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— Ci vorrà un po’. È un livido tremendo.

Lui la stava guardando di nuovo, incerto; poi, risolutamente, si avvicinò, le toccò i capelli e la guancia e la baciò… in modo non esperto e non molto appassionato; ma era il loro primo bacio. Più del bacio, a lei piaceva il tocco della grossa mano. Voleva dirgli che era bello e che le piaceva, ma dire certe cose non le riusciva mai bene.

— Stai abbastanza calda? — chiese lui. — Tutti gli abiti li ho io.

— Mi scaldo sempre camminando.

Lui attese che lei si avviasse, senza fingere di sapere dove dovevano andare. Lei s’incamminò, con un nuovo slancio di sicurezza, lungo la cresta, continuando il percorso a fianco del fiumicello, nella direzione che era decisa a chiamare est.

Camminarono a passo regolare, senza parlare, per un lungo tratto. La cresta, un lungo, esile sperone della montagna, s’incurvava un po’ verso sinistra; il dosso saliva e si abbassava, ma l’inclinazione complessiva era sempre in discesa. I boschi, sulla cresta, erano radi, e rendevano agevole il cammino, e c’erano lunghi tratti scoperti dove era piacevole camminare sulla corta erba secca e bruniccia, lontano dal cupo baldacchino dei rami. Finalmente, lo sperone cominciò a scendere più ripido, e poi a precipizio. Poiché non riuscirono a trovare un percorso più facile, dovettero scendere aggrappandosi alle radici, a volte lasciandosi scivolare. Si rialzarono sul fondo, nel letto del fiume, un burrone scosceso, ammantato di fitta vegetazione. Subito scesero al ruscello, per bere.

Irena risalì la sponda fangosa, verso un tratto sgombro formato dalla caduta di un grosso albero, e restò lì a riflettere. Il ruscello aveva circa la stessa ampiezza del Terzo Fiume. Se era il Terzo Fiume, bastava che lo seguissero, per incrociare la strada del sud… Ma quello non era il Terzo Fiume. Era lo stesso ruscello che avevano seguito dalla sorgente, la fonte tra le felci, sotto l’antro del drago. Scorreva verso est o sud-est, giù dalla montagna, in quella gola. Il Terzo Fiume scorreva verso ovest, aldilà della montagna. Quello doveva essere un affluente; avrebbe incontrato il Terzo Fiume, in qualche punto. Scorreva verso sinistra, e il Terzo Fiume doveva scorrere verso destra, da quella parte, se lei in quel momento era rivolta verso sud…

Irena cercò di calcolare: se i fiumi scorrevano in direzioni opposte, verso che punto cardinale era rivolta? Sentì un nome alla gola. I nomi della bussola, nord, ovest, sud, est, erano parole prive di significato. Qualunque direzione lei guardasse poteva essere il sud. O poteva essere il nord.

Hugh la raggiunse. — Pronta per una pausa? — le chiese. Le posò una mano sulla spalla. Lei si ritrasse istintivamente da quel contatto.

Subito lui si allontanò, attraversando la piccola radura. Sedette, con la schiena contro il tronco massiccio dell’albero caduto, e chiuse gli occhi.

Quando Irena andò a sedersi accanto a lui, le disse: — Forse dovremmo mangiare qualcosa.

Lei aprì l’involto e tirò fuori i viveri rimasti. Erano più di quanto avesse pensato: certamente sarebbero bastati ancora per un giorno. Questo le diede il coraggio per dire: — Non so dove siamo.

— Non l’abbiamo mai saputo, vero? — disse lui, impassibile. Poi, con uno sforzo visibile, si mosse, aprì gli occhi, fece domande e diede suggerimenti. Discussero l’opportunità di seguire ancora quel ruscello, poiché prima o poi doveva gettarsi in uno dei fiumi più grandi.

— Oppure, se andiamo nella direzione sbagliata, arriveremo al mare — disse lui, scherzando; ma la sua voce si spense, all’ultima parola.

— L’altra possibilità sarebbe svoltare a sinistra, qui — disse Irena, masticando una seconda striscia di carne affumicata e sentendosi rianimata da quel nutrimento. — Perché continuo a pensare che non stiamo andando abbastanza verso est. E finché restiamo sulla montagna non siamo perduti completamente… almeno sappiamo dov’è la montagna.

— Ma non ci avviciniamo alla porta.

— Lo so. Ma la montagna è l’unico vero punto di riferimento che abbiamo. Dato che abbiamo perso il senso della collocazione della porta.

— Lo so. È tutto eguale. Come quando avevo superato la porta. Credo… credo di aver paura che sia accaduto di nuovo. La porta non c’è più. Non possiamo trovare nulla.

— A me non è mai accaduto — disse lei, in tono di sfida. — E non mi accadrà. Non resterò qui.

Lui stava sospingendo gli aghi d’abete per formare disegni sul suolo, accanto all’albero caduto.

— Questa è tua — disse lei, sforzandosi di distogliere gli occhi dall’altra razione di carne.





— Non ho fame.

Dopo un po’, lei chiese: — Non lo fai per lasciarlo a me, o qualcosa del genere, vero?

— No — disse lui, candidamente, stupito; sorrise, alzando la testa verso di lei. — Non ho voglia di mangiare, ecco tutto. Se l’avessi, per te non resterebbe niente.

— Non puoi digiunare e continuare a camminare così.

— E invece sì. Vivo del mio grasso, come un cammello.

Lei si accigliò. Avrebbe voluto avvicinarsi di più e toccarlo, i capelli ruvidi e le stanche guance irsute, la mano grande, potente e tuttavia infantile; ma glielo impedì il ricordo di essersi sottratta di scatto al suo tocco pochi minuti prima. Avrebbe voluto confutare l’autodenigrazione di lui, ma non sapeva cosa dire.

Gli occhi di Hugh erano chiusi o si stavano chiudendo: s’era appoggiato all’indietro, contro l’albero caduto. Lei non disse nulla, chiusa in un senso di timidezza e di profonda depressione. Quando gli lanciò un’altra occhiata, era addormentato, con la faccia molle, la mano abbandonata sulla coscia.

Avrebbero dovuto proseguire. Dovevano proseguire. Non potevano mettersi a sedere o a dormire, altrimenti non sarebbero mai giunti alla porta. — Hugh — disse Irena. Lui non la sentì. Poi la sua ansia si dissolse nella pura, appassionata tenerezza dalla quale era sorta. Si accostò a lui, lo spinse gentilmente per farlo sdraiare. Lui si svegliò. — Dormi — sussurrò lei. Hugh obbedì. Sedette accanto a lui, per un po’. E mentre stava seduta, ascoltò il suono del ruscello vicino, al quale prima non aveva prestato attenzione. Li scorreva tranquillo, fluendo dolcemente sulla sabbia o sul fango, in un mormorio lievissimo. Irena cominciò a rendersi conto della propria stanchezza. Prese il mantello rosso, che lui non aveva più indossato da quando aveva cominciato a scaldarsi nella giubba di pelle, e lo stese su entrambi come una coperta, poi si adagiò contro Hugh, e si addormentò.

Quando si svegliarono entrambi erano indolenziti, lenti, riluttanti. Irena ridiscese l’argine per bere al ruscello. Si lavò le mani e la faccia, e l’acqua fresca era così gradevole, e lei si sentiva così incrostata dalla sporcizia del viaggio; trovò una lanca poco profonda, più a valle, e si svestì e fece il bagno. L’intimidiva l’idea che Hugh la vedesse, e si rivestì in fretta. Lui scese l’argine più verso monte, dove era basso, e s’inginocchiò pesantemente per bere. — Fai una nuotata. Io l’ho fatta — gridò Irena, abbottonandosi la camicia e rabbrividendo piacevolmente.

— Troppo freddo.

— Hai ancora freddo? — chiese lei, raggiungendolo sulla riva, tra il fango e le felci.

— Sempre.

— È stato… il drago… Era freddo. L’ho sentito.

— Voglio solo rivedere la luce del sole — disse lui. Nella sua voce c’era un suono disperato che la spaventò.

— Ne usciremo, Hugh. Non…

— Da che parte? — domandò lui, alzandosi. Si aggrappò a un arbusto nodoso che sporgeva dall’argine, per raddrizzarsi.

— Seguiamo il ruscello, credo.

— Bene. Non ho voglia di scalare la montagna — disse lui, sforzandosi di scherzare.

Irena gli prese la mano. Era fredda come la pietra… Fredda per l’acqua, pensò: ma quel tocco freddo l’aveva sconvolta, rendendola incapace di accettare una spiegazione razionale. Aveva paura per lui. Lo guardò in viso e disse il suo nome.

Lui incontrò i suoi occhi, guardandola come se la vedesse con un desiderio inesprimibile. Le posò la mano destra sui capelli e l’attirò a sé. Era una muraglia, una fortezza, un baluardo, e mortale, fragile, più facile da ferire che da risanare; uccisore d’un drago, figlio del drago; figlio del re, pover’uomo, povera, effimera anima ignara. Il desiderio di lui si ergeva e le pulsava contro il ventre; ma le braccia la stringevano con un desiderio ancora più grande, un desiderio al quale la vita non può dare il compimento. Lei lo te