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Quella non si mosse.

— Non vuole muoversi!

Tirava il bastone con tanta forza che il sudore gli colava sulla fronte. Ma quello, immobile, non mostrava di voler cooperare.

— Qui, fammi provare — disse la No

Il fabbro attraversò di corsa il locale, zoppicando leggermente, per soccorrere la do

— Stai bene?

Lei aprì due occhi simili a diamanti infuriati e disse: — Capisco. È così che va, allora?

— Che va che cosa? — Il fabbro era totalmente disorientato.

— Aiutami a tirarmi su, sciocco. E portami un’accetta.

Il tono della sua voce suggeriva che disubbidire non sarebbe stata una buona idea. Il fabbro frugò freneticamente tra i vari arnesi dietro la fucina fino a trovare una vecchia scure a doppio taglio.

— Bene. Adesso levati il grembiule.

— Perché? Che hai intenzione di fare? — chiese l’uomo, che cominciava a perdere il filo degli avvenimenti. Lei se ne uscì in un sospiro esasperato.

— È di cuoio, idiota che non sei altro. Lo avvolgerò intorno al manico. Quello non mi farà lo stesso scherzo due volte!

Il fabbro si tolse a fatica il pesante grembiule di cuoio e glielo tese con una certa cautela.

Lei lo avvolse intorno al manico della scure che fece roteare in aria una o due volte. Poi attraversò il locale con passo deciso (al chiarore della fornace quasi incandescente la sua figura faceva pensare a un ragno) e con un grugnito di trionfo abbatté la pesante lama proprio nel centro della verga.

Uno scatto. Un verso come quello di una pernice. Un tonfo.

Silenzio.

Il fabbro allungò una mano molto lentamente, senza muovere la testa, e toccò la lama dell’accetta. Che non si trovava più sull’accetta. Si era conficcata nella porta, vicino alla sua testa, portandogli via un pezzettino di orecchia.

La No

— Bbbbe

— No — replicò con fermezza l’uomo, massaggiandosi l’orecchia. — No, qualunque cosa tu stia per suggerirmi. Lascialo perdere. Ci ammucchierò sopra della roba. Nessuno lo noterà. Lascialo perdere. È solo un bastone.

— Solo un bastone?

— Hai qualche idea migliore? Che non rischierà di portarmi via la testa?

La do

— Non ora subito — ammise. — Ma dammi soltanto il tempo…

— Va bene, va bene. Comunque, ho delle cose da fare, maghi da seppellire. Tu sai com’è.

Il fabbro prese una vanga vicino alla porta posteriore ed esitò.

— No

— Cosa?

— Tu lo sai come vogliono essere sepolti i maghi?

— Sì.

— Be’, come?





No

— Controvoglia.

Più tardi, quando gli ultimi raggi di luce furono svaniti dalla vallata, la notte calò adagio e una luna pallida e tersa brillò nel cielo incastonato di stelle. Nell’orto semibuio dietro la fucina risuonò di quando in quando il tinti

Nella sua culla, al piano superiore, dormiva il primo mago femmina del mondo.

Il gatto bianco era sdraiato mezzo addormentato sul suo privato ripiano vicino alla fornace. L’unico rumore nella fucina calda e scura era il crepitio delle braci che si assestavano sotto la cenere.

La verga era ritta nell’angolo, dove voleva rimanere, avvolta in ombre leggermente più nere di quanto siano normalmente le ombre.

Il tempo passava. Ciò che, essenzialmente, è il suo mestiere.

Un debole tinti

Ve

In effetti, da lì lo sguardo poteva spaziare proprio fino all’estremo limite del mondo.

Non era questa un’immagine poetica, ma un fatto concreto, dato che il mondo era decisamente piatto e inoltre, come ben si sapeva, era trasportato attraverso lo spazio sul dorso di quattro elefanti, a loro volta poggiati sul guscio della Grande ATuin, la Grande Tartaruga Celeste.

A Cattivo Somaro, il villaggio si sta svegliando. Il fabbro è appena tornato nella sua fucina, che ha trovato più ordinata che negli ultimi cento a

Per sette a

La piccola si chiamava Eskarina, per nessun motivo particolare tra

Ma la magia suole tenersi nascosta, come un sentiero tra l’erba.

L’inverno ritornò, e fu un brutto inverno. Le nuvole indugiavano sulle Ramtop come tante grandi e grasse pecore, riempiendo le gole di neve e trasformando le foreste in caverne silenziose e malinconiche. I passi alti erano chiusi e le carovane sarebbero tornate soltanto a primavera. Cattivo Somaro dive

Alla prima colazione la madre di Esk osservò: — Sono preoccupata per No

Il fabbro la guardò mentre si portava alla bocca una cucchiaiata di porridge.

— A me non dispiace — disse. — Lei…

— Lei ha un naso lungo — dichiarò Esk.

I suoi genitori la guardarono severi.

— Non bisogna fare una osservazione del genere — la rimproverò la madre.

— Ma il babbo dice che lei ficca sempre il suo…

— Eskarina!

— Ma lui ha detto…

— Io ho detto…

— Sì, ma lui ha detto che lei aveva…

Il fabbro si chinò a darle uno schiaffo. Non era molto forte e se ne pentì subito. I ragazzi si beccavano un buono schiaffo e di quando in quando una cinghiata ogni volta che se lo meritavano. Il guaio con la figlia, tuttavia, non consisteva tanto nelle normali disubbidienze, quanto nel vezzo che aveva di seguire implacabile il filo di un argomento, anche parecchio tempo dopo che avrebbe dovuto smettere. Cosa che aveva sempre il potere d’infuriarlo.

La bimba scoppiò a piangere. Lui si alzò, arrabbiato e imbarazzato con se stesso, e uscì per andare alla fucina.

Si udì un forte scricchiolio e un tonfo.

Lo trovarono per terra privo di conoscenza. Dopo lui soste