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Si radunarono a poco a poco, e i più lenti stavano ancora salendo faticosamente il pendio pietroso mentre i primi già li attendevano: piccole figure scure, agli occhi di quelli che salivano, contro un cielo vuoto e luminoso. L’erba corta e rada della cresta era rossastra nel tramonto. Si radunarono lassù, tutti e sessantasette, e guardarono il resto del mondo. Non parlarono molto. Il resto del mondo appariva assai vasto.

Le ombre della catena che avevano scalato si stendevano lontano sulla pianura. Aldilà delle ombre la terra era dorata: un oro nebuloso, rossiccio, invernale, vagamente striato e screziato dai corsi d’acqua e dalle masse delle collinette o dei boschi di alberanelli. Aldilà dell’altopiano, al limite della visibilità, le montagne si levavano contro l’immane e ventoso cielo incolore.

— Quanto distano? — chiese qualcuno.

— Cento chilometri per arrivare alla base, forse.

— Sono grandi…

— Come quelle che abbiamo visto al nord, sopra il lago Sereno.

— Forse è la stessa catena. Era disposta verso sudest.

— Quella pianura è come il mare: non finisce mai.

— Fa freddo, quassù.

— Scendiamo: saremo riparati dal vento.

Per molto tempo, dopo che l’altopiano sprofondò nel grigiore, il piccolo orlo di ghiaccio illuminato dal sole continuò a ardere al limite della visibilità, a est. Sbiancò e sbiadì; spuntarono le stelle, fitte nella tenebra ventosa, tutte le costellazioni, tutte le luminose città che non erano la loro patria.

Il riso palustre selvatico cresceva folto in riva ai corsi d’acqua dell’altopiano: si nutrirono di quello, durante gli otto giorni della traversata. Le Colline di Ferro rimpicciolirono dietro di loro, una linea corrugata color ruggine tracciata a occidente. La pianura era popolata di conigli, di una varietà dalle zampe più lunghe di quella delle foreste costiere: le rive dei fiumi erano traforate dalle loro tane, e quando il sole spuntava i conigli uscivano e sedevano a scaldarsi, e guardavano passare gli umani con occhi tranquilli e indifferenti.

— Solo uno stupido morirebbe di fame, qui — disse Holdfast, mentre Italia posava le trappole presso un guado.

Ma proseguirono. Il vento soffiava più pungente su quell’altopiano scoperto, e non c’era legname per costruire o per accendere i fuochi. Proseguirono fino a quando il terreno dive

Nevicava raramente nella baia di Songe, e mai tanto presto. Non erano più nel clima caldo della costa occidentale. Le colline costiere, le maleterre e le Colline di Ferro catturavano la pioggia che i venti occidentali portavano dal mare; lì era più secco ma più freddo.

La grande catena verso la quale erano diretti, le aguzze vette di ghiaccio, era apparsa di rado mentre attraversavano la pianura; le nubi gonfie di neve nascondevano tutto, tra

— Con questo clima abbiamo bisogno di ben altro che di rifugi di fascine — disse cupamente Andre, strofinandosi le mani intirizzite. — Oh, che freddo.

— Si sta schiarendo — osservò Luz, guardando in alto attraverso un varco tra gli alberi, dove la valle si schiudeva sulla gola del fiume; al disopra dell’altra sponda del Rocciagrigia, la Catena Orientale scintillava enorme, blu e bianca.

— Per ora. Tornerà a nevicare.

Andre sembrava fragile, ingobbito accanto al fuoco che ardeva quasi invisibile nella fresca luce del sole mattutino: fragile, infreddolito, scoraggiato. Luz, riposata dopo un giorno trascorso senza camminare, sentiva una freschezza di spirito come quella luce: provava un grande affetto per Andre, quell’uomo paziente e ansioso. Si acquattò accanto a lui, davanti al fuoco, e gli batté una mano sulla spalla. — È un bel posto, no? — disse.

Lui a

— Andre.

Lui borbottò.

— Forse dovremmo costruire baite, non ripari.

— Qui?





— Il posto è bello…

Andre girò gli occhi sugli alti alberi rossi, sul fiume che si precipitava rumoroso verso il Rocciagrigia, sui pendii assolati e aperti a sud, sulle grandi vette azzurre a est. — È bello — disse, quasi controvoglia. — Legna e acqua in abbondanza, comunque. Pesci, conigli. Potremmo passare qui l’inverno.

— Forse dovremmo farlo, finché c’è il tempo di costruire le baite.

Chino, con le braccia appoggiate sulle ginocchia, Andre si soffregava meccanicamente le mani. Lei lo guardava, tenendogli ancora la mano sulla spalla.

— Per me andrebbe bene — disse lui alla fine.

— Se siamo arrivati abbastanza lontano…

— Dovremo radunare tutti e chiedere se sono d’accordo… — Andre la guardò e le passò un braccio intorno alle spalle. Restarono così, a fianco a fianco, dondolandosi lievemente sui talloni, vicino al fuoco tremolante e appena visibile. — Io ne ho abbastanza di fuggire. E tu?

Luz a

— Io non so. Mi chiedo…

— Cosa?

Andre fissò il fuoco illuminato dal sole: il suo volto, tirato e segnato dalle intemperie, era arrossato dal calore.

— Dicono che quando ci si smarrisce, quando ci si smarrisce davvero, si cammina sempre in cerchio. Si torna al punto di partenza. Ma non sempre ci se ne accorge.

— Questa non è la città — osservò Luz. — E neppure il paese.

— No. Non ancora.

— Non lo sarà mai — disse lei, con le sopracciglia abbassate in una dura linea diritta. — Questo è un luogo nuovo, Andre. Il luogo dell’inizio.

— Se Dio vorrà.

— Non so cosa voglia Dio. — Luz tese la mano libera, raccolse un grumo di terra umida e quasi gelata, e lo strinse nel palmo. — Questo è Dio — disse, riaprendo la mano sulla sfera semimodellata di terra nera. — Sono io. Sei tu. E gli altri. E le montagne. Siamo tutti… È un unico cerchio.

— Non ti seguo, Luz.

— Non so cosa sto dicendo. Voglio restare qui, Andre.

— Allora immagino che resteremo — disse Andre, e le batté la mano tra le spalle. — Saremmo mai partiti, mi domando, se non fosse stato per te?

— Oh, non dirlo, Andre…

— Perché no? È la verità.

— Ho già abbastanza sulla coscienza, anche senza questo. Ho… Se io…

— Questo è un posto nuovo, Luz — disse lui, gentilmente. — Qui i nomi sono nuovi. — Lei vide che aveva le lacrime agli occhi. — È qui che costruiremo il mondo. Dal fango.