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Decise però di adottare un atteggiamento possibilista, anche se molte cose non le parevano molto promettenti. Dapprima seguì le persone che davano l’impressione di divertirsi di più, e ne imitò le scelte. Per mezzo credito affittò l’uso di tre coltelli da scagliare contro un uomo che invitava la gente a colpirlo, davanti a un bersaglio di legno. Quell’uomo era bravissimo. Robin non riuscì a colpirlo, né ci riuscirono gli altri, in tutto il tempo che Robin restò laggiù a guardare.

Si accodò a una coppia ubriaca che entrava nel Fantastico Zoo del Professor Potter, dove si mostravano strani animali di Gea, chiusi in gabbia. A Robin, lo spettacolo parve affascinante, e non capì perché i due ubriachi, dopo una rapida occhiata, se ne andassero via, per cercare un posto, come disse il maschio, dove ci fosse più «movimento». Benissimo, anche lei avrebbe cercato il movimento.

In una tenda guardò un uomo che stuprava una do

Nel vedere il pene posteriore dei titanidi, Robin cominciò ad allarmarsi. Normalmente, era coperto dalle zampe di dietro, ma, quando compariva nella sua integrità, era davvero uno strumento terribile. Era esattamente uguale al modello umano, ma era lungo come il braccio di Robin, e due volte più spesso. Si chiese se sua madre non si fosse confusa, e non avesse attribuito ai maschi umani quello che invece apparteneva ai titanidi.

C’erano numerose altre attrazioni di carattere istruttivo e scientifico, e molte di esse si basavano sulla violenza. Questo non costituì affatto una sorpresa per Robin, che non si aspettava altro, da una società penista, e che a sua volta conosceva la violenza. In una piccola tenda, una do

Prese un biglietto per assistere a una rappresentazione di Romeo e Giulietta interpretata da attori titanidi, ma le scappò continuamente da ridere, e dovette uscire prima della fine. Avrebbero fatto meglio a chiamarlo Capuleti e Montecchi del Quinto Cavalleggeri. Inoltre, il copione era stato clamorosamente manipolato. Secondo Robin, Shakespeare avrebbe potuto anche accettare i titanidi nei ruoli principali, ma certo la grande drammaturga si sarebbe rivoltata nella tomba, se avesse saputo che i revisionisti penisti avevano trasformato Romeo in un uomo.

Richiamata dal suono della musica, entrò in una tenda di medie dimensioni, vide due lunghe file di panche di legno, e si sedette con sollievo su quella più vicina. Dirimpetto a lei, c’era una fila di titanidi che cantava, sotto la direzione di un uomo che indossava un lungo vestito nero. Pareva un’attrazione come le altre, a parte l’assenza del botteghino dei biglietti. D’altronde, di qualsiasi cosa si trattasse, Robin era stanca e aveva voglia di sedersi.

Si sentì toccare gentilmente sulla spalla. Voltandosi, scorse un altro uomo vestito di nero. Dietro l’uomo c’era un titanide con occhiali dalla montatura di acciaio.

— Scusa, vorresti metterti questo, per piacere? — Le mostrò un lungo camicione bianco. Le sorrideva con aria amichevole, e così pure faceva il titanide.

— Perché? — domandò Robin.





— È la regola, qui dentro — spiegò l’uomo, in tono di scusa. — Noi riteniamo che sia poco decoroso scoprire il proprio corpo. — Solo allora, Robin notò che anche il titanide portava la camicia. Era il primo (o la prima) da lei visto che si coprisse il petto.

S’infilò il camicione, con un’alzata di spalle, disposta a soddisfare qualsiasi arzigogolata convinzione per il piacere di ascoltare la buona musica. — Comunque, che razza di posto è questo?

L’uomo si sedette accanto a lei e le rivolse un mesto sorriso.

— Hai ragione a domandarlo — disse, con un sospiro. — A volte, questo luogo mette alla prova la fede, anche quella dei più devoti. Noi siamo venuti a portare il Verbo agli altri pianeti. Anche i titanidi ha

— Non è vero, fratello Daniel — disse il titanide, in inglese. — Io credo in Dio Padre creatore e padrone del cielo e della terra e nel suo figlio unigenito Gesù Cristo nostro signore…

— Cristiani! — esclamò Robin, con un grido strozzato. Balzò in piedi, facendo con una mano il segno protettivo delle due dita puntate, e sollevando con l’altra mano la testa di Nasu. Indietreggiò lentamente, con il cuore che le batteva a precipizio. Poi fuggì via di corsa, e non si fermò finché la chiesa non scomparve alle sue spalle, in mezzo all’aria polverosa.

Era entrata in una chiesa! Era la sua più grande paura, l’unico terrore della sua infanzia su cui non avesse mai nutrito dubbi. I cristiani erano la radice e il tronco stessi della struttura penista del potere. Una volta capitati tra le loro grinfie, i poveri pagani allegri e pacifici venivano drogati con sostanze che toglievano loro la volontà, e poi dovevano subire orrende torture fisiche e mentali. Non c’era modo di fuggire, non c’era speranza. Con i loro terribili riti, presto sconvolgevano la mente al di là di ogni speranza di recupero, e a quel punto la convertita veniva infettata con una malattia senza nome che corrompeva l’utero. Da quel momento in poi, la malcapitata era costretta a partorire le figlie con dolore, fino all’ultimo dei suoi giorni.

La cucina dei titanidi aveva strani aromi. Robin trovò un posto da cui giungeva un profumo stuzzicante, e ordinò una cosa misteriosa, chiamata «Bigburger McDonald’s». Pareva costituito prevalentemente di carboidrati, avvolti intorno a carne animale macinata. Era delizioso. Lo mangiò fino all’ultima briciola, e si sentì un’ingorda.

Mentre puliva dal piatto, con le dita, la senape, si accorse che una do

— Ammiravo i tuoi dipinti — spiegò la do