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Adesso aveva superato l'altezza massima a cui potesse giungere qualunque tipo di aereo, e quello che aveva compiuto era già un fatto unico nella storia dei trasporti. Il Ragno e i suoi prototipi avevano compiuto i

Cinquanta chilometri. Si trovava in quello che, in tempi normali, sarebbe stato lo strato più basso della ionosfera. Non si aspettava di vedere qualcosa, ma si sbagliava.

Il primo segno fu un debole scricchiolìo dell'altoparlante della capsula; poi, con la coda dell'occhio, vide un guizzo di luce. Si trovava direttamente sotto di lui, riflesso nello specchio rivolto in basso che si trovava all'esterno del piccolo finestrino del Ragno. Spostò lo specchio al massimo, fino a puntarlo su una zona di cielo due metri sotto la capsula. Per un attimo fissò lo spettacolo con sorpresa, e con un po' più d'un briciolo di paura; quindi chiamò la Montagna.

— Ho compagnia — disse. — Credo che sia roba di competenza del professor Sessui. C'è una sfera di luce, di una ventina di centimetri di diametro, che corre su per il nastro appena sotto di me. Si tiene a una distanza sempre uguale, e spero che ci resti. Però debbo dire che è bellissima: un blu delizioso, che si accende a intervalli di pochi secondi. E la sento sul circuito radio.

Ci volle un minuto prima che Kingsley gli rispondesse con tono rassicurante.

— Non preoccuparti. È solo un fuoco di Sant'Elmo. Si sono già verificati fenomeni del genere sul nastro, durante i temporali. Sul prototipo del Ragno potevano anche essere pericolosi, ma a te non succederà niente. Sei schermato troppo bene.

— Non avevo idea che potessero formarsi a quest'altezza.

— Nemmeno noi. Sarà meglio parlarne al professore.

— Oh… Scompare… Diventa più grande e meno luminoso… Adesso è svanito… Immagino che l'atmosfera sia troppo rarefatta. Mi spiace che sia svanito.

— Quello era solo un anticipo — disse Kingsley. — Guarda un po' al di sopra di te.

Una parte rettangolare del cielo stellato si riflesse nello specchio, mentre Morgan lo puntava verso lo zenit. Dapprima non riuscì a vedere niente d'insolito, per cui spense tutte le luci del pa

I suoi occhi si abituarono al buio, e nelle profondità dello specchio un debole chiarore rosso cominciò a bruciare, ed estendersi, e divorare le stelle. Si fece sempre più forte, uscì dai limiti dello specchio: adesso lo vedeva direttamente, perché si estendeva lungo tutta la metà inferiore del cielo. Una gabbia di luce, dalle sbarre scintillanti e irrequiete, stava scendendo sulla Terra; e ora Morgan riusciva a capire come mai un uomo del calibro del professor Sessui potesse dedicare l'esistenza a svelare quei misteri.

In una delle sue rare visite all'equatore, l'aurora boreale si era spinta fin lì dai poli.

47



Oltre l'aurora boreale

Morgan dubitava che persino il professor Sessui, cinquecento chilometri più in alto, avesse una visuale così spettacolare. La tempesta si stava sviluppando in fretta; le onde corte radio, ancora usate per molti servizi non essenziali, dovevano già essere inutilizzabili nel mondo intero. Morgan non era certo se udiva con le orecchie o con altri sensi un rumore debole, simile al sospiro della sabbia che cade o allo scricchiolìo di ramoscelli secchi. Di certo non proveniva dall'altoparlante, come era successo con l'interferenza della sfera di fuoco, perché quando interruppe il circuito audio il rumore non cessò.

Sipari di un fuoco verde pallido, scarlatti agli orli, venivano distesi lungo il cielo e poi scossi lentamente avanti e indietro, come da una mano invisibile. Tremavano sotto il soffio del vento solare, la corrente che a un milione di chilometri l'ora soffiava dal Sole alla Terra, e molto oltre. Persino al di sopra di Marte s'era acceso un debole spettro colorato; e, controsole, i cieli micidiali di Venere erano in fiamme. Sopra i sipari, lunghi raggi simili alle stecche di un ventaglio semiaperto spazzavano l'orizzonte. A volte colpivano Morgan direttamente negli occhi, come le luci di riflettori giganteschi, lasciandolo abbagliato per interi minuti. Non era più necessario tener accesa l'illuminazione della capsula per respingere il buio: quei fuochi celesti erano talmente forti che alla loro luce si sarebbe potuto leggere.

Duecento chilometri. Il Ragno continuava a salire in silenzio, senza sforzi. Era difficile credere di essersi staccato dalla Terra solo un'ora prima. E anche difficile credere che la Terra esistesse ancora perché adesso lui viaggiava fra le pareti di un canyon di fuoco.

L'illusione durò pochi secondi; poi si spezzò l'equilibrio momentaneo, instabile, tra campi magnetici e nubi elettriche. Ma in quel breve istante Morgan poté davvero credere di risalire un abisso straordinariamente più grande anche di Valles Marineris, il Grand Canyon di Marte. Poi quei picchi scintillanti, alti almeno cento chilometri, dive

E adesso, come un aereo che uscisse da un banco di nubi basse, il Ragno si arrampicava al di sopra di quello spettacolo. Morgan stava riemergendo da una nebbia di luce che si agitava e ruotava sotto di lui. Molti a

Aveva quasi dimenticato la propria missione, e fu per lui un vero colpo sentirsi richiamare al dovere.

— Com'è la situazione dell'energia elettrica? — chiese Kingsley. — Quella batteria deve durarti solo altri venti minuti.

Morgan guardò il pa

— È scesa al novantacinque per cento, ma la mia velocità di salita è aumentata del cinque per cento. Sto andando a duecentodieci chilometri all'ora.

— Più o meno è giusto. Il Ragno risente della gravità inferiore. Al tuo livello è già scesa del dieci per cento.

Troppo poco per accorgersene, in particolare se si era legati a un sedile con diversi chili di tuta spaziale addosso. Eppure Morgan si sentiva leggero. Si chiese se gli arrivava troppo ossigeno.

No, il flusso era normale. Doveva trattarsi del piacere prodotto dal meraviglioso spettacolo che aveva sotto, che però adesso andava scomparendo, si ritirava a nord e a sud, come per riprendere possesso dei poli. E poi c'era anche la soddisfazione di una missione iniziata perfettamente, servendosi di una tecnologia che nessuno aveva sperimentato a quei limiti.

La spiegazione era perfettamente ragionevole, però non lo soddisfaceva. Non bastava a spiegare il suo senso di felicità, addirittura di gioia. Warren Kingsley, subacqueo appassionato, gli aveva raccontato spesso che provava sensazioni del genere nell'ambiente privo di peso del mare. Morgan non lo aveva mai capito sino in fondo, ma adesso intuiva di cosa dovesse trattarsi. Gli sembrava di aver lasciato tutte le preoccupazioni sul pianeta nascosto sotto i sipari e i raggi sempre più deboli dell'aurora boreale.