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L'a

Presentazione dell'autrice

Dialogando con Shakespeare

A un certo punto ne Il nome della rosa c'è una riflessione che per me è stata rivelatrice, dove Umberto Eco afferma di aver sempre saputo che i libri parlano ai lettori, ma di non essersi mai reso conto che i libri parlassero tra loro. Letteratura per me significa appunto questo: un'interminabile conversazione tra i libri. Quando si scrive, si dialoga con Shakespeare, si dialoga con Sofocle, si può dire: «Già, però hai dimenticato questo aspetto!» Con ciò non voglio sostenere che siamo tutti ugualmente brillanti o arguti, ma solo che tutti partecipiamo alla stessa conversazione.

Ho cominciato con la fantascienza perché nessuno scriveva quello che io volevo scrivere, anche se tutti usavano concetti che avrei potuto tranquillamente utilizzare. Allora mi sono detta: «Per raccontare questa storia e anche quest'altra, posso usare i viaggi nel tempo. Posso usare gli alieni, oppure i robot…». Io continuo a dialogare con Asimov e Heinlein. Ogni volta che scrivo una storia sui robot, devo tenere presenti le leggi della robotica di Asimov, e anche tutte le altre storie di robot che ho letto. A mio giudizio, però, in questo momento nella fantascienza "non c'è più un centro", per usare un'espressione familiare. Non solo siamo in troppi, ma non siamo neppure impegnati nella stessa conversazione. Una cosa che mi turba profondamente, ad esempio quando mi capita di tenere una lezione al Clariono da un'altra parte, è scoprire l'ignoranza abissale di molti partecipanti sul passato, sulle radici della fantascienza. Non ha

Doomsday Book [1992; L'a

Quando ho cominciato a fare ricerche sulla Peste, senza sapere ancora con precisione che tipo di libro avrei scritto, ho scoperto che anche gli storici si limitavano spesso a conclusioni banali: «Per un contadino del Medioevo la morte non aveva lo stesso significato che ha per noi, perché era un fatto abituale. Ci vivevano in mezzo, continuamente». Ma affermazioni di questo genere sono in aperta contraddizione con tutti i resoconti che ci sono pervenuti dal Medioevo, come ad esempio la testimonianza di un abitante di Vie





Nel mio libro c'è un'epidemia nel passato e una nel presente: purtroppo, la reazione psicologica è molto simile in entrambi i casi. Ma attenzione, non è un libro sull'AIDS, se non in termini di reazione psicologica, di cui a mio giudizio l'AIDS offre un esempio classico. In realtà, per i vettori della malattia, mi sono ispirata all'epidemia di Spagnola del 1918.

Una delle più grandi idiozie dei giorni nostri è la convinzione che, chissà come, avremmo sconfitto le malattie e quindi non ci sarebbe più nulla da temere. Infatti, le epidemie di colera continuano a flagellare il Sud America, la tubercolosi è ricomparsa, così anche lo stafilococco, in forme nuove, molto più insidiose e resistenti. Quanto è sottile lo strato di vernice della nostra civiltà! Non credo di essere contro la scienza, tutt'altro, ma certo sono contro l'arroganza. Sono proprio quelli che credono di sapere tutto, di aver previsto tutto, a diventare i "cattivi" in Doomsday Book, quelli che non vogliono ammettere che la natura sia più forte di noi e che ci siano cose che non possiamo controllare e alle quali non possiamo opporci.

Questo è un libro che parla anche della fede religiosa, e se c'è un'altra cosa che non sopporto degli storici, è proprio la spocchia che accompagna affermazioni del tipo: «Quella gente credeva in Dio… ah, ah, ah, guarda un po' cosa gli è successo!» Credo invece che a quell'epoca la fede in Dio non fosse una semplice credenza superstiziosa, ma un vero tentativo di comprendere l'universo, di percepire l'esistenza di un potere superiore, cioè un potere buono, amorevole, anche se non veniva necessariamente in soccorso dell'individuo. Secondo me la fede cristiana ha moltissimo da offrire in questo senso; Cristo non è stato salvato da Dio sulla croce all'ultimo momento. È una religione complicata, anche se molte delle versioni che ne abbiamo al giorno d'oggi sono effettivamente troppo semplicistiche («Vuoi la Cadillac? Prega e l'avrai»). Questa non è la vera religione cristiana. Vi è stato chi nel Medioevo ha raggiunto vette incommensurabili di bontà, coraggio e compassione, proprio in virtù dell'intervento della fede nella forma mentale degli individui. Non credo proprio che spetti a noi criticare o disprezzare. Meglio guardare a come ci comportiamo noi!

In Doomsday Book vengono narrate due storie, ma non come se fossero due romanzi riuniti in un unico volume. Semplicemente, la narrazione si alterna fra l'Oxford del 2054 con il professor Dunworthy e il Medioevo con Kivrin, la storica che è l'allieva del professore. E far collimare le due storie, emotivamente, non certo materialmente, è stata la parte più difficile. È qui infatti che ho rischiato di arenarmi. Non avevo mai scritto un libro in cui la tensione di una delle due vicende i

In Doomsday Book c'è tutto: mia figlia che parte per il college, la mia personale opinione sui suonatori di campane della nostra chiesa, le piccole lotte e gli intrighi politici dentro l'università, quello che penso della gente che rinuncia alle proprie responsabilità, e il fascino che ha