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Ged cercò un pezzo di legno duro e nodoso e lo gettò nel fuoco perché bruciasse piano e senza troppa fiamma. Tutt’e due rimasero per qualche tempo a guardare le fiamme che tremolavano e le lingue di fuoco che si alzavano e si spegnevano.

«Mi piacerebbe che tu rimanessi qui, Ged», disse infine Tenar. «Se vuoi, naturalmente.»

Lui non rispose subito, e la do

«No. Non ho alcun posto dove andare. Cercavo un lavoro.»

«Be’, qui c’è molto da fare. Rivochiaro non lo ammetterebbe mai, ma, con l’artrite che ha, può solamente badare al frutteto. Fin dal mio arrivo ho constatato che mi serve un aiutante. Avrei potuto sgridare quel vecchio testone perché ti ha spedito in cima ai monti, ma non sarebbe servito a niente. Sarebbe rimasto della sua idea.»

«Per me è stato un bene», disse Ged. «Mi occorreva del tempo.»

«Badavi alle pecore?»

«No, alle capre. Proprio nel punto più alto del pascolo. Avevano un ragazzo, ma si è ammalato, e Serry mi ha mandato subito lassù. Cercano di tenerle il più possibile in quei pascoli alti, perché così la lana è più folta. Il mese scorso, ho avuto tutta la montagna per me, o quasi. Serry mi ha mandato quel giaccone e un po’ di provviste, e mi ha detto di tenere su le bestie finché mi era possibile, e io ho fatto come voleva. È un bel posto.»

«Solitario», commentò Tenar.

Lui a

«Tu sei sempre stato un solitario.»

«Sì.»

Tenar non fece commenti.

Ged la fissò. «Mi piacerebbe lavorare qui», disse.

«Allora, siamo d’accordo», rispose lei. Dopo qualche tempo, concluse: «Per tutto l’inverno, almeno».

Quella notte fu ancora più fredda della precedente. Il loro mondo era assolutamente silenzioso, a parte il bisbiglio del fuoco. Il silenzio era come una creatura viva, tra loro. Tenar sollevò la testa e fissò Ged.

«Allora», chiese, «in che letto devo dormire, Ged? In quello della bambina o nel tuo?»

Ged trasse lentamente il respiro. «Nel mio, se vuoi», mormorò.

«Lo voglio.»

Il silenzio lo bloccava come una catena. Tenar vedeva gli sforzi fatti da Ged per liberarsene. «Se mi sopporti», aggiunse.

«Ti sopporto da venticinque a





Ged attizzò il fuoco e prese dalla panca la coperta buona. Questa volta, Tenar non trovò niente da ridire. Il mantello di Tenar e il giaccone di Ged furono le loro coperte.

Si svegliarono all’alba. Una debole luce argentea illuminava i rami scuri, quasi senza foglie, delle querce, davanti alla finestra. Tenar si strinse a Ged per sentire il suo calore, e dopo un poco gli mormorò: «Era steso proprio qui, Tinca. Dove siamo noi adesso».

Ged sbuffò in segno di protesta.

«Adesso sei davvero un uomo», continuò Tenar. «Prima hai riempito di buchi un tizio, e poi sei stato con una do

«Non dire queste cose», rispose Ged, girandosi verso di lei e posandole la testa sulla spalla.

«Invece le dirò ancora, Ged. Poveretto! Non c’è alcuna pietà in me, solo giustizia. Non mi ha

Avvolti nel tepore e nel dolce silenzio, non parlarono più.

«Dimmi una cosa», sussurrò Tenar, dopo un certo tempo.

Lui rispose con un mugolio di assenso, mezzo addormentato.

«Come hai fatto a sentire quel che dicevano quei tre, Tinca, Faina e l’altro? Come hai fatto a trovarti proprio in quel luogo e nel momento giusto?»

Lui si sollevò su un gomito, in modo che Tenar potesse guardarlo in faccia. Aveva un’aria così aperta e vulnerabile, in quel momento, così soddisfatta e tenera, che lei non poté fare a mano di baciarlo sulla guancia, proprio nello stesso punto dove l’aveva baciato la prima volta, tanti mesi prima. Così, lui la abbracciò, e la conversazione continuò senza parole.

C’erano talune formalità da sbrigare: i

Anche tra gli abitanti del villaggio, l’atteggiamento fu molto simile. Qualche bisbiglio e qualche sorriso, ma niente di più. A quanto pareva, guadagnarsi la rispettabilità era più facile di quanto non pensasse Muschio; o forse le cose usate avevano meno valore.

Si senti un po’ offesa e sminuita da quel genere di tacita accettazione; un po’ come se avesse incontrato un’aperta disapprovazione. Solo Lodola riusciva a liberarla dall’imbarazzo, perché non esprimeva alcun giudizio e non ricorreva alle solite parole — uomo, do

E poiché Lodola non vedeva Falco attraverso le parole — pastore, bracciante, amante della vedova -, ma osservava lui, vedeva molte cose che la lasciavano disorientata. La sua dignità e la sua semplicità non erano molto diverse da quelle di tanti altri uomini che conosceva, ma erano più sottili, come se lui fosse un uomo più grande degli altri, non come statura o larghezza di spalle, ma di animo e di mente. Disse a Edera: «Quell’uomo non è sempre vissuto con le capre. Conosce il mondo più di quanto non conosca le fattorie».

«Potrebbe essere un mago che è stato scacciato o che ha perso in qualche modo il suo Potere», rispose la strega. «Sono cose che succedono.»

«Ah», commentò Lodola.

Ma la parola «Arcimago» era troppo grande e importante, per trasferirla dallo sfarzo e dai palazzi di isole lontane all’uomo dagli occhi scuri e dai capelli grigi che era andato ad abitare alla Fattoria delle Querce, e a Lodola non ve