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Robin capiva che quell’uomo era talmente abituato a mentire, che lui stesso non sapeva più quale era la verità. Era anche ovvio che Gaby lo terrorizzava veramente. Era il doppio della do

Gaby si alzò in piedi e fece un gesto con il coltello.

— Alzati, Gene. Non fartelo ripetere.

— Non mi farai del male?

— Se ti rivedrò, ti farò male, e forte. Ci siamo capiti? Dico che non ti ucciderò. Ma se mai dovessi rivederti, in qualsiasi luogo, in qualsiasi momento, ti farò male sul serio. Da questo momento in poi, fare in modo che i nostri cammini non si incontrino sarà affar tuo.

— Puoi esserne certa, lo prometto, lo prometto.

— La prossima volta che ti incontro, Gene — disse lei, e indicò con il coltello — ti taglio anche l’altra.

Il coltello non aveva indicato l’orecchio sano, ma notevolmente più in basso.

16

Il club dei circumnavigatori

Anche se c’era il forte braccio di Cornamusa a sorreggerla, Cirocco cadde due volte mentre veniva fatto il carico dei titanidi. Continuò però a dichiarare che intendeva farcela con i propri mezzi.

L’equipaggiamento che Chris si era procurato era ad attenderlo, come promesso, in una capa

Mentre metteva a posto il bagaglio, Chris osservò Gaby e Cornamusa che cercavano di calmare Cirocco e di farla salire sul titanide. La scena era un po’ patetica, ma anche leggermente preoccupante. Notò che anche Robin, in groppa a Oboe pochi metri più in là, osservava la scena. Era buio pesto, e l’unica luce veniva dalle lucerne a olio dei titanidi, ma Chris poté vedere che Robin aggrottava la fronte.

— Hai cambiato idea e non vuoi più partire? — le chiese.

Lei lo fissò, sorpresa. Non si erano mai parlati in precedenza, almeno nei periodi in cui lui non soffriva di amnesia, e Chris si chiedeva che cosa la ragazza pensasse di lui. Quanto a lui, la trovava decisamente strana. Aveva saputo che quelli che gli erano parsi disegni erano in realtà dei tatuaggi. Serpenti dalle scaglie multicolori che partivano, con la coda, in basso dall’alluce destro, e in alto dal mignolo sinistro, poi salivano arrotolandosi lungo il braccio e la gamba per infine sparire sotto i vestiti. Si chiedeva che aspetto avessero le teste, e se ne avesse ancora degli altri.

Lei tornò a dedicarsi ai pacchi. — Quando prometto di partire, parto — disse. Le erano caduti i capelli sugli occhi, e quando scosse la testa per rimetterli a posto, rivelò un’altra delle sue stranezze. Si era rasata gran parte del lato sinistro della testa, per fare in modo che si vedesse un complesso disegno a forma di pentagono, tutt’intorno all’orecchio sinistro. Pareva che portasse la parrucca e che questa le fosse scivolata fuori posto.





Robin lanciò ancora un’occhiata all’indirizzo di Cirocco, poi rivolse a Chris quello che forse poteva essere interpretato come un sorriso amichevole. I tatuaggi non permettevano di capirlo.

— Capisco cosa vuoi dire, però — ammise. — Possono chiamarla Maga, se vogliono, ma quando vedo un’alcolizzata la so riconoscere anch’io.

Chris e Valiha furono gli ultimi a emergere dall’oscurità sotto l’albero di Titantown. Lui batté per un attimo gli occhi, a causa della forte luce, e poi sorrise. Era lieto di essere in cammino. La destinazione verso cui era diretto non aveva importanza.

Gli altri tre gruppi facevano una bella figura, mentre si arrampicavano sulla prima collina e scendevano lungo la strada polverosa e cotta dal sole, tra i campi di grano giallo e alto. Gaby procedeva davanti a tutti, vestita del suo completo da Robin Hood, verde e grigio, montata su Salterio, dal mantello color cioccolato scuro e dalla criniera arancione. Dietro di loro veniva Cornamusa, con Cirocco stesa sulla sua schiena. Si vedevano solo le gambe, che spuntavano dalla coperta stinta. Vista nella penombra, la criniera di Cornamusa sembrava nera, ma ora, agitata dal vento dietro di lui, scintillava come un nido di minuscoli cristalli. Anche i disegni bruni e oliva di Oboe parevano bellissimi alla luce del sole, e la sua esplosione di capelli bianchi era uno spettacolo indimenticabile. Robin cavalcava in piedi, con la schiena dritta e i piedi sulle sacche dei bagagli, vestita di un paio di calzoni larghi e di una leggera camicia di maglia.

Chris cercò di mettersi comodo sulla larga schiena di Valiha. Quando trasse un profondo respiro, gli parve di cogliere nell’aria quella caratteristica indefinibile che precede un temporale estivo. A ovest poteva vedere nubi scure al di sopra di Oceano. Parevano grandi fiocchi di cotone, e si assottigliavano verso nord e verso sud. Alcune avevano forma di salsicce, e quelle più alte e sottili parevano srotolarsi progressivamente, lasciando sotto di sé un sottile strato bianco. Era dovuto alla forza di Coriolis, gli avevano detto, ma lui non sapeva che cosa fosse.

Era la giornata ideale per mettersi in viaggio, concluse.

Chris non aveva mai pensato di poter dormire sulla schiena di un titanide, ma evidentemente si sbagliava. Ve

Salterio si era diretto verso un lungo argine che giungeva a Ofione. Valiha lo seguì, e presto i suoi zoccoli batterono su assi di legno. Legate al pontile c’erano quattro grandi canoe. Erano fatte di centine di legno, su cui era teso un materiale argenteo. Assomigliavano alle barche di alluminio che da quasi due secoli erano usate sui laghi e sui fiumi della Terra. Il fondo era rinforzato con assi di legno. Al centro di ciascuna c’era un mucchio di viveri, coperto di tela rossa e tenuto fermo da corde.

Pescavano poco, ma quando Salterio salì su una di esse, la barca si immerse notevolmente. Chris osservò affascinato il titanide che si muoveva sullo stretto ponte della barca, intento a togliersi il carico e a riporlo a poppa. Non aveva mai pensato ai titanidi come a una razza di marinai, ma Salterio pareva sapere perfettamente come si conduceva una barca.

— Adesso devi scendere — gli disse Valiha. Aveva girato la testa di centottanta gradi, cosa che faceva sempre accapponare a Chris la pelle del collo, quando glielo vedeva fare. Cercò di darle una mano con le cinghie, ma presto si accorse che riusciva soltanto a rallentarle il lavoro. Quelle pesanti sacche parevano cuscini di piume, tanta era la facilità con cui le spostava la titanide.

— Le barche possono contenere due titanidi e un po’ di bagaglio, o tutt’e quattro gli umani — diceva Gaby. — Oppure possiamo lasciare le coppie come sono, una per barca. Come preferite?

Robin era ferma sul bordo dell’argine e fissava le barche con aria preoccupata. Poi si voltò e alzo le spalle. Ficcò le mani in tasca e guardò l’acqua aggrottando la fronte, come se qualcosa le desse fastidio.

— Non so — disse Chris. — Forse sarebbe preferibile… — Si accorse che Valiha lo teneva d’occhio, e che poi si affrettava a girarsi dall’altra parte. — Rimanere con Valiha, penso.

— Per me non ha importanza — disse Gaby — purché in ciascuna delle barche ci sia almeno una persona in grado di manovrare i remi. Tu sei capace di farlo?