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— Avra

— Mandate le nostre do

— Ti ascolto — disse Anweld, a

— Adesso… subito… prima che i Gaal ci circondino.

— Questo è già stato detto e ascoltato. Ma altri dicono che non possiamo mandare via le nostre do

— Allora andiamo via anche noi! — mugugnò Wold. — Gli Uomini di Tevar non sa

— Non ha

— Io intendo allontanare le mie do

Ma i giovani uomini del suo clan non erano d'accordo e non erano disposti ad obbedire ai suoi ordini. Volevano fermarsi lì per combattere.

— Ma morirete — disse Wold, — mentre le vostre mogli e i vostri figli potrebbero salvarsi… se non restassero qui con voi. — La sua lingua era di nuovo pesante. Non aspettarono neppure che finisse di parlare.

— Scacceremo i Gaal — disse un giovane nipote. — Noi siamo guerrieri!

— Tevar è una città robusta, Anziano — disse un altro, in tono convincente, adulatore. — Tu ci hai insegnato a costruirla bene.

— Resisterà all'Inverno — disse Wold. — Ma non a diecimila guerrieri. Preferisco vedere le mie do

Uscì nuovamente all'esterno, ma ormai era troppo stanco per salire una seconda volta la scaletta che portava alla piattaforma. Si trovò un posto dove attendere, fuori dell'andirivieni delle strette vie: una nicchia accanto a un muro di sostegno delle fortificazioni sud, non lontano dalla porta. Se saliva sul muro inclinato, fatto di mattoni, poteva guardare al di là delle mura fortificate, e osservare lo svolgersi della Migrazione; quando il vento gli penetrava sotto il mantello, poteva accovacciarsi, con il mento sulle ginocchia, e trovare un po' di riparo nella nicchia. Per qualche tempo il sole splendette su di lui, nel suo nascondiglio. Egli godette il suo tepore e non pensò molto. Una volta o due alzò gli occhi al sole, il sole dell'Inverno, vecchio, debole per la tarda età.

L'erbaverna, le piccole piante dalla vita breve e dalla rapida fioritura che crescevano tra una tormenta e l'altra fino a metà dell'inverno, allorché la neve non si scioglieva più e cresceva soltanto il grano delle nevi, privo di radici, stava già spuntando sulla terra calpestata, sotto le mura. C'era sempre qualcosa che viveva, e ciascuna creatura attendeva il suo tempo per tutto il corso dell'A





Le lunghe ore passarono.

Si udirono grida e gemiti all'angolo nordovest delle mura. Gli uomini passarono di corsa per le strade della piccola città, vicoletti la cui larghezza era appena sufficiente a lasciar passare un uomo per volta, sotto i cornicioni sporgenti. Poi il ruggito delle urla si alzò alle spalle di Wold e all'esterno della porta, alla sua sinistra. V alta porta di legno a saracinesca, che veniva sollevata dall'interno grazie a corde, tremò. Usavano un tronco per spaccarla. Wold si alzò con difficoltà; si era così intorpidito, sedendo laggiù al freddo, che non si sentiva più le gambe. Per un minuto rimase appoggiato alla lancia, poi si mise di guardia con la schiena contro il muro di sostegno, e te

I Gaal dovevano avere usato delle scale, poiché erano già all'interno della città, sulla parte nord: Wold lo capiva dal rumore. Una lancia volò alta sui tetti, scagliata da una catapulta. La porta rimbombò di nuovo. Ai vecchi tempi non avevano scale e arieti, non giungevano a migliaia, bensì in tribù di straccioni, di barbari codardi che si precipitavano a sud prima del gelo, che non rimanevano nei loro Territori a vivere o morire come facevano i veri uomini… Ne giunse uno dalla faccia larga e bianca, con una pe

CAPITOLO OTTAVO

Nella città straniera

La cosa più strana, in tutte le stranezze di quella casa, era il dipinto sulla parete della grande sala, al piano terreno. Quando Agat se ne era andato e le stanze erano divenute mortalmente silenziose, ella era rimasta a fissare il dipinto finché esso non era divenuto per lei il mondo, ed ella la parete. E il mondo era una rete: una rete profonda, simile ai rami che si intrecciavano nei boschi, simile alle correnti che si attraversavano reciprocamente nell'acqua, argento, grigio, nero, trapassati di verde e di rosa e di un giallo come quello del sole. E quando si guardava quella rete profonda si poteva vedere al suo interno, intessute o come cornice di ciò che vi era intessuto, forme e figure piccole e grandi, bestie, erbe, uomini e do

— Che cos'è? — ella chiese alla do

— Sì, un poco. Di che cosa parla?

— Degli altri mondi e della nostra casa. Vi si vedono le popolazioni… È stato dipinto molto tempo fa, nel primo A

— E questo che cos'è? — domandò Rolery, indicando il particolare, da una rispettosa distanza.

— Un edificio… il Grande Palazzo della Lega, sul mondo chiamato Davenant.

— E quello?

— Un eroplano.

— Ti ascolto ancora — disse Rolery, educatamente (si comportava sempre con il massimo della cortesia, ormai), ma quando vide che Seiko Esmit non pareva comprendere la formula rituale, le chiese: — Che cos'è un «eroplano»?

La do