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Himalaya,

ore 13.31

Lisa fissava la spada abbattersi contro il suo petto. Successe tutto in un istante. Il tempo rallentò. Dunque era così che sarebbe morta.

Poi un tinti

Tuttavia il colpo sferrato dalla do

Lisa arretrò incespicando, liberata dall’incantesimo.

La lama giapponese fece una piroetta e finì sul pavimento, producendo il suono di una campana perfettamente accordata. Il corpo dell’assassina la seguì a breve distanza, con un pesante tonfo.

Lisa era incredula, tramortita, insensibile.

Ancora il rumore di vetri infranti.

Poi parole, che la raggiunsero come sott’acqua.

«Stai bene? Lisa…»

Alzò lo sguardo verso l’altro lato della biblioteca. L’unica finestra, smerigliata e colorata, era stata frantumata dal calcio di un fucile. Nell’apertura, incorniciato da schegge di vetro, comparve un volto.

Painter.

Alle sue spalle imperversava una tormenta, un turbine di neve e ghiaccio sciolto. Qualcosa di grosso, pesante e scuro scese dal cielo: un elicottero, dal quale pendevano una corda e un’imbracatura.

Tremando, Lisa cadde in ginocchio.

«Saremo subito da te», le promise lui.

Cinque minuti dopo, Painter e A

«Niente documenti d’identità», disse A

Lui non aveva scuse. «Ho mirato alla spalla.» Scosse la testa, frustrato. Un debilitante attacco di vertigini l’aveva paralizzato dopo la discesa con l’imbracatura. Ma non avevano neanche un istante da perdere, erano arrivati appena in tempo dall’altro versante della montagna. Non ce l’avrebbero mai fatta attraversando il castello a piedi. L’elicottero era la loro unica speranza: scavalcare la spalla della montagna e calare qualcuno con un’imbracatura.

A

Perciò, sebbene avesse le vertigini e ci vedesse doppio, l’americano aveva mirato il meglio possibile attraverso la finestra. Aveva dovuto agire rapidamente, accorgendosi che la do

Anche se forse avrebbero perso qualsiasi possibilità di scoprire il vero burattinaio che manipolava i sabotatori, Painter non si pentì della sua scelta. Aveva visto l’orrore nel viso di Lisa. Al diavolo le vertigini: aveva sparato. La testa gli pulsava ancora dal dolore.

Emerse una nuova paura. E se avesse colpito Lisa? Quanto gli rimaneva prima di diventare una palla al piede anziché una risorsa? Scacciò quel pensiero.

Smettila di torcerti le mani e rimboccati le maniche.

«Segni particolari?» chiese Painter.

«Soltanto questo.» A

Un tatuaggio nero segnava la pelle bianca e perfetta. Quattro asole intrecciate. «Si direbbe un simbolo celtico, ma non mi dice nulla.»

«Nemmeno a me», disse A

Painter notò qualcos’altro e si avvicinò, inginocchiandosi. Voltò di nuovo la mano dell’assassina, che era ancora calda. Mancava l’unghia del mignolo, al suo posto c’era una cicatrice. Una piccola, ma significativa imperfezione.

A

«Significa ciò che penso io?» domandò Painter.

A





Painter non aveva bisogno di altre prove. Aveva visto con quale velocità l’assassina aveva attraversato la stanza. «È una So

Lisa e Gunther li raggiunsero.

«Non una dei nostri», replicò A

«È possibile che qualcuno li abbia creati qui, a vostra insaputa?»

A

«Allora può significare una sola cosa.»

«È stata creata da qualche altra parte.» A

Painter rimase dov’era, continuando a esaminare l’unghia e il tatuaggio. «E quel qualcuno ha intenzione di farvi chiudere.»

Calò il silenzio nella stanza.

In quella quiete, Painter sentì un bip appena udibile. Proveniva dalla do

Sollevò la manica del parka dell’assassina. Al polso portava un orologio digitale con un cinturino di pelle largo cinque centimetri. Painter studiò il quadrante rosso. Una lancetta olografica segnava i secondi e sul display c’era una scritta luminescente: 01:32.

A ogni giro della lancetta veniva sottratto un secondo.

Rimaneva poco più di un minuto.

Painter slacciò l’orologio e controllò l’interno del cinturino. C’erano due contatti d’argento: monitoravano il battito cardiaco. E da qualche parte, all’interno dell’orologio, doveva esserci una microtrasmittente.

«Che sta facendo?» chiese A

«L’avete perquisita per vedere se aveva esplosivi?»

«È pulita», rispose A

«Quando il cuore ha smesso di battere, deve essere stato inviato un impulso radio.» Diede un’occhiata all’orologio che aveva in mano. «Questo è soltanto un timer.»

Lo mostrò agli altri.

01:05

«Klaus e questa do

La lancetta dei secondi continuava a girare e si sentì un tenue bip quando il conto alla rovescia scese sotto il minuto.

0:59

«Dobbiamo andarcene. Adesso!»

10. LA CAMELOT NERA

Wewelsburg, Germania,

ore 09.32

«In origine le SS erano le guardie del corpo personali di Hitler», spiegò la guida in francese, accompagnando un gruppo di turisti nel cuore del museo di Wewelsburg. «In effetti, il termine SS deriva dalla parola tedesca Schutzstaffel, che significa ‘distaccamento di guardie’. Solo in seguito dive

Gray si fece da parte per lasciar passare il gruppo. Mentre aspettava il direttore del museo, aveva origliato a sufficienza per farsi un’idea della storia del castello: di come Himmler lo aveva affittato per un solo Reichsmark, spendendo poi un quarto di miliardo per ricostruirlo e trasformarlo nella sua personale Camelot. Un prezzo minimo rispetto al costo in termini di vite umane e sofferenza.

Gray era accanto a una vetrina contenente un’uniforme del campo di concentramento di Niederhagen. Fuori ci fu un rombo di tuono, che fece tremare le antiche finestre.