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Ora, osservando il cratere di Grandioso che si stendeva sotto di lei, le parve di capirlo. Buona parte del carico doveva essere costituito di costumi fatti di gemme. Anche quando erano nudi, i titanidi cercavano di rendersi appariscenti come caleidoscopi al neon, e questo, per un titanide, non era mai abbastanza. Anche in città, senza che ci fosse una particolare occasione, riuscivano sempre a mettersi addosso almeno un chilo di pendagli, collanine, braccialetti e campanellini vari. Dove avevano la pelle nuda, la dipingevano; dove avevano del pelo, lo tingevano, facevano treccioline, lo decoloravano. Si foravano non solo le orecchie, che erano più lunghe di quelle dei terrestri, ma anche le narici, i capezzoli, le grandi labbra e il prepuzio, e ci infilavano qualcosa che luccicasse o che brillasse. Si foravano gli zoccoli, che erano durissimi e rosso-trasparenti come rubini, e inchiodavano in essi gemme di colori contrastanti con lo sfondo. Era raro vedere un titanide non adorno di qualche fiore appena colto: lo portavano infilato nei capelli o dietro le orecchie.

Ma, a quanto pareva, quello che Robin aveva visto fino a quel momento non era niente. Perché in occasione del Festival Rosso i titanidi gettavano davvero al vento ogni ritegno e finalmente inalberavano i loro veri, sfarzosi ornamenti.

La musica raggiunse un acme di pulsazione e poi svanì, anche se continuò a echeggiare sulla roccia. A Robin pareva ingiusto lasciar morire una cosa viva come i suoni che aveva udito fino a quel momento, e infatti non li lasciarono morire. La banda attaccò Bandiera nazionale di E.E. Bagley. Da quel momento in poi, la musica non si interruppe più.

Ma, durante la brevissima pausa, Robin vide che qualcuno stava salendo fino a lei. Provò fastidio per quella che si a

Certo, quella do

— Salve — disse, mettendosi a sedere accanto a Robin, con le gambe all’esterno della cengia. — Spero di non disturbare.

— Va benissimo. — Robin guardava la banda.

— In realtà, non marciano affatto — disse la do

— Chi?

La do

Robin non sarebbe stata in grado di riconoscere una vera banda musicale in marcia neppure se l’avesse avuta sotto gli occhi, e la cosa le importava poco. I salti e le danze dei titanidi le andavano benissimo. Sousa doveva essere l’uomo che aveva scritto la marcia, ma anche questo aveva poca importanza. La do

La do





Si lasciò esaminare da Robin per un ragionevole periodo di tempo; poi mosse leggermente la testa e rivolse tutta l’attenzione su di lei. Gli occhi sorrisero prima delle labbra, ma quando queste si schiusero, Robin scorse una fila di denti bianchi e regolari. La do

— Sono Gaby Plauget — disse.

— Che il sacro flusso ci… — Robin sgranò gli occhi.

— Non dirmi che la Congrega si ricorda ancora di me. Davvero? — Il sorriso si allargò, e strinse ancor di più la mano di Robin. — Tu devi essere Robin dalle Nove Dita. È tutto il giorno che ti cerco.

12

La sposa prescelta

Quando ne ve

Qualcuno lo afferrò per il gomito e lo tirò via dalla fila dei danzatori, lo fece girare su stesso; Chris si trovò con la faccia quasi piantata contro il seno di un altro titanide.

— Ho detto che dobbiamo partire subito, per non arrivare tardi alla mia rivista — disse il titanide, che era una femmina, e abbassò in modo strano la manona. Nel vedere che lui non acce

Un impulso che non avrebbe saputo spiegare lo portò a sollevare il piede, scalzo, e a posarlo nella mano della titanide. Forse era un riflesso fantasma, il corpo che ricordava ancora un’abitudine che la mente aveva dimenticato. Ma era la cosa giusta da fare. Lei lo sollevò; lui si afferrò alla spalla della titanide e si trovò in groppa. La pelle della titanide era priva di peli, in predominanza gialla, ma picchiettata di macchioline scure, come una banana matura. Sotto le gambe, dove erano in contatto con il dorso della titanide, Chris sentiva la giusta temperatura e la giusta consistenza: come pelle umana, ma stesa su una struttura diversa.

Lei ruotò il torso e si abbassò da un lato, in modo da mettergli il braccio sulle spalle. Negli occhi grandi, quasi a mandorla, si leggeva una grande eccitazione. Chris rimase assai stupito quando lei lo baciò sulle labbra, premendo forte. Era talmente grossa che a Chis pareva di essere ritornato un bambino di sei a

— Porta fortuna, tesoro. Le coppie e il modo sono già fissati. Adesso, basta solo un po’ di fortuna, e il mio portafortuna sei tu. — Lanciò un urlo e scavò la terra con le zampe posteriori, schizzando avanti in pieno galoppo. Chris si afferrò alla vita e continuò a tenersi forte.

Non era la prima volta che gli capitava qualcosa di simile. Già altre volte era uscito dall’amnesia mentre era in piena corsa, e pensava di essere preparato a tutto.

Ma non era preparato a quello che vedeva adesso attorno a sé.

L’intero universo pareva pieno di luce chiara, di polvere, titanidi, tende e musica. Soprattutto musica. Ne attraversarono una serie di ondate, incontrando quelle che parevano tutte le forme inventate dagli uomini, e quelle, in numero ancora maggiore, inventate dai titanidi. Pareva destinata a diventare una follia acustica, ma così non era. Ciascun gruppo teneva conto della musica suonata dal gruppo adiacente. Con una sorta di gioco di prestigio in musica, si passavano tra loro la frase musicale, facevano variazioni sul tema, e poi lo rimandavano indietro per ulteriori elaborazioni, ma a un ritmo e a un tempo diversi. Chris e la sua titanide attraversarono intere famiglie di musiche: dal ragtime alla quadriglia, allo swing e a vari generi di jazz freddo, con occasionali inserzioni di interventi non-umani, che, di volta in volta, potevano essere in sordina o a pieno volume.