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La paura era dentro di lui, adesso che era desto: non era più lui a essere dentro la paura. Tuttavia questa era ugualmente enorme e sconfinata. Si sentiva soffocato dalla nera oscurità della camera, cercò le stelle nell’indistinto riquadro della finestra, ma sebbene la pioggia fosse cessata le stelle non c’erano. Rimase a giacere, sveglio, impaurito, e i pipistrelli entravano e uscivano a volo con le silenziose ali coriacee. Talvolta sentiva le loro strida acutissime, al limite dell’udibilità.
Il mattino spuntò luminoso; e si alzarono di buon’ora. Sparviero cominciò a cercare con impegno le pietre emmel. Sebbene nessuno, tra gli abitanti del villaggio, sapesse cos’era la pietra emmel, tutti avevano teorie in proposito, e litigavano; e lui ascoltava, anche se in realtà cercava ben altre notizie che quelle sulla pietra emmel. Alla fine lui e Arren si avviarono per la strada indicata dal sindaco, verso le cave dove veniva estratta la terra azzurra per le tinture. Ma lungo il percorso, Sparviero deviò.
— La casa dev’essere quella — a
— Servirà a qualcosa, parlare con loro? — chiese Arren, che ricordava fin troppo bene Lepre.
— Questa malasorte ha un centro — disse il mago, in tono aspro. — C’è un luogo dove la fortuna si esaurisce. Ho bisogno di una guida per giungervi! — E proseguì, e Arren dovette seguirlo.
La casa stava in disparte, tra le sue piantagioni; era un bell’edificio di pietra, ma appariva trascurata da molto tempo, come tutte le piantagioni circostanti. I bozzoli non raccolti dei bachi da seta pendevano scoloriti tra i rami sfrangiati, e il terreno era coperto da uno strato di bachi e di farfalle morti, sottili come carta. Tutt’intorno alla casa, sotto i fitti alberi, aleggiava un odore di putredine, e quando si avvicinarono Arren ricordò all’improvviso l’orrore che l’aveva assalito nella notte.
Prima che giungessero alla porta, quella si spalancò. Ne uscì a precipizio una do
Sparviero si fermò, con aria piuttosto sorpresa, e poi levò in fretta la mano in uno strano gesto. Pronunciò una sola parola: — Indietro!
La do
— Perché l’hai fatto?
— Per allontanare la tua maledizione.
La do
— Del nord.
La do
— Non ho il potere di maledire — mormorò. — Nessun potere. — Imitò il gesto di Sparviero. — Lo fa
Il mago a
— Non lo mostrerò qui, sorella.
— No, non devi farlo. Ti terrà lontano dalla vita. Come il mio potere: mi teneva lontana dalla vita. Quindi l’ho perso. Ho perso tutte le cose che conoscevo, tutte le parole e tutti i nomi. Uscivano in fili sottili come ragnatele, dai miei occhi e dalla mia bocca. C’è una breccia nel mondo, e ne esce la luce. E le parole se ne va
Sparviero non rispose. I suoi occhi fissavano di nuovo quelli della do
All’improvviso, lei tremò e disse, in un bisbiglio: — Io ti conosco…
— Sì. Ogni simile conosce il suo simile, sorella.
Stranamente, la do
Sparviero le prese la mano e la tratte
— Tu sei il Grande Uomo — mormorò lei. — Tu sei il Re delle Ombre, il Signore del Luogo Tenebroso…
— No. Non sono un re. Sono un uomo, un mortale, tuo fratello e tuo simile.
— Ma non morirai?
— Morirò.
— Ma ritornerai e vivrai in eterno.
— No. Né io né nessun altro.
— Allora tu non sei… non sei il Grande della tenebra — disse la do
Il severo volto del mago si addolcì un momento. — Non posso dirtelo — rispose gentilmente.
— Ti dirò un segreto — fece la do
— Taci, Akaren!
La do
Sparviero prese tra le mani quel volto grinzoso e striato dal pianto e delicatamente, teneramente, la baciò sugli occhi. La do
La do
In silenzio, il mago si voltò e s’incamminò per raggiungere la strada. Arren lo seguì. Non osò fargli domande. Dopo un po’, il mago si fermò, lì nella piantagione devastata, e disse: — Le ho preso il suo nome e gliene ho dato uno nuovo. E così, in un certo senso, è una rinascita. Non c’era altro aiuto, altra speranza che potessi darle.
La sua voce era forzata, soffocata.
— Era una do
Arren l’attese nella luce afosa, screziata dalle fronde. Sapeva che Sparviero si vergognava di opprimerlo con le sue emozioni: e in verità lui non poteva dire nulla o fare nulla. Ma il suo cuore volò verso il suo compagno, non più con quell’ardente adorazione iniziale e romantica ma con dolore, come se si fosse creato tra loro un legame infrangibile. Perché in quell’amore che provava adesso c’era compassione; e senza quella compassione l’amore non è temprato, e non è completo, e non dura.