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— Entrate — disse l’ambasciatore. — Prendete una sedia, e accomodatevi. Arrivo tra un minuto, perché prima voglio sapere dov’è Tzigano. — Fece per alzarsi.

— Se vi riferite a una titanide con la pelle che sembra una coperta, ha fatto un tuffo nella Baia.

L’ambasciatore, che fino a quel momento aveva sollevato soltanto i quarti posteriori, e teneva ancora le mani appoggiate sulla scrivania, s’immobilizzò. Lentamente, riabbassò il posteriore.

— In tutto l’Ovest americano c’è un solo titanide con la pelle «che sembra una coperta», ed è un maschio che si chiama Tzigano. — Fissò Chris’fer, socchiudendo gli occhi. — Si è trattato di un tuffo ricreativo, oppure aveva ragioni più impellenti?

— Direi che si è accorto improvvisamente di dover entrare in acqua. C’erano cinquanta persone che gli correvano dietro.

L’ambasciatore fece una smorfia. — Sarà stato uno dei suoi soliti approcci. Da quando è stato con gli umani, non ne ha mai abbastanza. Accomodatevi, devo chiarire la cosa con la polizia. — Prese un vecchio telefono audio e disse che voleva parlare con il municipio. Chris’fer prese l’unica sedia della stanza, la portò accanto alla scrivania, e si mise a sedere. Mentre la titanide parlava, si guardò attorno.

Era un ufficio molto grande, come richiesto dalla mole dei titanidi. C’erano vari soprammobili artistici del dicia

Gran parte del pavimento era coperta da un sottile strato di paglia, e in un angolo se ne scorgevano alcune balle. L’ambasciatore Cantata riagganciò il telefono e prese una bottiglia di tequila, con l’altra mano afferrò un limone e se lo cacciò in bocca; masticò il limone, bevve mezza bottiglia. Guardò Chris’fer con aria strana.

— Non avete con voi del sale, vero?

Chris’fer scosse la testa.

— Peccato. Volete bere? Oppure, un limone? Devo avere un coltello… — Cominciò a frugare nei cassetti, ma poi smise di fronte all’educato rifiuto di Chris’fer.

— Mi era sembrata una femmina — disse Chris’fer.

— Eh? Tzigano, volete dire. Sì, è uno sbaglio che fa

Lui raddrizzò leggermente la schiena. — Mi chiamo Chris’fer Minor, e mi serve un visto. Vorrei vedere Gea.

La titanide aveva cominciato a scrivere qualcosa su un modulo. A questo punto, alzò gli occhi e mise il modulo da una parte.

— Vendiamo i visti in tutti i grandi aeroporti — disse. — Non c’era bisogno di venire da me. Basta prendere i soldi e infilarli nella macchina distributrice.

— No — disse lui, con la voce che tremava leggermente. — Voglio vedere Gea di persona. Ho bisogno di farlo. È la mia ultima possibilità.

2

Ubi Major…

— Allora, volete un miracolo — disse la titanide, con impeccabile accento irlandese. — Volete recarvi in cima alla montagna e chiedere a Gea di realizzare il vostro grande desiderio. Volete farle perdere del tempo prezioso per risolvere il problema che a voi pare tanto importante.

— Qualcosa del genere. — S’interruppe, mordendosi il labbro inferiore. — Proprio così, suppongo.

— Lasciatemi indovinare. Un problema medico. Un problema di vita e di morte.

— Medico. Ma non di vita e di morte. Vedete, si tratta di…





— No, aspettate. — Sollevò le mani, con le palme rivolte verso di lui. Non intendeva concedergli il visto, si disse Chris’fer.

— Riempiamo il modulo, prima di procedere. — Cominciò dalla cima del foglio, scrivendo la data del giorno, e poi chiese, con una smorfia: — Come si scrive, il vostro nome? Con l’apostrofo?

Nei dieci minuti seguenti, Chris’fer le diede le solite informazioni che si davano in qualsiasi ufficio aperto al pubblico: numero di ONU-IDENTITÀ, nome del coniuge, età, sesso… («WA3874-456-11093, scapolo, ventinove, maschio eterosex…»). A partire dai sei a

— Motivo della visita a Gea? — chiese la titanide. Chris’fer appoggiò le dita di una mano a quelle dell’altra, coprendosi parzialmente la faccia.

— Ho questa malattia. È… difficile da descrivere. È una malattia ghiandolare o neurologica, non lo ha

La titanide sbuffò. — Siete sicuro di voler proprio guarire? Molti di noi saprebbero come utilizzarlo, quel po’ di fortuna in più.

— Non c’è niente di divertente, almeno per me. Non c’è nessuna medicina che riesca a fermarlo. Posso soltanto prendere dei tranquillanti in previsione dell’attacco. Da a

L’ambasciatrice lo fissò con occhi grandi, impenetrabili, e poi tornò a guardare il modulo che stava compilando. Chris’fer la osservò. Nello spazio dove c’era scritto: «Motivo della richiesta», la titanide segnò: «Malato». Poi fissò quella parola, aggrottando la fronte e, dopo averla cancellata con un frego, scrisse: «Pazzo».

Chris’fer sentì che le orecchie gli bruciavano. Stava per protestare, ma lei lo precedette con un’altra domanda.

— Che colore preferite?

— Azzurro. No, verde… c’è davvero scritto?

Lei girò leggermente il modulo, per fargli vedere che c’era davvero scritto.

— Allora, decidete per il verde?

Incapace di fare obiezioni, lui a

— Età a cui avete perso la verginità.

— Quattordici.

— Come si chiamava lui o lei, e di che colore aveva gli occhi?

— Lyshia. Azzurri.

— Avete avuto ulteriori rapporti sessuali con lui o lei?

— No.

— Chi è, secondo voi, il più grande musicista di ieri e di oggi?

Chris’fer cominciava a irritarsi. In cuor suo, Rea Pashkorian doveva essere la migliore; lui si era comprato tutti i suoi nastri.

— John Philip Sousa.

Lei sorrise senza alzare la testa, e Chris’fer non riuscì a capirne il motivo. Si era aspettato un invito a comportarsi seriamente, o a non cercare di influenzare l’interrogante, ma pareva che la titanide si prestasse al gioco. Con un sospiro, aspettò le altre domande.