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—  Sopli non cercava la morte. Cercava di fuggire dalla morte e dalla vita. Cercava la sicurezza: la fine della paura… la paura della morte.

—  Ma c’è… c’è una via. C’è una via al di là della morte. Il ritorno alla vita. È questo… ciò che cercano. Lepre e Sopli, coloro che erano incantatori. È quello che noi cerchiamo. Tu… tu più di ogni altro devi sapere… devi conoscere quella via…

La forte mano del mago era ancora posata sulla sua. — Non la conosco — disse Sparviero. — Sì, so ciò che credono di cercare. Ma so che è una menzogna. Ascoltami, Arren. Tu morirai. Non vivrai in eterno. Nessun uomo, nessuna cosa vivrà in eterno. Non c’è nulla d’immortale. Ma solo a noi è dato sapere che dobbiamo morire. Ed è un grande dono: il dono dell’io. Perché noi abbiamo solo ciò che sappiamo di dover perdere, ciò che siamo disposti a perdere… Quell’io che è il nostro tormento, e il nostro tesoro e la nostra umanità, non dura. Cambia; sparisce, come un’onda sul mare. Vorresti che il mare diventasse immobile, che le maree cessassero, solo per salvare un’onda, per salvare te stesso? Vorresti rinunciare all’abilità delle tue mani, e alla passione del tuo cuore, e alla luce dell’aurora e del tramonto, per comprare la sicurezza per te stesso, la sicurezza eterna? È quanto cercano di fare a Wathort e a Lorbanery e altrove. Questo è il messaggio udito da coloro che sa

—  Dov’è, mio signore?

—  Non lo so.

—  Non posso condurti là. Ma verrò con te,

Lo sguardo del mago, fisso su di lui, era cupo, insondabile.

—  Se dovessi deluderti di nuovo, tradirti…

—  Mi fiderò di te, figlio di Morred.

Poi tacquero entrambi.

Sopra di loro, gli alti idoli scolpiti ondeggiavano lievemente contro l’azzurro cielo meridionale: corpi di delfini, ali di gabbiani ripiegate, volti umani che avevano occhi spalancati, formati da conchìglie.

Sparviero si alzò, irrigidito perché non era ancora guarito dalla ferita. — Sono stanco di starmene seduto — disse. — Ingrasserò, nell’ozio. — Cominciò a camminare avanti e indietro, sulla zattera, e Arren l’accompagnò. Parlarono un poco mentre camminavano; Arren disse a Sparviero come trascorreva le giornate, e chi erano i suoi amici tra il popolo delle zattere. L’inquietudine di Sparviero era più grande della sua forza, che ben presto l’abbandonò. Si fermò accanto a una ragazza che intesseva il nilgu al telaio, dietro la Casa dei Grandi, e la pregò di cercare il capo; poi ritornò al suo riparo. Poco dopo sopraggiunse il capo del popolo delle zattere, salutandolo con una cortesia che il mago ricambiò; tutti e tre si sedettero sui tappeti di pelle di foca maculata.

—  Ho pensato — incominciò il capo, lentamente e in tono sole





—  Eppure, quando avete visto alla deriva la barca di un uomo della terraferma, vi siete avvicinati — osservò il mago.

—  Alcuni di noi ha

—  Tu non eri tra quelli.

—  No. Ho detto: anche se sono abitanti della terraferma, li aiuteremo; e così è stato fatto. Ma non c’entriamo con le tue iniziative. Se c’è la follia tra la gente della terraferma, allora è la gente della terraferma che deve occuparsene. Noi seguiamo la strada dei Grandi. Non possiamo aiutarvi nella vostra ricerca. Finché vorrete restare con noi, sarete i benvenuti. Non mancano molti giorni alla Lunga Danza; dopo ritorneremo verso nord, seguendo la corrente orientale che alla fine dell’estate ci porterà di nuovo ai mari presso la Lunga Duna. Se resterai con noi e guarirai dalla tua ferita, per noi andrà bene. Se prenderai la tua barca e te ne andrai per la tua strada, anche questo ci andrà bene.

Il mago lo ringraziò; e il capo si alzò, esile e impettito come un airone, e li lasciò soli.

—  Nell’i

—  È una decisione saggia — commentò Arren. La fragilità fisica di Sparviero l’aveva turbato e commosso: era deciso a proteggere quell’uomo contro la sua energia e la sua impazienza, a insistere perché attendessero un po’, fino a quando la sofferenza l’avesse abbandonato, prima di proseguire.

Il mago lo guardò, un po’ sorpreso da quel complimento.

—  Qui sono generosi — continuò Arren, senza accorgersene. — Sembra che non siano afflitti dalla malattia dell’anima che avevano a Città Hort e sulle altre isole. Forse non esiste un’isola dove saremmo stati aiutati e accettati, come ha fatto questo popolo perduto.

—  Forse hai ragione.

—  E d’estate, costoro vivono una vita piacevole…

—  È vero. Anche se mangiare pesce freddo per tutta la vita, e non vedere mai un pero fiorito o non assaporare mai l’acqua di una sorgente, alla fine dev’essere noioso!

Così Arren ritornò alla zattera di Astro, e lavorò e nuotò e si crogiolò al sole insieme agli altri giovani, e parlò con Sparviero nella frescura serotina, e dormì sotto le stelle. E i giorni passavano, verso la Lunga Danza della vigilia del solstizio d’estate, e le grandi zattere andavano lentamente verso il sud, portate dalle correnti del mare aperto.