Добавить в цитаты Настройки чтения

Страница 45 из 49

—  Potere — ripeté pesantemente il cieco, aggobbendo le spalle.

—  Che cos’è la luce?

—  Tenebra!

—  Qual è il tuo nome?

—  Io non ho nome.

—  Tutti, in questa terra, portano il loro vero nome.

—  Dimmi il tuo, allora!

—  Io mi chiamo Ged. E tu?

Il cieco esitò e disse: — Pa

—  Quello era il tuo nome d’uso, non il tuo vero nome. Dov’è il tuo nome? Dov’è la tua verità? L’hai lasciata a Paln quando sei morto? Hai dimenticato molte cose, Signore delle Due Terre. Hai dimenticato la luce, e l’amore, e il tuo nome.

—  Adesso ho il tuo nome e ho potere su di te, Ged l’arcimago… Ged, che eri arcimago quand’eri vivo!

—  Il mio nome non ti serve a nulla — disse Ged. — Tu non hai nessun potere su di me. Io sono vivo; il mio corpo giace sulla spiaggia di Selidor, sotto il sole, sulla terra che gira sul suo asse. E quando quel corpo morirà, io sarò qui: ma solo nel nome, nel nome solo, nell’ombra. Non capisci? Non hai mai capito, tu che hai evocato tante ombre dal regno dei morti, che hai chiamato tutte le schiere dei defunti, e perfino il sovrano Erreth-Akbe, il più sapiente di tutti noi? Non hai capito che perfino lui è soltanto un’ombra e un nome? La sua morte non aveva sminuito la vita. E non aveva sminuito lui. Lui è là… , non qui! Qui non c’è nulla, soltanto polvere e ombre. Là, lui è la terra e la luce del sole, le foglie degli alberi, il volo dell’aquila. È vivo. E tutti coloro che sono morti, vivono: rinascono e non ha

—  Io sono me stesso. Il mio corpo non imputridirà e non morirà…

—  Un corpo vivo soffre, Pa

—  Io non lo pago! Io non posso morire e in quello stesso momento rivivere! Io non posso venire ucciso: sono immortale. Soltanto io sono me stesso in eterno.

—  Chi sei, dunque?

—  L’Immortale.

—  Di’ il tuo nome.

—  Il Re.

—  Di’ il mio nome. Te l’ho detto soltanto un minuto fa. Di’ il mio nome!

—  Tu non sei reale. Tu non hai nome. Io solo esisto.

—  Tu esisti: senza nome, senza forma. Non puoi vedere la luce del giorno; non puoi vedere l’oscurità. Hai venduto la verde terra e il sole e le stelle per salvare te stesso. Ma non hai un io. Tutto ciò che hai venduto, quello eri tu. Hai dato tutto per nulla. E perciò adesso cerchi di attirare il mondo a te, tutta la luce e la vita che hai perduto, per colmare il tuo nulla. Ma non è possibile colmarlo. Neppure tutti i canti della terra, neppure tutte le stelle del cielo potrebbero colmare il tuo vuoto.

La voce di Ged aveva un suono ferreo, nella fredda valle ai piedi delle montagne; e il cieco si ritrasse da lui, timoroso. Levò la faccia, e la fioca luce delle stelle l’investì: sembrava che piangesse, ma non aveva lacrime poiché non aveva occhi. La sua bocca si apriva e si chiudeva, piena di tenebra, ma non ne usciva neppure una parola: soltanto un gemito. Infine disse una parola, formandola appena con le labbra contorte, e quella parola era «Vita».





—  Ti darei la vita se potessi, Pa

—  No! — urlò il cieco, e poi disse «No, no» e si accovacciò singhiozzando, sebbene le sue guance fossero asciutte come il letto sassoso del fiume dove scorreva soltanto la notte, non l’acqua. — Non puoi. Nessuno potrà mai liberarmi. Ho aperto la porta tra i mondi e non posso chiuderla. Nessuno può chiuderla. Non verrà mai richiusa. Mi attira, mi attira. Devo ritornare a quella porta. Devo varcarla e ritornare qui, nella polvere, nel freddo e nel silenzio. Mi risucchia. Non posso lasciarla. Non posso chiuderla. Risucchierà tutta la luce del mondo, alla fine. Tutti i fiumi diventera

Era stranissimo, il miscuglio di disperazione e di orgoglio vendicativo, di terrore e di vanità nelle sue parole e nella sua voce.

Ged disse soltanto: — Dov’è?

—  Da quella parte. Non lontano. Puoi andarci. Ma non puoi far nulla. Non puoi chiuderla. Anche se esaurissi tutto il tuo potere in quell’atto, non basterebbe. Non c’è nulla che possa bastare.

—  Forse — replicò Ged. — Sebbene tu abbia scelto la disperazione, ricorda che noi non l’abbiamo ancora fatto. Portaci là.

Il cieco levò il volto, in cui lottavano visibilmente la paura e l’odio. L’odio trionfò. — No — disse.

A quella risposta, Arren si fece avanti e disse: — Lo farai.

Il cieco restò immoto e muto. Il freddo silenzio e l’oscurità del regno dei morti li circondavano, circondavano le loro parole.

—  Tu chi sei?

—  Il mio nome e Leba

Ged parlò: — Tu che ti proclami Re, non sai chi è costui?

Pa

Ben presto Arren distanziò il suo compagno; la luce era molto fioca, interrotta dai macigni e dalle tortuosità del letto del fiume, ma il suono dell’andare di Pa

Pa

Arren guardò quella scura fonte inaridita, la bocca di polvere, il luogo dove un’anima morta, trascinandosi nella terra e nella tenebra, rinasceva morta: e gli parve abominevole, e disse con voce aspra, lottando contro una nausea mortale: — Si chiuda!

—  Si chiuderà — disse Ged, arrivando accanto a loro; e adesso la luce sfolgorava dalle sue mani e dal suo volto come se fosse stata una stella precipitata sulla terra in quella notte interminabile. Davanti a lui la fonte inaridita, la porta, stava spalancata. Era larga e cavernosa, ma era impossibile capire se fosse o no profonda. Non c’era nulla su cui potesse cadere la luce, nulla che l’occhio potesse vedere. Era vuota. Non lasciava passare luce né tenebre, né vita né morte. Non era nulla. Era una via che non conduceva in nessun posto.

Ged alzò le mani e parlò.

Arren stringeva ancora il braccio di Pa