Добавить в цитаты Настройки чтения

Страница 1 из 49

Ursula Le Guin

La spiaggia più lontana

L’ALBERO DI ROWAN

Nel Cortile della Fontana il sole di marzo splendeva attraverso le giovani fronde dei frassini e degli olmi, e l’acqua zampillava e ricadeva nell’ombra e nella luce chiara. Il cortile scoperto era cinto da quattro alti muri di pietra. E oltre quei muri c’erano stanze e cortili, passaggi, corridoi, torri, e poi le mura di cinta della Grande Casa di Roke, capaci di resistere all’assalto della guerra o del terremoto o dello stesso mare, poiché erano costruite non solo di pietra ma anche di magia invincibile. Perché Roke è l’Isola dei Saggi, e vi viene insegnata l’arte magica; e la Grande Casa è la scuola e il centro della magia; è il luogo centrale della Casa è quel piccolo cortile, racchiuso tra i muri, dove zampilla la fontana e gli alberi sta

L’albero più vicino alla fontana, un rowan poderoso, aveva aggobbito e screpolato la pavimentazione di marmo con le sue radici. Vene di muschio verde-vivo colmavano quelle crepe, diffondendosi dall’area erbosa intorno alla vasca. C’era un ragazzo, seduto lì su quella bassa gibbosità di marmo e di muschio, e seguiva con lo sguardo la caduta dello zampillo centrale della fontana. Era quasi un uomo, e tuttavia era ancora un ragazzo; snello, e vestito riccamente. Il suo volto sembrava fuso nel bronzo dorato, tanto era ben modellato e immobile.

Dietro di lui, a una quindicina di passi di distanza, sotto gli alberi all’estremità opposta del prato centrale, stava ritto un uomo: o almeno, tale appariva. Era difficile esserne certi, in quel mutevole fremito di ombre e di calda luce. Senza dubbio era presente: un uomo biancovestito, ritto e immobile. Mentre il ragazzo guardava la fontana, l’uomo guardava il ragazzo. Non c’erano suoni o movimenti: solo il gioco delle fronde e il gioco dell’acqua, e il suo canto incessante.

L’uomo avanzò. Un refolo di vento scosse l’albero di rowan, agitando le foglie appena dischiuse. Il ragazzo balzò in piedi, agile e sorpreso. Si voltò verso l’uomo e s’inchinò. — Mio signore arcimago — disse.

L’uomo si fermò davanti a lui: una figura non troppo alta, eretta, vigorosa, in un manto di lana bianca con cappuccio. Al di sopra delle pieghe del cappuccio abbassato, il suo volto grifagno, bruno-rossicico, con una guancia sfigurata da vecchie cicatrici. Gli occhi erano vividi e ardenti, fierissimi. Tuttavia parlò in tono gentile. — È un luogo piacevole per sostare, il Cortile della Fontana — disse; e poi, prevenendo le parole di scusa del ragazzo: — Tu hai compiuto un lungo viaggio e non hai riposato. Torna a sederti.

S’inginocchiò sul candido bordo della vasca e protese la mano verso il cerchio di gocce scintillanti che cadevano dalla conca più alta della fontana, lasciandosi scorrere l’acqua tra le dita. Il ragazzo si sedette di nuovo sulle piastrelle aggobbite, e per un attimo nessuno dei due parlò.

—  Tu sei il figlio del principe di Enlad e delle Enlades — disse l’arcimago, — erede del principato di Morred. Non esiste un’eredità più antica, in tutto Earthsea, né più bella. Ho visto i frutteti di Enlad in primavera e gli aurei tetti di Berila… Come ti chiami?

—  Mi chiamo Arren.

—  Dev’essere una parola del dialetto della tua terra. Cosa significa, nella nostra lingua comune?

Il ragazzo disse: — Spada.

L’arcimago a

L’uomo scosse il capo, guardando la fontana.





—  E tutti i nomi…

—  Tutti i nomi? Soltanto Segoy, che pronunciò la Prima Parola facendo sorgere tutte le isole dal profondo del mare, conosceva tutti i nomi. — Lo sguardo vivido e ardente si fissò sul volto di Arren. — Certo, se mi fosse necessario conoscere il tuo nome lo conoscerei. Ma non è necessario. Ti chiamerò Arren; e io sono Sparviero. Dimmi, com’è stato il viaggio che ti ha condotto qui?

—  Troppo lungo.

—  I venti erano contrari?

—  I venti erano propizi, mio signore Sparviero, ma le notizie che porto sono nefaste.

—  E allora dille — invitò in tono grave l’arcimago, ma come se accondiscendesse all’impazienza di un bambino; e mentre Arren parlava, guardò ancora il velo cristallino di gocciole d’acqua che cadevano dalla vasca superiore a quella inferiore, non già come se non ascoltasse ma come se ascoltasse qualcosa di più delle parole del ragazzo.

—  Tu sai, mio signore, che il principe mio padre è un mago, poiché appartiene alla stirpe di Morred e in gioventù ha trascorso un a

—  Il capitano ha detto che sull’isola di Narveduen, situata all’incirca a cinquecento miglia da noi, verso occidente, sulle rotte delle navi, non c’è più magia. Gli incantesimi non vi avevano potere, ha detto, e le parole dell’arte erano state dimenticate. Mio padre ha chiesto se tutti gli incantatori e le streghe avevano abbandonato l’isola, e quello ha risposto di no: c’erano alcuni che erano stati incantatori, ma non gettavano più sortilegi, neppure i più modesti, per riparare le brocche o ritrovare un ago perduto. E mio padre ha domandato se la popolazione di Narveduen non era sconfortata. E il capitano ha risposto nuovamente di no: sembrava che non se ne curassero. E in verità, ha riferito, tra loro c’erano molte infermità, e il raccolto autu

«Poi, nell’A