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In quel momento entrò Tigrotto.

— Hai qualcosa in contrario? — chiesi.

— No, certo. — La maga si sedette accanto a me. — Anton, sei molto giù?

— Non farci caso.

— Tu e Sveta avete litigato?

— Non è questo.

— Anton, ho fatto qualcosa di male? Ai ragazzi non piace stare qui?

La fissai con autentico stupore. — Piantala, Tigrotto! È una meraviglia. Si sta

— E tu?

Non avevo mai notato in lei queste esitazioni prima. In fondo è impossibile accontentare tutti.

— Vogliono continuare la preparazione di Svetlana — dissi.

— Fino a che punto?

— Non lo so. Fino a qualcosa che Ol'ga non è riuscita a superare. Qualcosa di molto pericoloso e molto importante al tempo stesso.

— È un bene. — Si allungò verso il bicchiere. Si versò da bere da sola, toccò appena il cognac con le labbra.

— Un bene?

— Ma sì. Che la stiano preparando, che la stiano guidando. — Tigrotto cercò qualcosa con gli occhi, poi, aggrottando la fronte, guardò l'impianto stereo contro il muro.

Lo stereo si rianimò, si accese. Cominciò a suonare Kind of Magic dei Queen. Apprezzai la naturalezza del gesto. Controllare i circuiti elettronici a distanza non è come fare buchi nel muro con lo sguardo o cacciare le zanzare a colpi di fireball.

— Quanto è durata la tua preparazione al lavoro nella Guardia? — chiesi.

— Iniziò quando avevo sette a

— Nove a

— È difficile — concordò la ragazza. — Pensi che il Capo stia sbagliando?

Alzai le spalle. Dire che il Capo aveva torto sarebbe stato sciocco quanto negare che il sole sorge a oriente. Da centinaia — macché centinaia, migliaia — di a

— Mi sembra che sopravvaluti Sveta.

— Smettila! Il Capo fa i suoi calcoli.

— Prevede ogni cosa. Lo so. Gioca molto bene al vecchio gioco.

— E vuole il bene di Sveta — aggiunse Tigrotto caparbia. — Capisci? Forse a modo suo. Tu agiresti in un'altra maniera, e pure io, e Semën, e Ol'ga. Ciascuno di noi farebbe altrimenti. Ma è lui che dirige la Guardia. E ne ha pieno diritto.

— A lui è più chiaro? — domandai in tono maligno.

— Sì.

— E la libertà? — Di nuovo riempii il bicchiere. Forse era già superfluo, la testa cominciava a ronzarmi. — La libertà?

— Parli come gli agenti delle Tenebre — brontolò lei.

— Preferisco pensare che siano loro a parlare come me.

— Ma è tutto molto semplice, Anton. — Tigrotto si chinò verso di me e mi guardò negli occhi. Sapeva di cognac e di qualche altro odore lieve, floreale; difficile che si trattasse di un profumo: ai mutantropi non piacciono i prodotti di profumeria. — Tu la ami.

— La amo. Non è una novità per nessuno.

— Sai che presto il suo livello di forza supererà il tuo.

— Se già non l'ha superato. — Non lo dissi, ma mi ricordai quanto facilmente Sveta avesse percepito gli schermi magici celati nei muri.

— Ti supererà veramente. Le vostre rispettive forze diventera

— Sì. — A

— Ma non ti è concesso nient'altro.

Non immaginavo che potesse essere così dura.



— Lo so.

— Se lo sai, Anton, allora l'unico motivo per cui ti scandalizzi è che il Capo voglia tanto tenacemente portare in alto Sveta.

— Il mio tempo scorre via — dissi — come sabbia tra le dita, come pioggia dal cielo.

— Il tuo tempo? Il vostro, Anton.

— Non è mai stato il nostro.

— Perché?

Già. In sostanza, perché? Alzai le spalle.

— Sai, certi animali non si riproducono in cattività.

— Ancora?! — s'indignò la ragazza. — Ma quale cattività? Dovresti rallegrarti per lei. Svetlana diventerà l'orgoglio delle Forze della Luce. Sei stato il primo a scoprirla, sei stato proprio tu a salvarla.

— Per cosa? Per l'e

— Anton, adesso stai davvero parlando come un agente delle Tenebre. Bene, la ami: allora non pretendere e non aspettarti nulla in cambio! È la via della Luce!

— Dove inizia l'amore, la Luce e le Tenebre finiscono.

L'indignazione fece ammutolire la ragazza. Scosse la testa tristemente. Disse di malavoglia: — Potresti almeno promettere…

— Dipende da cosa.

— Di essere sensato. Di avere fiducia nei vecchi compagni.

— Prometto a metà.

Tigrotto sospirò. — Ascolta, Anton. Di sicuro pensi che io proprio non ti capisca. Non è così. Anch'io non volevo diventare una maga-mutantropo. Ero dotata di poteri curativi piuttosto notevoli.

— Davvero? — La guardai con stupore. Non l'avrei mai pensato.

— Li possedevo, sì — confermò con leggerezza. — Ma quando ve

— In tigre?

— No, in tigre è semplice, il difficile è l'inverso. Ma ho pazientato. Perché avevo fede nel Capo, perché capivo che era giusto.

— E adesso?

— Adesso sono felice — rispose lei con fervore. — Quando penso a cosa mi sarei persa, a ciò di cui mi sarei dovuta occupare… Erbe, esorcismi, campi psichici devastati, stregonerie…

— Sangue, dolore, paura, morte — continuai io nello stesso tono. — Combattimenti su due o tre livelli di realtà contemporaneamente. Scansare il fuoco, assaggiare il sangue, passarne di tutti i colori.

— È la guerra.

— Sì, certo. Ma dovevi andarci proprio tu, in prima linea?

— Chi, altrimenti? E poi non avrei potuto possedere una casa come questa. — Tigrotto indicò la sala con la mano. — Lo sai anche tu, con la magia curativa non si guadagna molto.

— È così, d'accordo — conve

— In certi periodi sì, in altri no.

— Non tanto spesso, mi pare di capire. Fai un turno di servizio dopo l'altro, ti vai a ficcare persino all'inferno.

— È la mia strada.

A

— Sì, hai ragione. Forse sono stanco. E allora dico un sacco di scemenze.

Tigrotto mi guardò con sospetto, visibilmente stupita da una resa tanto rapida.

— Ho bisogno di starmene seduto per un po' con il bicchiere — aggiunsi. — Di ubriacarmi per bene in solitudine, addormentarmi sotto il tavolo, svegliarmi con il mal di testa. Allora starò subito meglio.

— Fa' pure — disse lei con un lieve tono di diffidenza. — Per quale altro motivo siamo venuti qui? Il bar è aperto, scegli ciò che preferisci. Oppure torniamo dagli altri. O vuoi che mi fermi a tenerti compagnia?

— No, meglio da solo — dissi, dando dei colpetti con la mano alla bottiglia panciuta. — In modo assolutamente schifoso, senza roba da mangiare né compagnia. Quando andate a fare il bagno, da' un'occhiata qui. Caso mai fossi ancora in grado di muovermi…

— D'accordo.

Sorrise e lasciò la stanza. Rimasi solo, eccetto per la presenza della bottiglia di cognac armeno.