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— Voi — disse gentilmente, — dovete capire che non siete membri del governo ma sudditi. «Decidere» un «piano» contrario alla volontà del governo è un atto di ribellione. Per farlo capire a voi e ai vostri, verrete trattenuti qui fino a quando avremo la certezza che l’ordine è ristabilito.

— Che vuol dire «trattenuti»? — bisbigliò Hari a Vera, e lei rispose: — Prigione. — Hari a

Entrarono otto guardie, che cominciarono a spingere i delegati verso la porta. — In fila! Sbrigatevi! — ordinò il loro comandante. — Non fuggite, altrimenti sparo!

Nessuno dei cinque cercò di fuggire o di resistere o di protestare. King, sospinto da una guardia impaziente, disse — Oh scusa — come se avesse urtato involontariamente qualcuno in una ressa.

Le guardie condussero il gruppo oltre gli affreschi, oltre le colo

— In prigione.

— Anche lei?

Tutti guardarono Vera, linda e delicata nella tuta di seta bianca. Lei ricambiò le occhiate con serena curiosità.

— Il capo ha detto «in prigione» — osservò l’ufficiale, con una smorfia.

— Hesumeria, signore, lei non possiamo mettercela — replicò una guardia minuta, dagli occhi acuti e dalla faccia sfregiata.

— Il capo ha detto così.

— Ma è una signora.

— Portatela alla casa del Padrone Falco e lasciate decidere a lui quando rientrerà — propose un’altra guardia, che sembrava gemella della prima ma senza sfregi.

— Vi do la mia parola che starò dove deciderete, ma preferisco restare con i miei amici — disse Vera.

— Silenzio, signora! — esclamò l’ufficiale, stringendosi la testa fra le mani. — D’accordo. Voi due portatela a casa Falco.

— Anche gli altri dara

— Da questa parte, senhora — disse lo sfregiato.

All’angolo, Vera si fermò e alzò la mano per salutare i quattro compagni, che ormai erano lontani. — Pace! Pace! — le gridò Hari, di slancio. Lo sfregiato borbottò e sputò per terra. Le due guardie erano uomini che avrebbero fatto paura a Vera se li avesse incontrati da sola in una via della città: ma adesso, mentre le camminavano al fianco, era evidente perfino dalla loro andatura che badavano solo a proteggerla. Si rese conto che si consideravano i suoi salvatori.

— La prigione è molto brutta? — chiese.

— Ubriachi, risse, puzza — rispose lo sfregiato, — e il gemello aggiunse, sole

— E per un uomo sì? — chiese lei, ma le guardie non risposero.

Casa Falco si trovava a tre vie di distanza dal Campidoglio: era una grande costruzione bassa e bianca, col tetto di tegole rosse. La grassa cameriera che ve

— È molto imbarazzante, mia cara. Vedi, non sono in visita: sono prigioniera. Questi signori sono stati molto gentili. Ha

Luz Marina aveva abbassato le sopracciglia in una sottile linea diritta. Rimase in silenzio per un istante. — Possono attendere qui nell’atrio — dichiarò. — Sedetevi su quelle cassapanche — disse ad Anibal ed Emiliano. — La senhora Adelson verrà con me.



I due gemelli entrarono impettiti, seguendo Vera.

— S’accomodi, prego — disse Luz, scostandosi cortesemente. Vera entrò nella sala di casa Falco, con le poltrone di legno imbottite e i divani, le tavole intarsiate e il pavimento di pietra, le finestre dai vetri spessi e i grandi camini freddi: la sua prigione. — Si sieda, la prego — disse la sua carceriera; andò a una porta interna e ordinò di accendere il fuoco e di portare il caffè.

Vera non si sedette. Quando Luz tornò verso di lei la guardò con ammirazione. — Mia cara, sei molto buona e cortese. Ma sono davvero in arresto. Per ordine di tuo padre.

— Questa è la mia casa — disse Luz. La sua voce era asciutta come quella di Falco. — E gli ospiti sono sacri.

Vera sospirò, docile, e si sedette. Il vento, per la strada, le aveva scompigliato i grigi capelli: se li rassettò, poi strinse le mani esili e brune.

— Perché l’ha

— Cos’ha fatto?

— Ecco, abbiamo cercato di discutere col Consiglio i piani per il nuovo insediamento.

— Non sapevate che vi avrebbero arrestati?

— Avevamo considerato anche quest’eventualità.

— Ma di cosa si tratta?

— Del nuovo insediamento. Della libertà, immagino. Ma davvero, mia cara, non devo parlartene. Ho promesso di restare prigioniera, e i prigionieri non devono vantarsi dei loro reati.

— Perché no? — chiese sdegnosamente Luz. — È contagioso come un raffreddore?

Vera rise. — Sì!… So che ci siamo già incontrate, ma non ricordo dove.

La cameriera, agitatissima, ve

— Sono stata alla festa di Shantih, un a

— Ma certo! Tu e Lev e gli altri andavate a scuola insieme! Allora conoscevi anche Timmo. Sai che è morto, durante la spedizione al nord?

— No. Non lo sapevo. Nei territori disabitati — disse la ragazza. Poi, dopo un breve silenzio: — Lev… Lev è in prigione, adesso?

— Non era venuto con noi. Vedi, in una guerra non bisogna mettere contemporaneamente tutti i soldati nello stesso luogo. — Vera, con ritrovata gaiezza, sorseggiò il caffè e rabbrividì lievemente nel sentirne il sapore.

— In guerra?

— Ecco, una guerra senza combattimenti, beninteso. Forse una ribellione, come dice tuo padre. Forse, mi auguro, soltanto un disaccordo. — Luz continuava a fissarla senza capire. — Sai cos’è una guerra?

— Oh, sì. Centinaia di persone che si uccidono tra loro. A scuola, la storia della Terra non parlava d’altro. Ma credevo… La sua gente non combatterebbe?

— No. Noi non combattiamo. Non con i coltelli e i fucili. Ma quando abbiamo deciso concordemente che qualcosa va o non va fatto, diventiamo molto ostinati. E quando ci scontriamo con un’ostinazione uguale, allora può essere una specie di guerra, una lotta tra idee, l’unica guerra che qualcuno può vincere. Capisci?

Evidentemente, Luz non capiva.

— Bene — disse Vera, in tono tranquillo. — Capirai.