Добавить в цитаты Настройки чтения

Страница 7 из 48



Sebbene su Aka le tecnologie e le conquiste dei mondi ekumenici fossero considerate fulgidi modelli, di esempio in ogni campo, i quattro visitatori dell’Ekumene erano tenuti, come diceva Tong, sotto una campana di vetro. Di tanto in tanto venivano mostrati al pubblico e nei quasiveri, figure sorridenti sedute a un banchetto dell’Azienda o accanto al capo di qualche dicastero che teneva un discorso; ma non erano invitati a parlare, loro. Solo a sorridere. Forse i ministri non si fidavano, temevano che gli ospiti dicessero qualcosa di sbagliato. Forse i ministri li consideravano esempi piuttosto scialbi e insipidi delle civiltà superiori che Aka si stava sforzando tanto di emulare. La maggior parte delle civiltà, forse, sembravano più scintillanti se osservate in generale e da parecchi a

Aveva conosciuto molti akani e li aveva trovati quasi tutti simpatici, tuttavia dopo metà a

Sul traghetto, invece, la gente parlava. Parlava a livello personale, intimamente, esaurientemente. Si appoggiava al parapetto e parlava, si sedeva sul ponte a parlare, si fermava a tavola con un bicchiere di vino e parlava.

Una parola o un sorriso di Sutty erano sufficienti perché fosse ammessa alla conversazione. E lei si rese conto, un po’ alla volta, dato che la cosa la sorprese non poco, che ignoravano che lei era straniera.

Tutti sapevano che c’erano degli Osservatori dell’Ekumene su Aka; li avevano visti nei quasiveri, quattro figure così distaccate e insignificanti tra i ministri e i dirigenti, stranieri impettiti in mezzo ai palloni gonfiati; non si aspettavano di incontrarne uno tra la gente comune.

Sutty era convinta non solo che sarebbe stata riconosciuta, ma anche che l’avrebbero isolata e tenuta a distanza in tutti gli spostamenti. Però non le avevano offerto una guida, e lei non aveva notato alcun sorvegliante che la tenesse d’occhio. A quanto pareva, l’Azienda aveva deciso di lasciarla viaggiare proprio da sola. In città era stata sola, ma sotto la campana di vetro, una bolla di isolamento. La bolla era scoppiata. E lei era fuori.

Era un po’ intimorita, quando ci pensava, ma in fin dei conti non ci pensava tanto, perché era troppo piacevole. Era accettata… una dei passeggeri, una della folla. Non doveva spiegare, non doveva eludere le domande, perché nessuno le chiedeva nulla. Parlava un dovzano quasi privo d’accento, lo parlava senza dubbio con un accento meno marcato rispetto a molti akani non originari della regione di Dovza. Vedendo i suoi tratti somatici — bassa, esile, pelle scura — la gente immaginava che lei fosse della parte orientale del continente. «Sei dell’Est, vero?» dicevano. «Mia cugina Muniti ha sposato un uomo di Turu…» E poi continuavano a parlare di sé.

Sutty li sentì parlare di loro, dei loro cugini, delle loro famiglie, delle loro occupazioni, delle loro opinioni, delle loro case, delle loro ernie. Chi aveva animali da compagnia viaggiava in battello, scoprì coccolando il micino affettuoso di una do



Mentre il battello continuava a risalire il fiume, spingendosi sempre più nell’entroterra, cominciarono a salire a bordo passeggeri di tipo diverso. Per la gente di campagna, il battello fluviale era il mezzo più semplice ed economico per spostarsi da una cittadina all’altra: s’imbarcava qui e scendeva là. Adesso le città erano più piccole, senza grandi edifici. Al settimo giorno, i passeggeri non salivano a bordo con animali da compagnia e bagagli, ma con cesti contenenti pollame e capre al guinzaglio.

Non erano esattamente capre, né caprioli, né mucche, né creature terrestri d’altro genere, erano eberdin, però belavano, e avevano pelo serico: nell’ecologia mentale di Sutty occupavano la nicchia della capra. Venivano allevati per il latte, la carne, e il pelo serico. In passato, stando alla pagina colorata di un libro illustrato recuperata dalla trasmissione sabotata, gli eberdin trainavano carri e venivano usati addirittura come cavalcature. Sutty ricordava le bandiere rosse e azzurre sul carro, e la scritta sotto l’immagine: IN VIAGGIO VERSO LA MONTAGNA D’ORO. Si chiese se si fosse trattato di una storia fantastica per bambini o di un’altra razza di eberdin. Nessuno poteva cavalcare le bestiole che vedeva, perché arrivavano sì e no al ginocchio. All’ottavo giorno, salivano a bordo a greggi interi. Il ponte di poppa pullulava di eberdin.

La gente di città con gli animali da compagnia e i viaggiatori che avevano paura di volare erano tutti sbarcati di buon’ora quella mattina a Eltli, una città da cui partiva una linea ferroviaria che collegava con le località di soggiorno della Catena delle Sorgenti Meridionali. Vicino a Eltli, l’Ereha attraversava tre chiuse, una molto alta. Oltre le chiuse, il fiume cambiava: diventava più impetuoso, più stretto, più rapido; le sue acque non erano più di un blu torbido venato di marrone, ma di un etereo verdazzurro.

A Eltli terminarono anche le lunghe conversazioni. La gente di campagna ora a bordo del battello non era ostile, ma schiva con gli estranei, e parlava perlopiù con i conoscenti, in dialetto. Sutty accolse volentieri la ritrovata solitudine, che le consentiva di osservare.

A sinistra, mentre il fiume piegava in direzione nord, si susseguivano svettanti picchi montani, roccia nera, ghiacciai candidi. Di fronte al battello, a monte, non si vedeva alcuna vetta, nulla di sensazionale, il terreno saliva solo lentamente, continuava a salire a poco a poco. E il Traghetto Otto, ora pieno di belati e di strida rauche, e di voci sommesse e intermittenti di campagnoli, e di odori di letame e di pane fritto e di pesce e di melone, procedeva lento, coi motori silenziosi impegnati in uno sforzo notevole per vincere la forte corrente, avanzando tra ampie sponde rocciose e pianure senz’alberi coperte di erba, un’erba sottile, sbiadita, piumosa. Scrosci di pioggia si riversarono sul terreno, cadendo da grandi nubi che si muovevano veloci, poi la pioggia cessò, lasciando il posto al sole, all’aria tersa, alla fragranza di terra. La notte fu silenziosa, fredda, stellata. Sutty rimase alzata fino a tardi e si svegliò presto. Uscì in coperta. A est il cielo si stava rischiarando. Oltre la distesa in ombra delle pianure occidentali, l’alba accese a uno a uno, come fiammiferi, i picchi lontani.