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E alcuni impulsi già li conosceva e alcuni erano misteri e altri potevano essere indovinati. Ma ce n’era uno che portava una sfumatura di orrore.
L’ombra si appiattì ancor più al suolo e te
Erano in due, e i due erano diversi. Un ringhio sbocciò nella sua mente e le gorgogliò in gola e il suo corpo tenue e sottile si tese in qualcosa che era per metà anticipazione famelica, e per metà strisciante, angoscioso terrore alieno.
L’ombra si alzò dal suolo, tenendosi curva e appiattita, e fluì sinuosamente giù per la collina, muovendosi in modo da tagliare la strada alle due creature che stavano salendo.
Jenkins era di nuovo giovane, giovane e forte e veloce… veloce di corpo e di mente. Veloce nel camminare per le colline battute dal vento e inondate dai raggi d’argento della luna. Veloce nell’udire il mormorio delle foglie e il cinguettio so
Sì, molte altre cose ancora, ammise tra sé.
Quel corpo era un gioiello. Un maglio non avrebbe potuto scalfirlo, e la ruggine non l’avrebbe mai attaccato. Ma non era tutto.
Non avrei mai immaginato che un corpo potesse rendermi così diverso. Non mi ero mai reso conto di quanto fosse in realtà vecchio e logoro e consunto e limitato il mio vecchio corpo. Non era gran cosa fin dall’inizio, anche se allora, nei giorni in cui l’ha
Erano stati i robot, naturalmente. I robot selvaggi. I Cani avevano chiesto a loro di fare il nuovo corpo. I Cani non s’immischiavano spesso negli affari dei robot. Andavano d’accordo, certo, vivevano da buoni vicini e tutto il resto… ma andavano d’accordo perché non s’immischiavano gli uni nelle faccende degli altri, perché non interferivano, perché seguivano la regola aurea del vivi e lascia vivere, perché né i robot né i Cani amavano ficcare il naso nelle faccende altrui.
Un coniglio si stava muovendo nella tana… e Jenkins lo sentiva. Un procione stava facendo una passeggiata di mezzanotte al chiaro di luna, e Jenkins sentiva anche lui… sentiva la curiosità astuta e penetrante che pervadeva il cervello del procione, dietro gli occhietti che stavano guardando lui, Jenkins, dietro le fronde di una macchia di nocciuoli. E un poco più lontano, alla sua sinistra, ra
Ed era sorprendente… eppure era naturale. Naturale come alzare un piede per camminare, naturale come l’udito. Ma non si trattava di udito e di vista. Non si trattava neppure d’immaginazione. Perché Jenkins sapeva con certezza fredda e lucida e sicura, sapeva del coniglio nella tana e del procione nella macchia di nocciuoli e dell’orso che sognava sogni proibiti, dormendo sotto un albero amico.
E questo, pensò, è il tipo di corpo che i robot selvaggi possiedono… perché, certamente, se ne ha
Anche loro ha
E certamente, se i robot e i cani avevano percorso tanta strada, i Mutanti erano andati ancora più lontano. E i Mutanti mi ascoltera
Inoltre, non li ho disturbati per settemila a
Perché non c’è niente da ridere, in questa faccenda. Si tratta soltanto di un arco e di una freccia, ma non c’è niente, niente, niente da ridere in questo. Forse avrebbero riso un tempo, ma la storia toglie ogni motivo di risa da molte, molte cose. Se la freccia è un motivo d’ilarità, devono anche esserlo le bombe atomiche, le nubi di polvere mortale e inquinata che scendono a inghiottire intere città, i missili urlanti che descrivono il loro arco mortale nel cielo e cadono a diecimila chilometri di distanza e uccidono un milione di persone.
Anche se adesso non c’è neppure un milione di persone. Solo poche centinaia di persone, che vivono nelle case costruite per loro un tempo dai Cani, perché allora i Cani ancora sapevano cos’erano gli esseri umani, ricordavano gli uomini come degli dei. Consideravano gli uomini come degli dei e narravano le antiche storie davanti al fuoco in una sera d’inverno e lavoravano alacremente e sognavano e si preparavano al giorno in cui l’Uomo sarebbe ritornato e avrebbe accarezzato la loro testa e avrebbe detto, «Ben fatto, servo buono e fedele.»
E questo non era giusto, pensò Jenkins camminando a lunghi passi tra le colline bagnate di luna, e i raggi della luna traevano scintille di luce viva dal suo nuovo corpo stupendo. Questo non era affatto giusto. Perché gli uomini non meritavano questa adorazione, perché gli uomini non meritavano di essere divinizzati. Lo sa il Signore quanto li ho amati, io. Li amo ancora, se è per questo… ma non perché essi sono uomini, ma grazie al ricordo di pochi uomini tra molti.
Non era giusto che i Cani costruissero per gli Uomini. perché stavano facendo meglio di quanto l’Uomo non avesse mai fatto. Non era giusto che i Cani si sacrificassero tanto, sognando solo, come ricompensa, una carezza del padrone, una grattatina dietro l’orecchio, una parola gentile degli dei ritornati. E così io ho spazzato via il ricordo degli uomini, ed è stato un lavoro lungo e lento e faticoso. Per a
Spesso mi sono chiesto se ho agito bene, se ho fatto la cosa giusta. Mi sono sentito un traditore e ho trascorso notti amare quando il mondo dormiva e c’era un gran buio intorno e io sedevo nella sedia a dondolo e ascoltavo il vento soffiare lamentoso nella cappa del focolare, sul tetto e tra le fronde degli alberi. Perché forse io non avevo il diritto di farlo. Forse era una cosa che io non avrei dovuto fare. Era una cosa che ai Webster non sarebbe piaciuta. Perché è così che li amavo, perché era tanta l’autorità che avevano su di me, che ha