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Tenar stava quasi per chiederle quale fosse il significato di quell’affermazione, ma qualcosa glielo impedì. Comprese che aveva teso l’orecchio per sentire i passi di Ged che rientrava dai suoi vagabondaggi nella foresta, che si aspettava di sentire la sua voce: i sensi di Tenar negavano la sua lontananza. Alzò gli occhi verso la strega: una macchia scura seduta sulla sedia di Ogion accanto al focolare spento.

«Ah!» esclamò, e in un istante le parve di capire molte cose.

«È per quello che…» continuò. «È per quello che non ho mai…»

S’interruppe, e dopo un lungo silenzio commentò: «E loro… i maghi… Che cos’è, un incantesimo?»

«Certo, cara», disse Muschio. «Una stregoneria che fa

«Quelle che mi ha

«Oh, certo. Non c’erano uomini, mi hai detto, ma solo quegli unuchi. Spaventoso!»

«Ma perché», si chiese Tenar, «non mi è mai venuto in mente di…»

La strega rise. «Perché è il loro Potere, cara. Non ti viene neppure in mente! Non ci pensi! E non ci pensano neanche loro, una volta fatto l’incantesimo. E come farebbero, con il Potere che ha

Tenar ascoltò le parole della strega e rifletté. Alla fine disse: «Si isolano».

«Certo. I maghi devono farlo.»

«Ma tu non lo fai.»

«Io? Io sono solo una vecchia strega di villaggio, cara.»

«Vecchia quanto?»

Dopo qualche istante, la voce divertita di Zia Muschio uscì dall’oscurità: «Quanto basta a non cacciarmi più nei guai».

«Ma avevi detto… Non hai sempre mantenuto la castità.»

«Che intendi dire, cara?»

«Come i maghi.»

«Oh, no di certo!» disse la strega. «Non sono mai stata una bellezza, tuttavia riuscivo a guardarli in un certo modo… non era stregoneria, lo capisci anche tu, cara… ma se guardi gli uomini in un certo modo, loro poi vengono a cercarti, come è vero che il corvo gracchia. Dopo due o tre giorni arrivavano da me. ‘Mi occorre qualcosa per il mio cane, che ha la rogna.’ ‘Mi serve una tisana per la no





Per qualche tempo, nessuna delle due parlò.

«E quando avevi un uomo, Muschio», chiese Tenar, «dovevi rinunciare al tuo Potere?»

«Nemmeno a una briciola», disse la strega, compiaciuta di sé.

«Ma hai detto che non si ha senza dare. Oppure, per le do

«Perché, c’è qualcosa che non è diverso, cara?»

«Non saprei», rispose Tenar. «Mi pare che gran parte delle differenze ce le creiamo da noi, e poi ci lamentiamo della loro esistenza. Non vedo perché la magia, il Potere, debba essere diversa tra uomo e do

«L’uomo dà, cara. La do

Tenar non disse niente, ma la spiegazione l’aveva lasciata chiaramente insoddisfatta.

«Almeno in apparenza, il nostro Potere è molto piccolo accanto al loro», riprese Muschio, «ma scende in profondità. È tutto radice, come una vecchia siepe di more. Il Potere dei maghi, invece, è come una pianta di fico, grande, alta, sole

«A parlare?» fece Tenar, sorpresa.

«Tu sei una do

«La sua ricchezza…» disse Tenar, in tono vacuo. «Il suo tesoro. Il suo valore.» Si alzò: era stanca di stare seduta, e si stirò varie volte la schiena e le braccia. «Come i draghi che cercano una caverna e poi la trasformano in una fortezza per il loro tesoro, per le loro ricchezze, e poi si stendono sopra di esse, a dormire. Prendere, prendere e non dare mai!»

«Saprai anche tu il valore di una buona reputazione», disse Muschio, asciutta, «quando l’avrai perduta. Non è tutto, certo. Ma è difficile trovare qualcosa che la sostituisca, quando non ce l’hai più.»

«Tu rinunceresti a essere una strega per diventare una do

«Non lo so», rispose lei, pensosa, dopo qualche istante. «Non so se potrei, però. So fare l’una, ma non so se saprei fare l’altra.»

Tenar la prese per le mani. Sorpresa, Muschio si alzò e si tirò leggermente indietro, ma Tenar la baciò sulla guancia.

La strega alzò una mano e timidamente le sfiorò i capelli: una carezza come quelle che le faceva Ogion. Poi si tirò indietro e mormorò di dover tornare a casa. Sulla soglia, però, chiese: «O forse preferivi che rimanessi, con tutti quegli stranieri che ci sono in giro?»

«Va’ pure», disse Tenar. «Sono abituata agli stranieri.»

Quella notte, addormentandosi, entrò di nuovo nelle grandi distese di vento e di luce, ma la luce era fumosa, rossa, arancione e ambra, come se l’aria stessa si fosse infuocata. In quell’elemento, lei aveva l’impressione di essere e di non essere: di volare nel vento e di essere il vento, il vento che soffiava, la forza che si liberava; e nessuna voce la chiamò.