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— Allora va’ — disse Luz, a bassa voce.

Vera la guardò, sconcertata.

— Torna al paese. Questa notte. Ti farò uscire. E domani lo dirò a mio padre, che sono stata io. Posso fare qualcosa… qualcosa, oltre a starmene qui a cucire e imprecare e ascoltare quello stupido Macmilan!

Agile, energica, imperiosa, Luz era balzata in piedi, ritta accanto a Vera che restava immobile, quasi rattrappita.

— Ho dato la mia parola, Luz Marina.

— Cosa importa?

— Se non dico la verità, non posso cercare la verità — rispose Vera, in tono duro.

Si fissarono, serie, decise.

— Io non ho figli — disse Vera. — E tu non hai madre. Se potessi aiutarti, piccola, lo farei. Ma non è così. Io mantengo le promesse.

— Io non faccio promesse — disse Luz.

Liberò un tratto di filo dal fuso. Vera l’avvolse in matassa.

VI

Manici di frusta battevano sulle porte. Echeggiavano voci maschili; giù, alla Fattoria del Fiume, qualcuno gridava e urlava. Gli abitanti del villaggio si raccoglievano in gruppo nella fredda nebbia che odorava di fumo; non era ancora spuntato il giorno, e le case e i volti erano perduti nella nebbia e nel buio. Nelle casette i bambini, spaventati dalla paura e dalla confusione dei genitori, strillavano. Gli adulti cercavano di accendere le lampade, di trovare gli abiti, di acquietare i figli. Le guardie della città, eccitate, armate fra gli inermi e vestite fra quella gente svestita, spalancavano le porte, entravano nelle calde e buie case, spingevano gli uomini da una parte e le do

— Precettazione di manodopera. Mettiti in fila con gli altri.

Lev conosceva la guardia, un uomo alto che si chiamava Angel: erano stati a scuola insieme per un a



— Mettiti in fila — ripeté Angel, e brandì il moschetto appoggiando il calcio contro il petto di Lev. Ansimava quasi altrettanto forte, e aveva gli occhi dilatati. Proruppe in una specie di risata convulsa, guardando il calcio del moschetto che si alzava e si abbassava al ritmo del respiro affa

Stordito dal terribile rumore, Lev barcollò, arretrando, e spalancò gli occhi. La faccia di Angel era diventata grigia: rimase stordito per qualche secondo, scosso dal rinculo di quell’arma rudimentale.

Gli uomini del villaggio che stavano dietro Lev, credendo che Angel gli avesse sparato, avanzarono in massa, e le altre guardie corsero insieme a loro, gridando e imprecando; le lunghe fruste si snodarono e schioccarono, guizzando stranamente nella nebbia. — Sto bene — disse Lev. Sentiva la propria voce debole e lontana. — Sto bene! — gridò con tutte le forze. Sentì che anche Angel gridava, e vide un uomo del villaggio colpito in faccia da una frustata. — Rimettetevi in fila! — Si unì agli altri, in gruppo; poi ubbidendo alle guardie, si avviarono, a due o a tre, dirigendosi verso sud lungo l’accidentato sentiero.

— Perché andiamo a sud? Non è la strada per la città: perché andiamo a sud? — chiese a bassa voce un ragazzo di diciott’a

— Precettano manodopera — disse Lev. — Per chissà quale lavoro. Quanti ne ha

— Tutti gli uomini della nostra valle. Perché dobbiamo andare?

— Per riportare indietro gli altri. Quando saremo tutti insieme, potremo agire insieme. Andrà tutto bene. Nessun ferito?

— Non so.

— Andrà tutto bene. Non mollare — bisbigliò Lev, senza sapere cosa diceva. Rallentò il passo e rimase indietro, finché si trovò accanto all’uomo che era stato colpito dalla frustata. Camminava coprendosi gli occhi con un braccio, e un altro gli teneva la spalla per guidarlo. Erano gli ultimi della fila: una guardia li seguiva, appena visibile nella bassa nebbia.

— Ci vedi?

— Non lo so — disse l’uomo, premendosi il braccio sulla faccia. I grigi capelli erano irti e scomposti; indossava una camicia da notte e un paio di calzoni, ed era scalzo; i grossi piedi nudi sembravano stranamente infantili, e inciampavano nei sassi e nel fango della strada.

— Scosta il braccio, Pamplona — disse ansiosamente l’altro uomo. — Lasciaci dare un’occhiata.

La guardia che li seguiva gridò qualcosa, una minaccia o l’ordine di affrettare il passo.

Pamplona abbassò il braccio. Teneva gli occhi chiusi. Uno era inde

Più di cento uomini furono rastrellati dai villaggi e dalle fattorie a sud e a ovest di Shantih per lavorare nelle nuove tenute della Valle Sud. Vi arrivarono a metà mattina, mentre la nebbia si alzava dal Fiume del Mulino in volute frementi. Parecchie guardie erano state piazzate sulla Strada Sud per impedire che da Shantih arrivasse qualcuno ad aiutare i forzati. Furono distribuiti gli attrezzi, zappe e vanghe e roncole; gli uomini furono messi al lavoro in gruppi di quattro o cinque, e ogni gruppo era sorvegliato da una guardia con frusta o moschetto. Non erano state costruite baracche per loro e per le trenta guardie. La sera accesero fuochi con la legna bagnata e dormirono sull’umido suolo. Erano stati portati i viveri, ma il pane era inzuppato di pioggia e ridotto in poltiglia. Le guardie borbottavano rabbiosamente. Gli uomini del villaggio parlavano e parlavano. All’inizio l’ufficiale che comandava l’operazione, il capitano Eden, aveva cercato di proibir loro di parlare, temendo un complotto; poi, quando si accorse che un gruppo stava discutendo con un altro per stabilire chi era favorevole all’idea di fuggire durante la notte, li lasciò parlare. Non aveva la possibilità d’impedire che si dileguassero, soli o a due a due, nell’oscurità: le guardie erano piazzate tutt’intorno con i moschetti, ma al buio non potevano vedere, ed era impossibile tenere i fuochi accesi sotto la pioggia, e non avevano potuto costruire un «recinto» com’era stato ordinato. Gli uomini del villaggio avevano lavorato duramente per sgombrare il terreno, ma si erano rivelati inetti quando avevano ricevuto l’ordine di costruire una palizzata o uno steccato con gli arbusti e i rovi recisi, e i suoi uomini non potevano abbandonare le armi per addossarsi quel compito.