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«Sapendo come dev’essere la sua vita…»

La gente che distoglieva lo sguardo, che faceva scongiuri contro il male, l’orrore e la curiosità, la falsa pietà e l’indiscrezione minacciosa, perché la disgrazia attira il male… E mai un uomo. Mai qualcuno che l’abbracciasse. Tolta Tenar. Oh, Ged aveva ragione: per la bambina, la morte sarebbe stata preferibile. Avrebbero fatto meglio a lasciarla andare nel deserto di cui le aveva parlato Ged, lei e Lodola ed Edera, tre vecchie impiccione, crudeli e tenere di cuore. Ged aveva ragione, aveva sempre ragione. Ma, allora, gli uomini che l’avevano usata per i loro bisogni e i loro giochi, la do

La bambina aveva i capelli fini, caldi, profumati. Dormiva ra

Era intenta a pettinare la capra nera per raccogliere la fine lanugine che poi lei stessa contava di filare e di portare al tessitore del villaggio che ne avrebbe fatto la stoffa leggera simile a seta, caratteristica dell’Isola di Gont. La vecchia capra nera era stata pettinata un migliaio di volte, e la cosa le piaceva: lei stessa spingeva in direzione contraria a quella del pettine. La lanugine di colore grigio scuro dive

Muschio aveva insegnato alla bambina come intrecciare cestini d’erba, e la piccola, anche se non poteva usare bene la mano invalida, cominciava a imparare. In quel momento sedeva sull’erba del prato, con il lavoro sulle ginocchia, ma non lavorava. Guardava Ged.

Questi era fermo a una certa distanza, sul ciglio del Precipizio. Voltava la schiena alla casa, e non sapeva di essere osservato, perché a sua volta stava osservando un uccello, un giovane gheppio, il quale a sua volta osservava una preda che doveva avere scorto in mezzo all’erba. Sospeso nel cielo, batteva lentamente le ali per mettere in fuga il piccolo roditore, topo o arvicola che fosse, terrorizzandolo in modo da farlo correre al nido. L’uomo era teso e immobile come il rapace, e pareva altrettanto affamato. Lentamente, sollevò la mano destra, tese il braccio e disse qualcosa, anche se il vento si portò via le sue parole. Il gheppio cambiò bruscamente direzione di volo, lanciò il suo grido acuto, secco e lamentoso e poi fuggì verso la foresta.

L’uomo abbassò il braccio e rimase immobile a guardare il rapace. La bambina e la do

«Una volta è arrivato da me sotto forma di falco, di falco pellegrino», le aveva raccontato Ogion, vicino al fuoco, un giorno d’inverno. Le parlava degli incantesimi di trasformazione, del mago Bordger che era diventato un orso. «È volato fino a me, e mi si è posato sul polso; veniva da nordovest. Io l’ho portato qui, vicino al fuoco. Non riusciva a parlare. Però, dato che lo conoscevo, sono riuscito ad aiutarlo, ha potuto lasciare il suo aspetto di falco e tornare a essere uomo. Ma in lui c’è sempre stato qualcosa del falco. Nel suo villaggio lo chiamavano Sparviero perché i falchi selvatici si recavano da lui, al suo richiamo. Ma chi siamo noi? Che cosa significa essere uomo? Prima che gli venisse dato il suo nome, prima che avesse coscienza, prima che avesse Potere, c’era già in lui il falco, e l’uomo, e il mago, e altro ancora… era qualcosa che non possiamo definire. E tutti noi siamo come lui.»

Nell’ascoltarlo, la ragazza che sedeva accanto al focolare e che guardava le fiamme vedeva il falco; vedeva l’uomo; vedeva gli uccelli che volavano da lui, al suo richiamo, quando li chiamava per nome, e battevano le ali per tenersi al suo braccio con i loro artigli appuntiti; e vedeva se stessa come il falco, come l’uccello selvatico.





TOPI

Townsend, il sensale di pecore che aveva portato alla fattoria della Valle di Mezzo il messaggio di Ogion, si presentò un pomeriggio alla casa del mago.

«Intendete vendere le capre, adesso che Lord Ogion è morto?»

«È una possibilità», rispose Tenar, senza compromettersi. In effetti si era chiesta come sarebbe vissuta, se fosse rimasta a Re Albi. Come tutti i maghi, Ogion veniva mantenuto dalle persone che aiutava con il suo Potere: nel suo caso, tutti gli abitanti di Gont. Aveva solo da chiedere, e la gente era ben lieta di dargli l’occorrente: un affare vantaggioso, in cambio dell’amicizia di un mago. Ma Ogion non aveva mai bisogno di chiedere. Anzi, in genere doveva regalare ad altri il superfluo: alimenti, vestiti, attrezzi, animali e tutti gli altri oggetti, necessari o decorativi che gli venivano offerti, o semplicemente lasciati davanti alla porta. «Che cosa me ne faccio?» chiedeva, perplesso, con le braccia piene di galletti irritati e starnazzanti, o di iarde di stoffa, o di vasi di barbabietole in agro.

Ma Tenar aveva lasciato nella Valle di Mezzo i suoi mezzi di sostentamento. Quando era partita in tutta fretta da casa, non si era chiesta quanto sarebbe durata la sua assenza. Non aveva portato con sé i sette pezzi d’avorio che erano il tesoro di Selce; del resto, nel villaggio, quel denaro non le sarebbe servito a nulla, tra

In effetti, le galline di Muschio entravano e uscivano liberamente, le dormivano sul letto e arricchivano di nuovi odori la stanza fumosa, buia e incredibilmente puzzolente in cui abitava la strega.

«C’è una capretta di un a