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Un inverno, poco prima della Guerra delle Sei Settimane, io e il mio gatto, Petronio Arbitro, abitavamo in una vecchia casa di campagna nel Co
Unico svantaggio erano le undici porte che si aprivano nella casa. Dodici anzi, se contiamo quella di Pete. A proposito, Pete è sempre Petronio Arbitro. Lo chiamo così per comodità. Io ho sempre fatto in modo, in tutte le case dove siamo andati a vivere, che Pete avesse la sua porta personale. Nel caso specifico si trattava di un’apertura praticata nella porta-finestra di una stanza disabitata, apertura grande abbastanza per lasciare passare Pete con baffi e tutto. Per troppo tempo avevo aperto e chiuso porte ai gatti: da qui, la decisione di ricorrere a quello stratagemma.
Pete si serviva abitualmente della sua porta, tra
Fin da quando era un micio tutto pelo e ronron, Pete aveva elaborato una filosofia molto semplice: io dovevo occuparmi della casa, dei viveri e del tempo, lui pensava a tutto il resto. Mi riteneva in particolar modo responsabile delle condizioni atmosferiche. Gli inverni nel Co
Usciva, finalmente, ma stava fuori il tempo necessario a far calare la pressione idraulica nel suo corpo. Quando tornava, il ghiaccio rappreso intorno alle zampe risuonava sul pavimento di legno, come se lui calzasse minuscoli zoccoli, e Pete mi lanciava occhiate di fuoco, rifiutandosi di fare le fusa finché non riusciva a leccare via tutto. Dopo di che mi perdonava, fino alla prossima volta.
Con tutto questo non rinunciava mai alla sua ricerca di una Porta che si aprisse sull’Estate.
Il 3 dicembre 1970 anch’io stavo cercando quella porta.
La mia ricerca era disperata quasi quanto lo era stata quella di Pete nel lontano ge
Non stavo male, a parte i postumi di una sbornia sole
Se avete l’impressione che io sia il tipo che versa fiumi di commiserazione su se stesso, non sbagliate affatto. Su questo pianeta c’erano almeno due miliardi di persone che stavano peggio di me, ma io cercavo la Porta sull’Estate.
Quasi tutte quelle che avevo provato negli ultimi tempi erano porte girevoli, come quella che avevo davanti adesso e su cui spiccava la scritta Bar Sans Souci. La spinsi, andai a sedermi in un separé sul fondo, e posai la borsa sul sedile, accanto a me, in attesa del cameriere.
La borsa disse: — Mrrr?
E io: — Stai calmo, Pete.
— Maaao!
— Impossibile, ci sei appena andato! Stai giù che arriva il cameriere.
Pete tacque. Io alzai gli occhi sul cameriere chino sopra il tavolo, e ordinai: — Doppio whisky e birra.
— Birra con whisky? — ripeté il cameriere, interdetto.
— Mi avete sentito o no?
— Sì, certo, ma…
— E allora filate. Non la bevo, voglio solo a
Il cameriere se ne andò senza protestare. Quando tornò con le consumazioni, versai un po’ di birra nel piattino. E quando l’uomo in giacca bianca si fu definitivamente allontanato, diedi un leggero colpo sulla borsa e dissi: — È pronto il pranzo, Pete.
Non chiudevo mai la lampo perché Pete si sarebbe offeso. Lui scostò gli orli con le zampe, mise fuori il muso guardandosi intorno circospetto, poi si sollevò svelto e posò le zampine sul bordo del tavolo. Io alzai il bicchiere e ci guardammo negli occhi. — Alla razza femminile, Pete… prenderle e dimenticarle!
Lui assentì, perfettamente d’accordo, poi chinò la testa e si mise a lambire la birra. — Se ci riesci, questo è il sistema migliore — aggiunsi, mandando giù un lungo sorso. Pete non rispose. Dimenticare una femmina non era un problema per lui, scapolo nato.
Di faccia a me, attraverso la vetrina di un bar, c’era un’insegna che continuava a cambiare. Prima diceva: Lavorate dormendo, poi: Dimenticate i guai sognando, e infine, a lettere fiammeggianti e alte il doppio: Compagnia Mutua Assicurazioni.
Lessi e rilessi più volte le tre scritte, prima di notarle veramente. A proposito delle sospensione della vita vegetativa ne sapevo quel tanto che ne sapevano tutti. Avevo letto qualche articolo sulle riviste, nei primi tempi in cui la si applicava, e di tanto in tanto mi arrivava insieme alla posta qualche volantino pubblicitario di una società di assicurazioni, che cestinavo senza degnarlo di un’occhiata, tanto ritenevo inadatta a me una simile idea.
In primo luogo, inoltre, fino a pochissimo tempo prima non avrei potuto disporre della somma necessaria per l’ibernazione, o so
Il so
Adesso, invece, eccomi qui, forzatamente a spasso, in un bar di terz’ordine invece che deliziosamente occupato nel viaggio di nozze, intento a bere whisky col solo scopo di dimenticare. Invece di una moglie avevo accanto uno spaventatissimo gatto a cui piaceva la birra… Però non ero del tutto a terra.
Mi frugai in tasca e ne trassi una busta. L’aprii. Dentro c’erano un assegno per una somma superiore a quanto avessi mai visto in vita mia in una sola volta, e un certificato azionario della Domestica Perfetta S.A… Tutti e due i fogli cominciavano a essere un po’ spiegazzati, perché me li tenevo in tasca da quando me li avevano dati.
Perché dunque non tentare? Perché non dimenticare i miei guai? Un bel so
Vediamo un po’, quanto avrei dovuto dormire? Belle aveva ventitré a
Ma poi mi ricordai dei grandi progressi fatti in quegli a
L’idea che mi ve
Una zampa soffice come un fiocco di neve si posò sul mio braccio. — Mrrr! — chiamò Pete.
— Ancora birra? Stai esagerando! — lo sgridai, versandogliene ancora un po’ nel piattino. Lui mi ringraziò, aspettò educatamente che finissi di versarla, poi si mise a leccare di lena. Ma il suo intervento aveva fatto germogliare in me un altro pensiero. Che cosa fare di lui?
Non si può regalare un gatto con la stessa disinvoltura con cui si regala un cane. I gatti non si adattano ai cambiamenti. Talvolta si può cedere un gatto assieme alla casa in cui vive, perché il gatto ha bisogno di qualcosa di fisso e di stabile nella sua esistenza. Nel nostro caso, poiché non avevamo fatto che andare da un posto all’altro fin da quando l’avevo preso da sua madre, nove a
Avrei potuto pagare un veterinario perché lo uccidesse in modo indolore… Neanche pensarci! Oppure avrei potuto abbandonarlo… Succede proprio così, con i gatti: o si rispetta l’obbligo assunto prendendone uno e non lo si lascia mai, o lo si abbandona, e il poverino, distrutta la sua fede nella giustizia, diventerà selvatico.
Così aveva fatto Belle con me.
Andiamo, Da
Il cameriere, intento a ripulire oziosamente il banco, sentendomi parlare si voltò, e io mi affrettai a far rientrare Pete nella sua cuccia. Non avevo voglia di dare spiegazioni, e non ero sicuro che i regolamenti impartiti dalle autorità sanitarie permettessero di portare gatti a bere birra nei bar.
— Avete detto qualcosa? — chiese il cameriere. — Mi pareva di avervi sentito parlare.
— Sì, il conto — tagliai corto. — Ho bevuto abbastanza.
— Già — disse l’uomo filosoficamente. — Non si beve mai abbastanza per dimenticare quanto è triste la vita.