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Semën e Il'ja si erano dati da fare: nella stanza regnava un'umidità odorosa di palude. Ignat se ne stava in piedi, abbracciato a Lena, e guardava ansiosamente i presenti. Prediligeva l'allegria in ogni sua forma: qualsiasi discordia e tensione erano per lui come una coltellata nel cuore. I giocatori fissavano in silenzio l'unica carta posata sul tavolo: sotto i loro sguardi, questa si contorceva e si attorcigliava, cambiando di continuo seme e valore. Julja, imbronciata, stava domandando qualcosa sottovoce a Ol'ga.
— Mi versate qualcosa da bere? — chiese Sveta, tenendomi per mano. — Non sapete che per le isteriche la miglior medicina sono cinquanta grammi di cognac?
Tigrotto, che se ne stava accanto alla finestra con espressione infelice, andò frettolosamente verso il bar. Che avesse attribuito a sé la causa del nostro litigio?
Io e Sveta prendemmo un bicchiere di cognac a testa, brindammo con ostentazione e ci scambiammo un bacio. Intercettai lo sguardo di Ol'ga: non gioioso, non rattristato, ma interessato. E un po' geloso. Eppure quella gelosia non era in alcun modo legata al bacio.
Di colpo cominciai a sentirmi male.
Come se fossi uscito da un labirinto in cui mi ero trascinato per lunghi giorni, per mesi interi. Ma uscito soltanto per ritrovarmi all'ingresso di nuove catacombe.
Capitolo 2
Potei parlare a quattr'occhi con Ol'ga solo due ore dopo. La baldoria, per quanto a Svetlana potesse sembrare sforzata, si era ormai trasferita nel cortile. Semën spadroneggiava davanti alla griglia, distribuendo spiedini a chi li voleva; il cibo si cuoceva con rapidità: segno inequivocabile che si stava impiegando la magia. Lì vicino, all'ombra, erano posate due casse di vino secco.
Ol'ga chiacchierava amichevolmente con Il'ja, ciascuno reggendo in mano uno spiedino e un bicchiere di vino. Mi dispiaceva interrompere l'idillio, ma…
— Ol'ga, ho bisogno di parlarti — dissi avvicinandomi a loro. Svetlana era completamente assorbita dalla disputa con Tigrotto: avevano cominciato a parlare della canicola; poi, per una qualche bizzarra logica tutta femminile, la discussione, assai vivace, era passata al tradizionale carnevale di Capoda
— Scusami, Il'ja. — La maga allargò le braccia. — Ne riparliamo un'altra volta, d'accordo? Mi interessa molto la tua opinione sui motivi del crollo dell'URSS. Anche se ti stai sbagliando.
Il mago sorrise con aria trionfante e si allontanò.
— Domanda pure, Anton — disse Ol'ga con lo stesso tono.
— Sai cosa voglio domandarti?
— Lo immagino.
Mi guardai intorno. Vicino a noi non c'era nessuno. Ancora durava quel breve momento in cui, durante i picnic in campagna, si ha voglia di mangiare, di bere, e non si avverte alcuna pesantezza né allo stomaco né alla testa.
— Cosa ne sarà di Svetlana?
— È difficile leggere il futuro. Il futuro dei Grandi Maghi, poi…
— Non tergiversare, collega. — La fissai per un attimo negli occhi. — Siamo stati insieme. Abbiamo lavorato in coppia. Quando tu sei stata punita e privata di ogni cosa, persino di questo corpo… E punita secondo giustizia…
Ol'ga sbiancò in viso.
— Cosa sai della mia colpa?
— Tutto.
— Come hai fatto?
— Dopotutto, io sono uno che lavora con i dati.
— L'accesso alle informazioni non può esserti sufficiente. Ciò che mi è successo non è mai stato registrato negli archivi elettronici.
— Informazioni indirette, Ol'ga. Hai mai visto i cerchi nell'acqua? Una pietra può essersi adagiata sul fondo già da un pezzo, può essersi già ricoperta di melma, eppure i cerchi continuano a muoversi. A erodere gli strapiombi, a portare a riva il pattume e la schiuma, a rovesciare le barche, se la pietra era grossa. Ecco, la tua pietra era molto grossa. Fa' conto che io me ne sia stato a lungo sullo strapiombo, Ol'ga. A guardare le onde che corrodevano la riva.
— Stai bluffando.
— No. Ol'ga, cosa toccherà a Sveta? Quale tappa dell'addestramento?
La maga mi guardò, dimentica dello spiedino ormai freddo e del bicchiere mezzo vuoto. Le assestai un altro colpo: — Tu l'hai superata, quella tappa?
— Sì. L'ho superata. Ma nel mio caso mi avevano preparata più lentamente.
— Perché allora tutta questa fretta con Sveta?
— Nessuno aveva previsto che in questo secolo sarebbe nata ancora una Grande Maga. Geser ha dovuto improvvisare, regolarsi al momento.
— Per questo ti ha
— Evidentemente capisci tutto da solo! — Gli occhi di Ol'ga mandavano lampi cattivi. — Perché allora mi tormenti?
— Sei tu che controlli la sua preparazione? Basandoti sulla tua esperienza?
— Sì. Soddisfatto?
— Ol'ga. siamo dalla stessa parte della barricata — mormorai.
— Allora non dare gomitate ai compagni di lotta!
— Ol'ga, qual è lo scopo? Cosa non sei riuscita a fare? Cosa deve compiere Sveta?
— Anton! — disse, smarrita. — Dunque stavi bluffando!
Io tacqui.
— Tu non sai nulla! I cerchi nell'acqua non sai dove guardare, per vederli!
— Ammettiamo che sia così. Però non è forse vero che ho indovinato l'essenziale?
Ol'ga mi fissava mordendosi le labbra. Poi scosse la testa: — È così. Domanda diretta, risposta sincera. Ma non ti darò alcuna spiegazione. Tu non devi sapere. La cosa non ti riguarda.
— Ti sbagli.
— Nessuno di noi desidera il male per Sveta — tagliò corto lei. — Chiaro?
— Noi non siamo nemmeno capaci di desiderare il male. Solo che il nostro Bene a volte non si distingue per niente dal Male.
— Finiamola qui, Anton. Non ho il diritto di risponderti. E non bisogna guastare agli altri questa vacanza inattesa.
— Fino a che punto è inattesa? — insinuai. — Ol'ga?
Si era già ricomposta e il suo viso si era fatto impenetrabile. Troppo impenetrabile per una simile domanda.
— Hai già saputo troppo. — La sua voce si era alzata, ritrovando l'antica imperiosità.
— Ol'ga, non ci ha
— Non tutti.
— Polina Vasil'evna e Andrej non contano. Sai benissimo che sono impiegati d'ufficio. A Mosca non è rimasto un solo agente!
— Anche gli agenti delle Tenebre si sono calmati.
— E allora?
— Basta. Anton.
Capii che non sarei riuscito a strapparle una parola di più. A
Ol'ga a
Mi stava prendendo in giro o credeva davvero che avessi deciso di non immischiarmi?
— In generale sono un tipo piuttosto sveglio — dissi. Guardai Svetlana: stava chiacchierando allegramente con Tolja.
— Non sei arrabbiato con me, vero? — chiese Ol'ga.
Le sfiorai le mani, sorrisi ed entrai in casa. Avevo una gran voglia di fare qualcosa, come fossi un genio fatto uscire dalia lampada dopo una prigionia millenaria. Qualsiasi cosa: costruire palazzi, distruggere città, programmare in Basic o ricamare a punto croce.
Spalancai la porta senza toccarla: la spinsi attraverso il Crepuscolo. Non so perché. Mi capita raramente, a volte se bevo troppo, altre volte se sono particolarmente infuriato. In quel momento la prima causa non aveva motivo di sussistere.
La sala era deserta. E in effetti, perché starsene al chiuso quando fuori ci sono spiedini fumanti, vino fresco e una quantità sufficiente di sedie a sdraio sotto gli alberi?
Mi lasciai cadere su una poltrona. Sul tavolino ritrovai il mio bicchiere… o forse era quello di Sveta; lo riempii di cognac. Bevvi tutto d'un fiato, come se non avessi versato un liquore invecchiato quindici a