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Scuotivento si raddrizzò. — No. Be’, c’era da aspettarselo.

— Mi hai dato qualcoscia a cui pensciare, non sc’è dubbio — ammise Cohen.

— Spero di non avere combinato un guaio.

— No, no — rispose il vecchio eroe in tono vago. — Non ti scusciare. Hai fatto bene a parlarne.

Si voltò a guardare Bethan, che lo salutò con la mano, e poi alzò gli occhi verso la stella che luceva attraverso la nebbia.

Alla fine affermò: — Tempi pericolosa, questi.

— È un fatto.

— Chi scia coscia può portare il domani?

— Io di certo non lo so.

Cohen gli batté una mano sulla spalla. — A volte sciamo costretti a correre dei rischi. Non offenderti, ma penscio che andremo avanti con il matrimonio comunque. E, be’ — guardò Bethan e sospirò — dobbiamo sciolo sperare che lei scia forte abbastanza.

Il giorno seguente, verso mezzogiorno, arrivarono a cavallo a una cittadina dalle mura di fango, circondata da campi ancora di un verde lussureggiante. Tuttavia, c’era un sacco di traffico diretto nell’altro senso: passaggio di grossi carri rumorosi, mandrie di bestiame trotterellanti sul bordo della strada, vecchie che avanzavano a fatica con le schiene cariche di tutti i loro beni e di balle di fieno.

Scuotivento fermò un uomo che spingeva un carretto pieno di bambini. — Peste? — gli domandò.

Quello scosse la testa. — È la stella, amico. Non l’hai vista lassù nel cielo?

— Sì, era impossibile non notarla.

— Dicono che ci colpirà la Notte della Posta del Cinghiale e i mari ribollira

— Servirà a qualcosa, vero?

— No, ma la vista sarà migliore. Scuotivento tornò verso i suoi compagni.

— Tutti si preoccupano della stella — li informò. — Quasi più nessuno è rimasto in città. Sono tutti spaventati.

— Non voglio turbarvi, ma non vi sembra che faccia un caldo fuori stagione? — chiese Bethan.

— E quanto dicevo la notte scorsa — disse Duefiori. — Pensavo che facesse molto caldo.

— Sospetto che lo diventerà ancora di più. Entriamo in città — suggerì Cohen.

Cavalcarono attraverso strade praticamente deserte. Cohen guardava attento in cerca delle insegne dei mercanti, finché tirò le redini del suo cavallo e disse: — È questo che scercavo. Voi trovate un tempio e un prete. Vi raggiungerò tra poco.

— Un gioielliere? — disse Scuotivento.

— È una sciorprescia.

— Non mi dispiacerebbe neppure un vestito nuovo — dichiarò Bethan.

— Te ne ruberò uno.

Nella città c’era un che di molto opprimente, decise il mago. E anche di molto strano.

Su quasi ogni porta era dipinta una grande stella rossa.

— Mi fa venire la pelle d’oca — disse Bethan. — Come se la gente volesse portare qui la stella.

— O per tenerla lontana — dichiarò Duefiori.

— Non funzionerà. È troppo grossa — disse Scuotivento. Gli altri si girarono a guardarlo.

— Be’, è evidente, no? — insistette debolmente lui.





— No — replicò Bethan.

— Nel cielo le stelle sono delle piccole luci — spiegò Duefiori. — Una volta una cadde vicino a casa mia… una grossa cosa bianca, grande come una casa, ha continuato a rilucere per settimane prima di spegnersi.

— Questa stella è diversa — disse una voce. — La Grande A’Tuin si è arrampicata sulla spiaggia dell’universo. Questo è il grande oceano dello spazio.

— Come lo sai? — domandò Duefiori.

— So cosa? — ribatté il mago.

— Ciò che hai appena detto. A proposito di spiagge e oceani.

— Io non ho detto niente.

— Sì che lo hai detto, sciocco! — gridò la ragazza. — Abbiamo visto le tue labbra muoversi e tutto.

Scuotivento chiuse gli occhi. Sentiva nella sua mente l’Incantesimo che correva a nascondersi dietro la sua coscienza, borbottando tra sé e sé.

— Va bene, va bene — disse. — Non c’è bisogno di urlare. — Io… io non so come lo so, lo so e basta.

— Allora, vorrei che ce lo dicessi. Girarono l’angolo.

Tutte le città intorno al Mare Circolare avevano uno spazio speciale riservato agli dei, che sul Disco erano numerosi. Tali aree di solito erano affollate e non molto attraenti da un punto di vista architettonico. Gli dei più antichi, naturalmente, avevano templi grandi e splendidi. Ma il guaio era che gli dei più recenti pretendevano l’uguaglianza e ben presto le zone sacre erano affollate di baracche, a

Ma quella strada era mortalmente silenziosa, di quel silenzio particolarmente sgradevole quando centinaia di persone incollerite e spaventate si tengono immobili.

Un uomo, ai margini della folla, si girò e guardò con un severo cipiglio i nuovi arrivati. Aveva una stella rossa dipinta sulla fronte.

— Che cosa… — cominciò Scuotivento e s’interruppe perché la sua voce risuonava troppo forte — che è questo?

— Siete stranieri? — domandò l’uomo.

— In realtà ci conosciamo tutti molto… — cominciò a dire Duefiori e tacque.

Bethan puntò un dito verso la strada.

Su ogni tempio era dipinta una stella. Una particolarmente grossa imbrattava l’occhio di pietra all’esterno del tempio di Cieco Io, il più grande di tutti gli dei.

— Urgh — esclamò Scuotivento. — Io si incazzerà quando la vede. Amici, non credo che dovremmo restare qui.

La folla si era addensata davanti a una piattaforma di fortuna costruita in mezzo al viale; sul davanti del palco era stata drappeggiata una grande bandiera.

— Ho sempre sentito che Cieco Io è in grado di vedere qualsiasi cosa accade in qualsiasi posto — affermò Bethan. — Perché non ha…

— Zitti! — ordinò l’uomo vicino a loro. — Parla Dahoney!

Un tizio era salito sul palco, un uomo alto e magro con i capelli come un’aureola intorno al capo. La folla non lo accolse con grida di acclamazione, ma con un sospiro collettivo. Lui cominciò a parlare.

Scuotivento lo ascoltava con crescente raccapriccio. "Dov’erano gli dei?" chiedeva l’uomo. "Se ne sono andati. Forse non sono mai esistiti. Chi poteva davvero ricordare di averli mai visti? E ora era stata mandata la stella…"

La voce, calma e distinta, parlava e parlava. Usava parole come "risanare", "castigare", "purificare" che penetravano nel cervello come una lama ardente. "Dov’erano i maghi? Dov’era la magia? Tutto ciò era veramente esistito o era stato tutto un sogno?"

Scuotivento cominciò veramente a temere che gli dei potessero udirlo e arrabbiarsi tanto da prendersela con chiunque si fosse trovato per caso sul posto.

D’altra parte, però, perfino la collera degli dei sarebbe stata preferibile al suono di quella voce. La stella stava per venire, sembrava dire, e il suo fuoco terribile poteva essere allontanato soltanto da… da… Scuotivento non ne era certo, ma gli apparivano visioni di spade e stendardi e guerrieri dallo sguardo spietato. La voce non credeva agli dei (ciò che per Scuotivento era abbastanza giusto), ma non credeva nemmeno nelle persone.

Alla sinistra di Scuotivento un alto straniero incappucciato gii diede una gomitata. Lui si girò… e alzò gli occhi verso un teschio ghignante sotto il nero cappuccio.

I maghi, proprio come i gatti, possono vedere la Morte.

A confronto del suono di quella voce, la Morte sembrava quasi simpatica. Stava appoggiata a un muro, con la falce accanto. Fece un ce

— Sei venuta a godertela? — le bisbigliò questi. La Morte scrollò le spalle.