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Khamisi si paralizzò quando la creatura entrò furtivamente nella radura, sotto l’albero. A dispetto dei suoi movimenti silenziosi, era un essere imponente, più grande di un leone adulto, ma non era un leone. Il suo pelo irsuto era albino, gli occhi di un rosso iperriflettente. Le spalle erano alte e massicce, la parte terminale della schiena era più bassa. Il collo muscoloso sosteneva una testa enorme, col muso allungato e con un paio di grandi orecchie da pipistrello che si girarono verso l’albero. Sollevando la testa, l’animale a

Khamisi sapeva che cosa aveva di fronte.

Ukufa.

Morte.

Ma, per quanto avesse un aspetto mostruoso, Khamisi ne conosceva il vero nome.

ore 06.30

«Specie Crocuta crocuta», spiegò Baldric Waalenberg, avvicinandosi allo schermo del computer. Aveva notato che il suo prigioniero guardava la creatura nel riquadro accanto alle immagini di Fiona nella gabbia.

Gray studiò quella bestia massiccia come un orso, che, immobile davanti alla telecamera, ringhiava con la bocca aperta, scoprendo gengive bianche e za

«La iena maculata è il secondo più grande carnivoro dell’Africa», proseguì Baldric. «È capace di abbattere un maschio di gnu da sola.»

Gray era perplesso. La creatura sul monitor non era una normale iena. Era tre o quattro volte più grossa del solito, poi c’era il manto sbiadito… Una specie di combinazione di gigantismo e albinismo: una mostruosa mutazione.

«Cosa le avete fatto?» chiese, incapace di nascondere il disgusto nella sua voce. Voleva anche prendere tempo, facendo parlare il vecchio. Scambiò uno sguardo con Monk, poi tornò a fissare Baldric.

«Abbiamo reso quella creatura migliore, più forte. Non è vero, Isaak?»

«Ja, grootvader.»

«I graffiti preistorici di alcune caverne in Europa mostrano la grande antenata della iena moderna, la iena gigante. Noi abbiamo trovato un modo per riportare la Crocuta all’antica gloria.» Baldric parlava con lo stesso tono scientifico e spassionato di quando aveva descritto i suoi tentativi di selezionare orchidee nere. «Abbiamo persino migliorato l’intelligenza della specie, incorporando cellule staminali umane nella corteccia cerebrale, con risultati affascinanti.»

Gray aveva letto di esperimenti analoghi fatti coi topi. A Stanford, gli scienziati avevano generato alcuni topi con l’uno percento di cervello umano. Che diavolo stava succedendo?

Baldric si avvicinò alla lavagna coi cinque simboli runici. Li picchiettò con la bacchetta. «Abbiamo una serie di Supercomputer Cray XT3 che lavorano al codice di Hugo. Quando l’avremo risolto, saremo in grado di fare la stessa cosa con gli esseri umani, per avviare la prossima evoluzione dell’umanità. La specie umana risorgerà in Africa, mettendo fine al pantano della mescolanza razziale grazie a una nuova purezza, che aspetta soltanto di sganciarsi dal nostro codice genetico corrotto.»

Gray sentì echeggiare in quelle parole la filosofia nazista dell’Übermensch, il mito del superuomo. Il vecchio doveva essere pazzo. Ma notò anche la lucidità del suo sguardo. E sullo schermo c’erano le prove dei primi mostruosi successi dei suoi progetti.

Gray si voltò verso Isaak, il quale aveva premuto un tasto, facendo scomparire la iena mutante. D’un tratto capì il collegamento: l’albinismo della iena, Isaak e sua sorella gemella, gli altri assassini dai capelli biondo platino… Baldric non aveva fatto esperimenti soltanto con le orchidee e le iene.

«Ora ritorniamo alla questione di Painter Crowe», disse il vecchio, indicando lo schermo con un ampio gesto della mano. «Credo che abbia capito ciò che attende la giovane meisje nella gabbia se lei non risponderà sinceramente alle nostre domande. Basta coi giochetti.»

Gray fissava lo schermo e la ragazzina in gabbia. Non poteva lasciare che succedesse qualcosa a Fiona. Doveva quantomeno guadagnare tempo per lei. La ragazza era stata trascinata in tutta quella faccenda per via della sua goffaggine durante le indagini a Copenhagen: si sentiva responsabile. E in più quella ragazzina gli piaceva, la rispettava, anche quando faceva la rompiscatole.

Gray sapeva che cosa doveva fare. Si voltò verso Baldric. «Che cosa vuole sapere?»





«A differenza di lei, Painter Crowe si è dimostrato un avversario più capace del previsto. E sfuggito alla nostra imboscata ed è scomparso nel nulla. Lei ci aiuterà a scoprire dov’è finito.»

«Come?»

«Contattando il comando della Sigma. Abbiamo una linea codificata, impossibile da rintracciare. Lei interromperà il silenzio e scoprirà fino a che punto la Sigma conosce il progetto Sole Nero e dove si è nascosto Painter Crowe. Ma se solo tenta qualche trucco…» Baldric indicò lo schermo con un ce

Gray capì il senso dell’aspra lezione che gli era stata impartita: volevano che capisse appieno che cosa c’era in gioco, stroncando qualsiasi tentativo di sotterfugio. Salvare Fiona o tradire la Sigma?

La decisione fu momentaneamente accantonata, quando una delle guardie ritornò con un’altra delle richieste di Gray.

«La mia mano!» esclamò Monk. Con le braccia ancora legate dietro la schiena, cominciò a dibattersi.

Baldric fece ce

Isaak interve

«Ja, signore. È pulita.»

Isaak la esaminò comunque. Era una meraviglia tecnologica della DARPA, con un controllo diretto dei nervi periferici incorporato nei contatti al titanio, all’altezza del polso. Era dotata di meccanica avanzata e attuatori che consentivano movimenti e input sensoriali precisi.

Monk guardò con insistenza Gray, il quale notò che, con le dita della mano sinistra, l’amico aveva appena finito di digitare un codice sui contatti del moncherino del polso destro. Gray a

La protesi elettronica aveva un’altra caratteristica: la tecnologia wireless. Dal braccio di Monk partì un segnale radio diretto alla protesi. La protesi artificiale rispose contraendosi tra le mani di Isaak. Le dita si chiusero a pugno, tra

«Vaffanculo», mormorò Monk.

Gray lo prese per un braccio e lo spinse verso la porta che conduceva all’interno del palazzo.

L’esplosione non fu molto forte: era soltanto una granata accecante, un po’ più brillante e rumorosa del solito. La carica era incorporata direttamente nell’involucro plastico esterno della mano, impossibile da individuare. Pur non essendo una grossa carica, fu una distrazione sufficiente. Le guardie proruppero in grida di sorpresa e di dolore.

Gray e Monk fecero irruzione nel palazzo, girarono un angolo e continuarono a correre sul pavimento in parquet lucido. Subito scattarono gli allarmi, assordanti. Dovevano trovare una via d’uscita al più presto.

Gray notò una scalinata che saliva a un livello superiore e guidò Monk in quella direzione.

«Dove stiamo andando?»

«Su…» rispose Gray, salendo due gradini alla volta. Probabilmente le guardie si aspettavano che cercassero di fuggire dalla prima porta o finestra disponibile, ma lui conosceva un’altra via d’uscita. Cercò di visualizzare la pianta del palazzo. Si era guardato attorno con attenzione, quando le guardie li avevano scortati fino alla serra. Si concentrò, confidando nel proprio senso dell’orientamento. «Da questa parte.»

Trascinò Monk da un pianerottolo a un altro corridoio. Erano al sesto piano.