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Poi, di colpo, il cielo si spense. Radio Tarna tornò a farsi sentire, con il fiato mozzo per l’agitazione.
«… tutto come previsto… la nave sta cambiando assetto… vedremo altre luci più tardi, ma non così spettacolari… tutte le fasi dell’allontanamento avverra
Mirissa udiva le parole solo distrattamente mentre guardava il cielo dove stavano ritornando le stelle. Le stelle che sempre le avrebbero ricordato Loren. In quel momento non provava nulla; le lacrime sarebbero forse venute più tardi.
Brant l’abbracciò e Mirissa apprezzò quel senso di sicurezza che la difendeva dalla solitudine dello spazio. Lì stava bene; mai più se ne sarebbe allontanata. E finalmente capì: aveva amato Loren per la sua forza, ma amava Brant per la sua tenerezza.
Addio, Loren, sussurrò, che tu possa essere felice su quel mondo lontano che tu e i tuoi figli conquisterete per l’umanità. Ma qualche volta pensa a me, a trecento a
Brant le accarezzava i capelli con goffa gentilezza desiderando di saper pronunciare parole che avrebbero potuto esserle di conforto; eppure intuiva che il silenzio era la cosa migliore. Non si sentiva vincitore:
Mirissa era tornata da lui ma non era più la spensierata compagna che ricordava. Per tutta la vita, Brant lo sapeva, il fantasma di Loren si sarebbe frapposto tra loro due — il fantasma di un uomo sempre giovane quando loro non sarebbero stati che polvere spazzata dal vento.
Quando, tre giorni dopo, la Magellano apparve sopra l’orizzonte, a est, era una stella così vivida da non potersi guardare a occhio nudo — anche se il motore quantico era stato attentamente diretto in modo tale che gran parte delle radiazioni secondarie non avrebbero colpito Thalassa.
Una settimana dopo l’altra, un mese dopo l’altro, la stella lentamente sbiadì, sebbene si riuscisse ancora a vederla anche di giorno, sapendo dove guardare. E di notte fu per a
Mirissa la vide per l’ultima volta poco prima di perdere la vista. Per qualche giorno il motore quantico — ora reso i
L’astronave era distante quindici a
56. Sotto l’interfaccia
Ancora non erano intelligenti, ma sapevano cos’era la curiosità. E questo era il primo passo lungo la strada che non ha fine.
Come molti crostacei terrestri, potevano sopravvivere sulla terraferma per tempo indefinito. Fino a qualche secolo prima, però, non avevano avuto nessun incentivo a lasciare il mare; le grandi foreste di sargassi bastavano a tutti i loro bisogni. Le foglie lunghe e sottili davano il cibo; gli steli duri fornivano la materia prima per i loro rozzi manufatti.
Avevano soltanto due nemici naturali. Uno era un pesce d’alto mare — di grandi dimensioni ma molto raro — che era poco più di un paio di voraci mandibole collegate a uno stomaco mai sazio. L’altra era una gelatina velenosa e pulsante — la forma larvale dei polipi giganti — che talvolta ricopriva di un tappeto mortale il fondo del mare, e lasciava uno sterile deserto sulla sua scia.
A parte qualche sporadica incursione attraverso l’interfaccia aria-acqua, gli scorpioni avrebbero potuto trascorrere tutta la loro storia nell’acqua, perfettamente adattati com’erano a quell’ambiente. Ma, a differenza delle formiche e delle termiti, ancora non avevano imboccato un vicolo cieco evolutivo. Ancora potevano reagire al cambiamento.
E nel loro mondo d’acqua c’era stato effettivamente un cambiamento, sebbene su scala ancora ridottissima. Delle cose meravigliose erano cadute dal cielo. Là dove erano venute, dovevano essercene delle altre. Quando sarebbero stati pronti, gli scorpioni avrebbero cominciato a cercarle.
Non c’era fretta, nel mondo senza tempo del mare thalassano; sarebbero trascorsi molti a
Non sapevano che c’erano altri esploratori che tenevano d’occhio loro. E quando alla fine si mossero, la scelta del momento non poteva essere più infelice.
Ebbero infatti la sfortuna di uscire sulla terraferma durante il secondo mandato, incostituzionale ma estremamente energico, del presidente Owen Fletcher.
IX. SAGAN DUE
57. Le voci del tempo
L’astronave Magellano era lontana poche ore luce soltanto quando nacque Kumar Lorenson, ma suo padre era già in ibernazione e non lo seppe se non trecento a
Loren pianse pensando che il suo so
E vide anche (era inevitabile) il lento invecchiare della ragazza ora morta da secoli che aveva tenuto tra le sue braccia solo qualche settimana prima. L’ultimo addio di lei gli giunse da labbra grinzose da molto tempo divenute polvere.
Il suo dolore, sebbene acutissimo, lentamente passò. La luce di un nuovo sole splendeva a prua; e presto vi sarebbe stata un’altra nascita, sul mondo che già stava attirando la Magellano nella sua ultima orbita.
Un giorno il dolore sarebbe scomparso; ma non il ricordo.
La prima versione di questo romanzo, un racconto di trenta cartelle, fu scritta tra il febbraio e l’aprile del 1957 e pubblicata sulla rivista IF (USA) nel giugno del 1958 e su Science Fantasy (GB) nel giugno del 1959. Essa si può forse ritrovare con maggiore facilità nelle raccolte The Other Side of the Sky (1958) e From the Ocean, From the Stars (1962) pubblicate da Harcourt, Brace, Jovanovich.
Nel 1979 sviluppai lo stesso tema ricavandone una breve scaletta cinematografica che apparve sulla rivista OMNI (vol. 3, n. 12, 1980). Essa è poi apparsa nella raccolta illustrata dal titolo The Sentinel (1984) pubblicata da Byron Preiss/Berkley, insieme a un’introduzione in cui se ne spiega l’origine e il modo del tutto imprevisto in cui essa ha portato a 2010: Odissea due.
Questo romanzo è la terza e ultima versione; esso è stato iniziato nel maggio del 1983 e portato a termine nel giugno del 1985.
1 luglio 1985 Colombo, Sri Lanka