì, era la sua. Ed era la tua. Come poteva parlarti, attraverso i mari, se non con la tua voce? Perché chiama coloro che sa

—  Quindi io sono il suo servitore — disse Arren.

—  Lo sei. E io sono il tuo.

—  Ma chi è, dunque? Che cos’è?

—  Un uomo, credo… come te e me.

—  L’uomo di cui hai parlato una volta… il mago di Havnor che evocava i morti? È lui?

—  Può darsi. Aveva un grande potere, ed era votato alla negazione della morte. E conosceva i grandi incantesimi della tradizione di Paln. Io ero giovane e sciocco quando usai quella scienza, e attirai su di me la rovina. Ma se la usasse un uomo vecchio e forte, noncurante delle conseguenze, potrebbe attirare la rovina su tutti noi.