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Painter sapeva di potersi sentire sollevato. Guardandolo di traverso un’ultima volta, Gunther si voltò e ritornò tra le macerie a

«Ecco quello che volevo mostrarvi.» A

«La Campana», disse Painter.

«È stata distrutta. Un atto di sabotaggio.»

Lisa fissò le macerie. «Ed è stata la Campana a far ammalare Painter.»

«Ed era l’unica possibilità di cura.»

Painter studiò il disastro.

«Avete un duplicato della Campana?» chiese Lisa. «Oppure potete fabbricarne un’altra?»

A

«Perciò niente Campana, niente cura», sentenziò Painter.

«Ma forse c’è una possibilità, se ci aiutiamo a vicenda.» A

Non senza una certa rigidità ed esitazione, Painter strinse la mano della do

D’un tratto capì.

«L’incidente…»

Sentì le dita di A

«Non è stato un incidente, vero?» Painter ricordò la parola che aveva usato la do

A

Painter dovette trattenersi dallo scuotere la testa. Niente di straordinario, aveva detto A

A

«E cancellando il monastero e il villaggio.»

«Esatto.»

Painter strinse la presa. Lei era sul punto di ritrarre la mano, ma lui non aveva nessuna intenzione di permetterglielo. Quella do

A

Painter ricordò le luci spettrali avvistate in cima alle montagne. Per risparmiare se stessi, i tedeschi avevano sommerso di radiazioni le vicinanze, compreso il monastero. Ma gli scienziati del castello non erano rimasti del tutto incolumi.

A

Painter rifletté sulle sue possibilità di scelta. Non ne aveva. Sebbene nessuna delle parti si fidasse dell’altra, erano tutti sulla stessa barca, perciò potevano pure stringersi un po’. Painter concluse la stretta di mano, suggellando il patto. La Sigma e i nazisti, assieme.





SECONDO

7. IL MAMBA NERO

Riserva di Hluhluwe-Umfolozi,

Zululand, Sudafrica,

ore 05.45

Khamisi Taylor era in piedi di fronte alla scrivania del capo guardacaccia. Rigido e impettito, aspettava che il sovrintendente Gerald Kellog finisse di leggere il suo rapporto preliminare sulla tragedia del giorno precedente.

L’unico suono era il cigolio di un ventilatore a pala che rimestava lentamente l’aria.

Khamisi indossava vestiti presi in prestito: pantaloni troppo lunghi, una camicia troppo stretta. Ma almeno erano asciutti. Dopo aver trascorso tutto il giorno e la notte nello stagno tiepido, immerso fino alle spalle in quella pozza fangosa, con le braccia doloranti per aver tenuto puntato il fucile tutto il tempo, apprezzava quei vestiti caldi e la terra sotto i piedi. Apprezzava anche la luce del giorno. Dalla finestra sul retro dell’ufficio, l’alba dipingeva vagamente il cielo di rosa. Il mondo riemergeva dall’oscurità.

E lui era sopravvissuto.

Era vivo, ma non aveva ancora del tutto accettato quella realtà.

Le urla dell’ukufa gli echeggiavano ancora nella testa.

Gerald Kellog si lisciava distrattamente i folti baffi ramati, mentre continuava a leggere. Il sole del mattino luccicava sulla sua testa pelata, conferendole una lucentezza rosea e untuosa. Finalmente alzò lo sguardo, fissando Khamisi da sopra un paio di occhialini da lettura, due mezze lune sulla punta del naso.

«E questo è il rapporto che lei vorrebbe che io archiviassi, signor Taylor?» Il sovrintendente fece scorrere un dito lungo una riga del foglio giallo. «‘Un grande predatore sconosciuto’: è tutto quello che è in grado di dire sull’animale che ha ucciso e trascinato via la dottoressa Fairfield?»

«Signore, non l’ho potuto guardare bene. Era grosso e aveva il pelo bianco, come ho riferito.»

«Una leonessa, forse», propose Kellog.

«No, signore, non era una leonessa.»

«Come fa a esserne così sicuro? Non ha appena detto che non l’ha visto?»

«Sissignore. Quel che intendevo dire, signore… è che ciò che ho visto non corrispondeva a nessun predatore conosciuto del Lowveld.»

«E allora cos’era?»

Khamisi restò zitto. Non era così sciocco da citare l’ukufa. Alla luce del giorno, sussurrare storie di mostri avrebbe provocato soltanto derisione.

«Perciò una qualche creatura ha attaccato e trascinato via la dottoressa Fairfield, una bestia che lei non ha visto abbastanza chiaramente per poterla identificare.»

Khamisi a

«Tuttavia lei è scappato e si è nascosto nello stagno. Secondo lei, che idea dà, questo rapporto, del nostro servizio? Uno dei nostri guardacaccia lascia che una do

«Signore, questa non è una giusta…»

«Giusta?» tuonò il sovrintendente, gridando abbastanza da essere sentito nella stanza accanto, dove per l’emergenza era stato convocato l’intero staff. «È giusto che io debba chiamare i familiari della dottoressa Fairfield per informarli che la loro madre o no

«Non c’era nulla che io potessi fare.»

«Tra

Khamisi sentì la parola omessa di proposito: salvare quella pellaccia nera.

Gerald Kellog non aveva assunto Khamisi con entusiasmo. La famiglia del sovrintendente era legata all’ex governo afrikander e lui aveva fatto carriera grazie a quelle conoscenze e a quei legami. Apparteneva ancora al vecchio country club Oldavi, esclusivamente bianco, il quale, anche dopo la fine dell’apartheid, era un importante centro di potere. Sebbene fossero state approvate nuove leggi, abbattute barriere e fossero stati costituiti sindacati, gli affari erano ancora affari in Sudafrica. I De Beers erano ancora proprietari delle miniere di diamanti e i Waalenberg possedevano quasi tutto il resto.