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Guardando nel ca

 "Il mio vizio segreto" lo chiamava Rajasinghe, con un certo divertimento ma anche con una punta di rimpianto. Erano a

Però esisteva un surrogato che poteva riservare soddisfazioni considerevoli a un uomo non più giovane. A

Nel tardo pomeriggio, quando i raggi del sole al tramonto scendevano al di sotto della sporgenza rocciosa che proteggeva gli affreschi, Rajasinghe rendeva loro visita e porgeva i suoi omaggi alle signore della corte. Le amava tutte, ma aveva le sue favorite. A volte conversava in silenzio con loro, usando le parole e le frasi più arcaiche che conosceva, ben consapevole che il suo taprobani più antico era nato a mille a

Lo divertiva anche osservare gli esseri umani, studiare le loro reazioni mentre si arrampicavano sulla Montagna, si fotografavano a vicenda sulla cima, o ammiravano gli affreschi. Non potevano nemmeno sospettare di essere accompagnati da uno spettatore invisibile (e invidioso), che senza sforzi si muoveva al loro fianco come uno spettro silenzioso, così vicino da riuscire a scorgere ogni espressione, ogni particolare dei vestiti. Il ca

Se quello era voyeurismo, era piuttosto i

Era raro che usasse il ca

Saltò giù dal letto, infilò il "sarong" dai colori vivaci, raggiunse a piedi nudi la veranda e si avvicinò alla robusta colo

— Dovevo immaginarmelo! — disse fra sé, con un piacere non indifferente, e aumentò l'ingrandimento. E così lo spettacolo della sera prima aveva colpito Morgan, come previsto. L'ingegnere voleva vedere da sé, nel poco tempo disponibile, come avessero fatto gli architetti di Kalidas a vincere la sfida della natura.



Poi Rajasinghe si accorse di un fatto allarmante. Morgan passeggiava tranquillamente lungo il ciglio della spianata, appena a qualche centimetro di distanza dal precipizio cui pochi turisti osavano avvicinarsi. Non molti avevano il coraggio di sedere sul Trono a Elefante, coi piedi sospesi sull'abisso; ma ora l'ingegnere si era inginocchiato al suo fianco, si appoggiava alla scultura con un braccio solo, con estrema noncuranza, e scrutava la parete di roccia più in basso sporgendosi sul vuoto. Rajasinghe, che non si era mai trovato a suo agio nemmeno su un precipizio familiare come quello di Yakkagala, quasi non reggeva lo spettacolo.

Dopo qualche minuto d'incredula osservazione, decise che Morgan doveva essere una di quelle rare persone che non soffrono per niente di vertigini. La memoria di Rajasinghe (che era ancora eccellente, ma si divertiva a giocargli scherzi) cercava di fargli tornare in mente qualcosa. Non c'era stato, una volta, un francese che aveva camminato su una corda tesa al di sopra delle Cascate del Niagara, e che addirittura si era fermato a metà strada per gustarsi il pranzo? Se le prove concrete non fossero state così incredibili, Rajasinghe non avrebbe mai creduto a una storia del genere.

E poi c'era qualcos'altro d'importante, un episodio che riguardava Morgan. Di cosa poteva trattarsi? Morgan… Morgan… Praticamente non sapeva niente di lui fino a una settimana prima…

Sì, era "quello". Si era verificata una breve controversia in cui i mass-media avevano sguazzato per un giorno o poco più, e doveva essere stato in quell'occasione che lui aveva udito per la prima volta il nome di Morgan.

Il disegnatore capo del Ponte di Gibilterra, ancora allo stadio di progetto, aveva a

"Se" la guida automatica s'inceppava, come tutti sapevano, i freni sarebbero entrati in azione automaticamente, e il veicolo si sarebbe fermato dopo meno di cento metri. Solo sulle corsie più esterne esisteva la possibilità che una macchina volasse fuori; ma perché questo accadesse era necessario un guasto totale alla guida automatica, ai sensori e ai freni, il che poteva succedere una volta ogni vent'a

Fin qui tutto bene. Ma poi l'ingegnere capo aveva aggiunto un "caveat". Forse non pensava che la stampa lo divulgasse; forse stava solo scherzando. Ma saltò fuori a dire che, se si fosse verificato un incidente del genere, prima la macchina volava in mare senza da

Inutile aggiungere che il Ponte ve

E adesso cosa stava facendo? Si era inginocchiato a fianco del Trono a Elefante e stringeva in mano una scatoletta rettangolare, all'incirca della forma e delle dimensioni di un vecchio libro. Rajasinghe riusciva solo a intravederla, e il modo in cui l'ingegnere la stava usando non aveva senso. Forse si trattava di uno strumento per analisi chimiche, per quanto lui non riuscisse a capire perché Morgan dovesse interessarsi alla composizione di Yakkagala.

Aveva in mente di costruire qualcosa lì? Non glielo avrebbero permesso, ovviamente, e Rajasinghe non riusciva a immaginare quale meraviglia potesse sorgere in un posto del genere: per fortuna, i re megalomani erano una razza in via d'estinzione. Ad ogni buon conto, considerate le reazioni dell'ingegnere la sera prima, era assolutamente certo che Morgan non avesse mai sentito parlare di Yakkagala prima di recarsi a Taprobane.