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Sebbene la gente di Shantih e dei villaggi avesse cominciato a radunarsi — per la Marcia Corta, come diceva Sasha senza sorridere — già di prima mattina, non furono pronti prima di mezzogiorno; e poiché era una grande folla, resa caotica dalla presenza di molti bambini e dal continuo arrivo di ritardatari che cercavano i loro amici per marciare con loro, non si mossero molto rapidamente sulla strada che portava alla città.

Falco e Macmilan, invece, si erano mossi in fretta quando avevano saputo che una grande quantità di quelli di Shantih si era ammassata sulla strada. Già entro mezzogiorno avevano portato sulla strada le loro truppe — l’esercito di Macmilan, le Guardie della città, le guardie del corpo personali di molti Padroni, più un gruppo di volontari — e si muovevano svelti.

Perciò i due gruppi s’incontrarono sulla strada alla Collina di Roccia, più vicino al paese che alla città. L’avanguardia del Popolo della Pace superò la bassa cresta della collina e vide gli uomini della città che cominciavano a salire il pendio, verso di loro. Si fermarono. Avevano il vantaggio di trovarsi in una posizione più elevata, ma anche uno svantaggio perché moltissimi erano ancora sul versante orientale della collina e non potevano vedere ciò che succedeva e non potevano farsi vedere. Elia suggerì a Andre e Lev di ritirarsi per un centinaio di metri, per incontrare quelli della città sulla cima del colle: e anche se l’arretramento poteva essere considerato un segno di resa o di debolezza, decisero che era meglio così. Ne valse la pena, alla vista della faccia di Herman Macmilan quando raggiunta baldanzosamente la vetta vide per la prima volta cosa gli stava di fronte: quattromila persone ammassate lungo la strada, fino ai piedi dell’altura e ancor più indietro, bambini e do

Falco aveva cominciato per primo, ma c’era ancora un gran chiasso e la sua voce secca non giungeva lontano. Lev si fece avanti e prese la parola. La sua voce sommerse tutte le altre, risuonando giubilante nell’aria argentea e ventosa della collina.

— Il Popolo della Pace saluta con spirito di cameratismo i rappresentanti della città! Siamo venuti a spiegarvi ciò che intendiamo fare, ciò che vi chiediamo di fare, e ciò che accadrà se respingete le nostre decisioni. Ascoltate ciò che vi diciamo, cittadini di Victoria, perché in questo sta

Circondata dagli uomini in giubba bruna al punto che non riusciva a vedere che spalle e schiene e calci di moschetto, Vera tremava ancora ansimante per la marcia affrettata, e sbatteva le palpebre per ricacciare le lacrime. La voce chiara, forte, coraggiosa, giovane, che parlava senza collera né incertezza, cantava le parole della ragione e della pace, cantava l’anima di Lev, l’anima di Vera, l’anima di tutti, la sfida e la speranza…





— Non si tratta — disse la voce cupa e asciutta, la voce di Falco, — di negoziare o di giungere a compromessi. Su questo siamo d’accordo. La vostra presenza numerica è imponente. Ma ricordate che noi rappresentiamo la legge e che siamo armati. Non desidero che ci siano violenze. Non sono necessarie. Siete voi che ce lo imponete, portando una folla così enorme per costringerci ad accettare le vostre richieste. Ciò è intollerabile. Se i vostri cerchera

— Non esiste nessun accordo per lo scambio! — disse Lev, e la sua voce era piena di collera.

Herman Macmilan si era fatto largo tra i suoi uomini e aveva afferrato Vera per un braccio, come per impedirle di fuggire o forse per condurla avanti. Quella stretta pesante la sconvolse e la esasperò. Tremò di nuovo, ma non si svincolò e non disse niente a Macmilan. Adesso riusciva a vedere Lev e Falco; e restò immobile.

Lev era rivolto verso di lei, a una decina di metri, sulla piatta cima del colle. Il suo volto era straordinariamente luminoso nell’inquieta luce del sole. Elia gli stava al fianco e gli parlava, concitato. Lev scosse la testa e si rivolse di nuovo a Falco. — Non c’è stato nessun accordo, e non ci sarà. Lasci liberi Vera e gli altri. Sua figlia è già libera. Noi non mercanteggiamo, capite? E non badiamo alle minacce.

Le migliaia di persone ammassate sulla strada tacevano. Sebbene non tutti potessero udire ciò che veniva detto, il silenzio si era propagato tra loro: soltanto qua e là si sentiva il piagnucolio dei bambini piccoli, tenuti stretti dalle madri. Il vento soffiò più forte, e cadde. Le nubi sopra la baia di Songe si ammassavano più pesanti, ma non avevano ancora nascosto il sole.

Falco non rispondeva.

Alla fine si voltò bruscamente. Vera vide la sua faccia, rigida come ferro. Falco fece un gesto verso di lei, inequivocabilmente, invitandola a farsi avanti. Macmilan le lasciò il braccio. Incredula, Vera mosse un passo e un altro passo. I suoi occhi cercarono gli occhi di Lev: lui sorrideva. Era così facile la vittoria? Così facile?

Lo sparo del moschetto di Macmilan, accanto alla sua testa, la scagliò all’indietro, come per il rinculo dell’arma. Sbilanciata, fu gettata di lato dalla carica degli uomini in giubba bruna, e cadde carponi. Ci furono un crepitio, uno schiocco, un rombo, un acuto stridore sibilante come quello di un incendio, ma lontano, dove poteva ardere un incendio: lì c’erano soltanto uomini che si accalcavano e calpestavano e inciampavano. Vera si trascinò, cercando di nascondersi: ma non c’erano nascondigli, non c’era altro che il sibilo del fuoco, i piedi e le gambe, la calca e il terreno fradicio e pietroso.

C’era silenzio, ma non era un vero silenzio. Era un silenzio stupido, insensato, dentro la sua testa, dentro il suo orecchio destro. Scrollò il capo per scacciare quel silenzio. Non c’era abbastanza luce. Il sole era scomparso. Faceva freddo, il vento era freddo ma silenzioso. Rabbrividì e si sollevò a sedere, strinse le braccia contro il ventre. Che posto stupido per cadervi e giacere: s’irritò. Il suo bell’abito di seta arborea era infangato e macchiato di sangue, viscido sul petto e sulle braccia. Un uomo, giaceva al suolo accanto a lei. Non era grande e grosso. Le erano sembrati così giganteschi quando le stavano intorno: ma così, a terra, era esile, schiacciato al suolo come se cercasse di esserne parte, già semisommerso dal fango. Non era più un uomo, ma soltanto fango e capelli e una giubba bruna, lurida. Non era più un uomo. Non era rimasto nessuno. Lei aveva freddo, lì seduta, e quello era un posto assurdo: cercò di trascinarsi un poco. Non era rimasto nessuno che potesse travolgerla e farla cadere, ma non poteva ancora rialzarsi e camminare. D’ora in poi avrebbe dovuto sempre trascinarsi. Nessuno poteva più alzarsi. Non c’era nulla cui aggrapparsi. Nessuno poteva più camminare. Mai più. Giacevano tutti a terra, quei pochi che erano rimasti. Trovò Lev, dopo essersi trascinata per un tratto. Non era stato calpestato nel fango e nella terra come l’uomo dalla giubba bruna; c’era il suo volto, e gli occhi erano aperti e guardavano il cielo; ma non vedevano. Non era rimasta abbastanza luce. Non c’era più luce, e il vento non faceva rumore. Presto avrebbe piovuto: le nubi erano pesanti e compatte come un tetto. Una delle mani di Lev era stata calpestata, e le ossa fratturate spuntavano bianche. Vera si trascinò un po’ più in là, in un punto da dove non la vedeva, e prese l’altra mano di Lev. Era illesa, soltanto fredda. — Così… — disse, cercando di trovare le parole per confortarlo. — Così … Lev caro. — Udiva appena le parole che pronunciava, lontane nel silenzio. — Presto andrà tutto bene, Lev.