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—  È divorata! È divorata!

Il tamburo, all’improvviso, ricominciò a suonare, battendo un ritmo più affrettato.

In silenzio, il corteo si riformò e si allontanò dal trono, verso oriente, verso il luminoso e lontano riquadro della porta. Lungo i lati, le massicce colo

Le guardie tenevano spalancati i grandi battenti. La nera processione uscì nella luce fredda e rarefatta e nel vento del primo mattino. Il sole era abbacinante e navigava sopra l’immensità, a est. Verso ovest le montagne rifrangevano la sua luce gialla, come la facciata della sala del trono. Gli altri edifici, più in basso sui pendii della collina, erano ancora immersi nell’ombra purpurea, eccettuato il tempio degli dèi fratelli che sorgeva su una piccola altura: il tetto, indorato di recente, rispecchiava fulgido il nuovo giorno. La nera fila delle sacerdotesse, a quattro a quattro, si snodò giù per il colle delle tombe; e via via che scendevano incominciarono a salmodiare. La melodia era di tre note soltanto, e la parola che veniva ripetuta di continuo era così antica da aver perso ogni significato, come un cartello che rimane ancora quando la strada è scomparsa. Le sacerdotesse salmodiavano all’infinito quella parola vuota. Tutto quel giorno, il giorno della Riconsacrazione della Sacerdotessa, fu pervaso dalla cupa nenia delle voci femminili, una cantilena arida e incessante.

La bambina ve

La bambina restò immobile, distesa come l’avevano messa. Aveva gli occhi spalancati. Rimase a lungo così.

Vide una luce tremolare sull’altra parete. Qualcuno avanzava senza far rumore lungo il corridoio, riparando una torcia di ca

La bambina non rispose.

Una testa si affacciò nel vano della porta: una testa strana, glabra come una patata sbucciata e altrettanto giallognola. Anche gli occhi erano come occhi di patata, bruni e minuscoli. Il naso sembrava piccolo tra le grandi guance piatte, e la bocca era una fenditura senza labbra. La bambina, immota, fissò quella faccia. I suoi occhi erano spalancati, fissi e scuri.

—  Oh, Tenar, mio piccolo favo di miele, eccoti! — La voce era roca, acuta come quella di una do

L’uomo avanzò verso di lei, silenzioso e corpulento, e tese la mano, come per lisciarle all’indietro i capelli.

—  Io non sono più Tenar — disse la bambina, guardandolo. La mano si arrestò, non la sfiorò.

—  No — fece lui, dopo un momento, bisbigliando. — Lo so. Lo so. Ora sei la piccola Divorata. Ma io…

Lei non disse nulla.

—  È stata una giornata dura, per una bimba — riprese l’uomo, strusciando i piedi sul pavimento, mentre la minuscola luce guizzava nella mano gialla.

—  Non dovresti essere in questa casa, Manan.





—  No. No. Lo so. Non dovrei essere in questa casa. Bene: buonanotte, piccola… Buonanotte.

La bambina non disse nulla. Manan girò lentamente su se stesso e se ne andò. Il barlume svanì dalle alte pareti della cella. La bambina, che adesso non aveva più altro nome che Arha, la Divorata, rimase a giacere, supina, con gli occhi fissi nell’oscurità.

IL MURO INTORNO AL LUOGO

Crescendo, lei perse ogni ricordo di sua madre, senza neppure accorgersi di averlo perduto. Il suo posto era lì, nel Luogo delle Tombe: lo era sempre stato. Solo qualche volta, nelle lunghe sere di luglio, mentre guardava le montagne occidentali, aride e lionate nella luce che seguiva il tramonto, pensava a un fuoco che aveva fiammeggiato in un focolare, tanto tempo prima, con quella stessa luce, chiara e gialla. E insieme veniva il ricordo di qualcuno che la teneva stretta, ed era strano, perché lì era raro che qualcuno la toccasse; e il ricordo di un odore gradevole, la fragranza di una chioma appena lavata, e risciacquata nell’acqua profumata di salvia, una lunga chioma bionda che aveva il colore del tramonto e del fuoco. Non le restava altro.

Lei sapeva più di quanto ricordava, naturalmente, perché le avevano raccontato tutta la sua storia. Quando aveva sette o otto a

—  Oh, lo sai già, piccola.

E in verità lo sapeva: la sacerdotessa Thar, alta e con la voce secca, gliel’aveva detto fino a quando lei aveva imparato a memoria le parole; e adesso lei recitò: — Sì, lo so. Alla morte dell’Unica Sacerdotessa delle Tombe di Atuan, le cerimonie della sepoltura e della purificazione vengono compiute entro un mese, secondo il calendario lunare. Poi, alcune sacerdotesse e alcuni custodi del Luogo delle Tombe attraversano il deserto e va

Era tutto, parola per parola, come le aveva detto Thar, e lei non aveva osato chiedere una parola di più. La sacerdotessa scarna non era crudele, ma era molto fredda e viveva secondo una legge ferrea, e Arha aveva soggezione di lei. Ma non aveva soggezione di Manan, tutt’altro, e gli ordinò: — Ora dimmi come sono stata prescelta io! — E lui glielo ripeté.

—  Partimmo da qui, dirigendoci verso nordovest, il terzo giorno della luna nuova; perché l’Arha che fu era morta nel terzo giorno dell’ultima luna. E prima andammo a Tenacbah, che è una grande città, anche se coloro che le ha