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— Io ho un’idea migliore. Metti la parola fine al giorno dell’ultima battaglia. Da allora in poi non ho fatto nulla che meriti d’esser messo per iscritto.

— Forse farò così — disse Valentine. — E forse no.

L’ansible aveva riferito che l’astronave dei nuovi coloni era ancora a un a

Fu il mattino del terzo giorno che, d’improvviso, Ender cominciò ad avere la spiacevole sensazione d’essere già stato in quel posto. Si guardò attorno: era una nuova terra, del tutto sconosciuta ai suoi occhi. Si volse a chiamare Abra.

— Ehi, Ender! — rispose il ragazzino agitando le braccia. Era sulla cima di una piccola altura cespugliosa. — Vieni a vedere!

Ender si avviò su per il pendio, sprofondando con gli stivali nel terreno molle e fangoso. Abra gli stava indicando qualcosa più in basso, dalla parte opposta. — Guarda qui. Ci avresti creduto?

La collinetta era spaccata in due. Nel mezzo c’era una profonda depressione che l’allargava in una caverna oscura, sul cui fondo stagnava l’acqua, e le pareti apparivano concave, stranamente regolari. A sud l’altura si abbassava e si separava in due costoni, che l’allargavano a V; a nord invece campeggiava un enorme blocco di roccia bianca, simile al cranio di uno scheletro sogghignante, nella cui bocca aveva messo radici un albero.

— È come se un gigante fosse caduto morto qui — disse Abra, — e la terra si fosse ammucchiata sulla sua carcassa.

Adesso Ender sapeva perché quell’immagine gli era entrata dritta nel subconscio. Il corpo del Gigante. Da bambino aveva giocato lì troppe volte per non riconoscere il posto. Ma questo era impossibile. Il computer della Scuola di Guerra non avrebbe mai potuto disporre di dati relativi a quel pianeta. Si portò il binocolo agli occhi e d’istinto scrutò verso est, già tremando all’incredibile sospetto di ciò che avrebbe potuto vedere sullo sfondo dei boschi.

E là, sulla riva di un ruscello, altalene e piccole giostre, un toboga. Il tutto arrugginito e sepolto fra le erbacce, ma non c’era possibilità di sbagliarsi sulle forme di quegli oggetti.

— Qualcuno deve aver costruito, dentro questa collinetta — disse Abra. — Guarda il teschio, e i denti… non è roccia. È cemento.

— Lo so — mormorò Ender. — Loro l’ha

— Cosa?

— Conoscevo già questo posto, Abra. Gli Scorpioni l’ha

— Gli Scorpioni erano tutti morti cinquant’a

— Hai ragione, non è possibile. Ma io so quello che so. Abra, non avrei dovuto portarti con me. Potrebbe esserci un pericolo qui. Se mi conoscevano addirittura fino al punto di aver costruito questo posto, forse progettavano di…

— Di pareggiare i conti con te.

— Per averli uccisi.





— Allora vattene, Ender. Se questa è una trappola devi andartene!

— Se quel che volevano era preparare la vendetta, Abra, non me ne importa. Ma forse non era questa la loro intenzione. Forse ciò che vediamo era quel che avevano di più vicino a una forma di linguaggio… per lasciarmi scritto un messaggio.

— Ma non sapevano neppure cosa significasse leggere o scrivere.

— Forse stavano imparando, prima di morire. Meglio che tu vada via.

— All’inferno! Io non torno al campo mentre tu esplori di qua e di là. Vengo con te.

— No. Sei troppo giovane per rischiare di…

— Giovane un corno! Tu sei Ender Wiggin, perciò non dire a me cosa può fare e non può fare un ragazzo di undici a

Stabilirono di prendere l’elicottero, quindi tornarono sorvolando il corpo del Gigante, il parco giochi e la boscaglia, individuando la radura col pozzo. E poco più avanti c’era uno strapiombo, alla sommità del quale videro un cornicione su cui si apriva quella che era senza dubbio una porta di legno, esattamente dove avrebbe dovuto essere la Fine del Mondo. E all’orizzonte, sfumato nella foschia e tuttavia ben visibile sulla cima di un dirupo, c’era il castello. Con la torre.

Fu alla base delle mura corrose dal tempo che Ender atterrò. Scese dall’elicottero e ordinò ad Abra di mettersi ai comandi. — Qualunque cosa accada non seguirmi. Se non torno, decolla e torna a casa.

— Ah, tappati la bocca, Ender!

— Tappatela tu, pivello, o te la riempio di fango.

Malgrado il tono scherzoso di Ender, un lampo nei suoi occhi informò Abra che diceva sul serio, così si strinse nelle spalle.

In muro esterno della torre aveva pietre così sporgenti che sembravano fatte apposta per arrampicarsi. Capì che avevano voluto proprio questo.

La stanzetta in cui entrò scavalcando il davanzale della finestra era proprio come doveva essere, mobili compresi. D’istinto Ender si volse al caminetto, aspettandosi di vedere il serpente, ma c’era soltanto un tronco d’albero con un’estremità scolpita a testa di rettile. Un’imitazione simbolica, non un duplicato, e per essere delle creature che non conoscevano l’arte la cosa era fin troppo ben fatta. Dovevano aver preso quelle immagini della sua stessa mente, contattandola ed esplorandone le fantasie oniriche attraverso l’immensità degli a

Lo specchio era fissato alle pietre della parete di fondo. Era una lastra di metallo opaco, nella quale era stata incisa rozzamente l’immagine di un volto umano. Il suo? Ha

Fissò quel metallo senza capire. Ma in lui tornavano i ricordi: lo specchio scalzato dal muro, la cavità, i serpenti che ne balzavano fuori e lo attaccavano, affondando i loro denti velenosi sulla sua figura che infine cadeva al suolo uccisa e sconfitta.

Quanto dovevano conoscermi bene! si meravigliò Ender. Abbastanza bene da sapere che ho affrontato tante volte questo genere di morte da non averne più paura… abbastanza da sapere che, se anche avessi paura, questo non m’impedirebbe di staccare lo specchio dal muro.

Si avvicinò alla lastra metallica, sollevò il bordo inferiore e notò che veniva via come un coperchio. Ma niente balzò fuori ad aggredirlo. Ciò che Ender si trovò a fissare era una cavità dalle pareti lisce, sul fondo della quale riposava un ovoide di materiale bianco come la seta da cui, qua e là, pendevano stralci d’aspetto fibroso. Un uovo? No, non si trattava di un uovo: era una pupa, la larva di una regina degli Scorpioni, già fertilizzata dai maschi della sua specie e pronta a dare alla luce centinaia di migliaia di Scorpioni, compresi alcune altre regine ed altri maschi. Gli occhi di Ender stavano captando immagini che non facevano parte dei suoi ricordi, né della sua mente, né del suo mondo: le immagini dei maschi degli Scorpioni, molli e biancastri, che uscivano dall’oscurità di un tu