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Langdon ascoltava, sempre più confuso, e intuì che stavano entrando in una base militare. Mentre l’auto ripartiva e procedeva su un tratto asfaltato insolitamente liscio, lui voltò la testa verso Solomon. «Dove siamo, Peter?»

«Non toglierti il cappuccio.» La voce dell’amico era severa.

L’auto percorse un breve tratto, poi rallentò di nuovo fino a fermarsi. Simkins spense il motore. Altre voci. Voci militari. Qualcuno chiese i documenti a Simkins, che scese dalla vettura e parlottò con quegli uomini.

Improvvisamente la portiera di Langdon si spalancò e mani forti lo aiutarono a scendere dall’auto. L’aria era fredda. Cera vento.

«Robert, lascia che l’agente Simkins ti guidi all’interno» disse Solomon.

Langdon sentì il rumore di chiavi metalliche inserite in una serratura… poi il cigolio di una pesante porta di ferro che si apriva, come un’antica paratia. Dove diavolo mi sta

Le mani di Simkins lo guidarono in direzione della porta metallica. Varcarono una soglia. «Sempre dritto, professore.»

Un improvviso silenzio. Assoluto. Desolato. L’aria aveva un odore asettico, come se fosse impregnata di sostanze chimiche.

Langdon ora aveva di fianco Simkins e Solomon, che lo guidavano lungo un corridoio. Sotto le suole dei mocassini, il pavimento dava la sensazione di essere di pietra.

Alle loro spalle, la porta metallica si richiuse con un tonfo rumoroso e Langdon sobbalzò. Le serrature scattarono e lui cominciò a sudare sotto il cappuccio. Non vedeva l’ora di strapparselo di dosso.

Si fermarono.

Simkins lasciò il braccio di Langdon, che sentì una serie di bip elettronici e poi una specie di rombo, del tutto inaspettato. Immaginò che fosse una porta di sicurezza scorrevole che si apriva automaticamente.

«Signor Solomon, lei e il professore adesso proseguirete da soli. Io vi aspetterò qui» a

«Grazie. Non ci metteremo molto» rispose Peter.

Torcia? Langdon sentiva il cuore battergli all’impazzata.

Peter lo prese sottobraccio e si avviò. «Andiamo, Robert.»

Lentamente, varcarono un’altra soglia. La porta si richiuse rumorosamente dietro di loro.

Peter si fermò. «Qualcosa non va?»

Tutto a un tratto Langdon si sentiva debole e sbilanciato. «Devo togliermi questo cappuccio.»

«Non ancora. Ci siamo quasi.»

«Quasi dove?» Langdon avvertì una sensazione di vuoto allo stomaco.

«Te l’ho detto: ti sto portando a vedere la scala che scende fino alla Parola perduta.»

«Peter, non è divertente!»

«Non deve essere divertente. L’intenzione è di aprirti la mente, di ricordarti che in questo mondo ci sono misteri sui quali neppure tu hai mai posato gli occhi. E prima di procedere voglio che tu faccia qualcosa per me. Voglio che tu creda… solo per un momento… che tu creda nella leggenda. Devi credere che stai per abbassare lo sguardo su una scala a chiocciola che scende per molte decine di metri, fino a raggiungere uno dei più grandi tesori perduti dell’umanità.»

Langdon si sentiva girare la testa. Per quanto volesse credere al suo caro amico, non ci riusciva. «Manca ancora molto?» Il cappuccio di velluto era fradicio di sudore.

«No. Solo pochi passi. Un’ultima porta: adesso la apro.»

Solomon lo lasciò andare per un momento e Langdon barcollò, in preda a capogiri. Incerto sulle gambe, tese le braccia cercando di riacquistare l’equilibrio. Peter tornò immediatamente al suo fianco. Davanti a loro sferragliò l’e

«Da questa parte.»

Varcarono la soglia e, alle loro spalle, la porta si richiuse.





Silenzio. Freddo.

Langdon sentì immediatamente che quel luogo, qualunque fosse, non aveva niente a che vedere con il mondo oltre la porta di sicurezza. L’aria era fredda e umida, come quella di un sepolcro. L’acustica smorzata suggeriva un ambiente angusto. Avvertì i primi segnali di un incontrollabile attacco di claustrofobia.

«Ancora qualche passo.» Solomon lo guidò oltre un angolo e lo fece fermare in un punto preciso. Poi, finalmente, disse: «Togliti il cappuccio».

Langdon afferrò il cappuccio di velluto e se lo strappò via con un gesto brusco. Si guardò intorno per capire dove si trovasse, ma scoprì di essere ancora cieco. Si sfregò gli occhi. Niente. «Peter, è buio pesto!»

«Sì, lo so. Tendi le mani davanti a te: c’è una ringhiera. Aggrappati.»

Langdon cercò a tastoni nel buio e trovò una ringhiera di ferro.

«Adesso guarda.» Langdon sentì Peter armeggiare con qualcosa e d’improvviso l’accecante fascio di luce della torcia perforò l’oscurità. Era puntato sul pavimento e, prima che Langdon potesse guardarsi intorno, Solomon lo spostò oltre la ringhiera e lo indirizzò verso il basso.

Langdon si ritrovò di colpo a guardare in un pozzo senza fondo… un’infinita scala a chiocciola che si avvitava tuffandosi in profondità nella terra. Mio Dio! Sentì cedergli le ginocchia e si aggrappò alla ringhiera. La scala era una tradizionale spirale a sezione quadrata, e Langdon riusciva a vedere almeno trenta pianerottoli scendere dentro la terra, prima che la luce della torcia sfumasse nel nulla. Non riesco neppure a vedere la fine!

«Peter…» balbettò. «Cos’è questo posto?»

«Tra un momento ti accompagnerò lino in fondo alla scala, ma prima devi vedere qualcos’altro.»

Troppo stupefatto per protestare, Langdon lasciò che l’amico lo guidasse lontano dal vano della scala e gli facesse attraversare quella strana, piccola stanza. Peter continuava a puntare la luce della torcia sul vecchio pavimento di pietra e Langdon non riusciva ad avere alcuna indicazione dello spazio intorno a loro… a parte le sue dimensioni ridotte.

Una minuscola camera di pietra.

Impiegarono pochi secondi per raggiungere la parete sul lato opposto della stanza, in cui era inserito un rettangolo di vetro. Langdon pensò che potesse essere una finestra che dava in un altro locale, ma dal punto in cui si trovava non vedeva che buio oltre il vetro.

«Forza» gli disse Peter. «Dai un’occhiata.»

«Cosa c’è di là?» Langdon ebbe un flash del gabinetto di riflessione sotto il Campidoglio e ripensò a come, per un istante, avesse creduto che nascondesse l’accesso a una caverna sotterranea.

«Guarda e basta, Robert.» Solomon lo spinse gentilmente avanti. «E tienti forte, perché quello che vedrai sarà uno shock.»

Senza avere la minima idea di cosa aspettarsi, Langdon avanzò verso il vetro. Mentre si avvicinava, Peter spense la torcia, facendo sprofondare il minuscolo locale nel buio più assoluto.

In attesa che gli occhi si adattassero all’oscurità, Langdon tastò alla cieca davanti a sé, poi le mani trovarono il muro e il vetro. Lui accostò il viso al portale trasparente.

Ancora solo buio.

Si avvicinò ancora di più… premette il viso contro il vetro.

E allora vide.

L’ondata di shock e disorientamento che lo travolse fin nel profondo sembrò sconvolgere la sua bussola interna. Per poco non cadde all’indietro, mentre la mente lottava per accettare la visione del tutto imprevista che aveva davanti agli occhi. Neppure nei suoi sogni più assurdi Robert Langdon si sarebbe mai immaginato ciò che c’era dall’altra parte di quel vetro.

Una visione meravigliosa.

Là, nel buio, una luce bianca scintillava come un gioiello.

In quell’istante Langdon capì: le transe

«Robert» sussurrò Peter alle sue spalle. «A volte è sufficiente un cambiamento di prospettiva per vedere la luce.»

Senza parole, Langdon continuava a fissare oltre il vetro. Il suo sguardo si spostò nel buio della notte, attraversò più di un chilometro di spazio vuoto, si abbassò… scese ancora… e infine si posò sopra la cupola bianchissima e illuminata del Campidoglio degli Stati Uniti.