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Pensando a questo, Jenkins ve
Jenkins scosse il capo. Forse si trattava di una risposta che nessuno avrebbe mai potuto conoscere. Ma le Formiche, chissà come, avevano saputo la verità, e avevano costruito sopra ogni formicaio il simbolo di quella figura mistica. Un memoriale, si domandò Jenkins, oppure un simbolo religioso? O forse qualcosa di completamente diverso, che aveva uno scopo oscuro o un significato arcano… qualcosa che solo una formica avrebbe potuto concepire e comprendere?
Si domandò, forse oziosamente, se il fatto che le Formiche avevano scoperto la verità sulla loro origine e sulla loro grandezza non fosse collegato all’altro inesplicabile fenomeno, e cioè il fatto che la Costruzione aveva risparmiato la Casa dei Webster e il territorio circostante; ma Jenkins non proseguì per questa linea di pensiero, poiché si rendeva conto che era una speculazione troppo vaga e nebulosa, e non c’era alcuna speranza di trovare una risposta.
Si addentrò vieppiù nei recessi dell’immensa Costruzione, percorrendo gli angusti sentieri che dividevano i formicai, e con i sensi più acuti del suo corpo cercò intorno a sé qualche traccia di vita, senza trovarne alcuna… non c’era vita, neppure quel barlume debolissimo, vacillante, che indicava la presenza di quei minuscoli organismi che avrebbero dovuto brulicare nel suolo.
C’erano il silenzio e il nulla, e quel silenzio e quel nulla si addensavano in una composizione d’orrore, ma Jenkins si sforzò di proseguire, pensando che certamente lui avrebbe trovato, un poco più avanti, almeno qualche debole traccia di vita. Si domandò se non avrebbe fatto bene a gridare, per attirare l’attenzione, ma la ragione gli diceva che le Formiche non avrebbero udito il suo grido, e, a parte questo, egli provava una bizzarra riluttanza all’idea di produrre qualche rumore. Come se quello fosse stato un luogo nel quale un visitatore avrebbe dovuto cercare di farsi piccolo e di procedere in maniera furtiva.
Ogni cosa era morta.
Perfino il robot che Jenkins trovò.
Giaceva al centro di uno dei sentieri, con la schiena appoggiata a un formicaio, e Jenkins lo incontrò nel momento in cui sbucò da dietro un’altra collinetta. Era immobile e privo di vita, se era possibile dire questo di un robot, e Jenkins, vedendolo, s’immobilizzò al centro del sentiero. Non c’era alcun dubbio sul fatto che fosse morto; non poteva cogliere alcun fremito di vita all’interno di quella testa di robot, e nel momento in cui egli comprese questo, gli parve che tutto il mondo si fosse fermato, come sgomento di fronte a quella rivelazione.
Perché i robot non muoiono. Si consumano, forse, o rimangono da
I robot non muoiono, ma davanti a lui c’era un robot morto, e non si trattava solo di un robot, qualcosa pareva bisbigliargli nel cervello, ma di tutti i robot che avevano servito le Formiche. Tutti i robot e tutte le formiche, e la Costruzione sorgeva ancora, vuoto simbolo di un’ambizione sbagliata, di qualche errore di calcolo di una civiltà. Qualcosa era andato male, nell’evoluzione delle formiche, esse avevano commesso qualche errore lungo la strada, e questo errore era stato forse dovuto al fatto che Joe aveva costruito una cupola? La cupola era forse diventata l’inizio e la fine delle cose, il mezzo e il fine, la ragione di vita e il mezzo di sussistenza? Le formiche avevano forse creduto di poter essere grandi solo costruendo una cupola, e che fosse necessaria una cupola, se esse avessero voluto continuare a essere grandi?
Jenkins fuggì. E, mentre lui fuggiva, una spaccatura apparve nel soffitto, lassù, in alto, lontanissimo dal suolo, e si udì un rumore strano, stridente e crepitante, mentre la spaccatura avanzava serpentina.
Jenkins attraversò correndo il buco del Muro, e continuò a fuggire, rifugiandosi sul prato. Alle sue spalle udì il tuono prodotto dal crollo di una parte del tetto. Allora si volse e guardò, mentre altre porzioni della Costruzione crollavano, e grandi macerie cadevano su quei formicai morti e desolati, rovesciando le miriadi di emblemi di quel piede umano, gli emblemi che erano stati posti alla sommità di ogni formicaio.
Jenkins si voltò di nuovo, allora, e camminò lentamente sul prato, e cominciò a salire il pendio che conduceva alle sommità della collina sulla quale sorgeva la Casa dei Webster. Quando fu sulla veranda, vide che per il momento il crollo della Costruzione era terminato. Gran parte del muro esterno era crollata, e un enorme buco si spalancava nella Costruzione sostenuta dal muro.
In quella serena giornata d’autu
Gli uomini se ne erano andati e i Cani se ne erano andati, e, a parte lui, anche tutti i robot se ne erano andati. Ora anche le formiche se ne erano andate, e la Terra era rimasta sola, sola con un antico, massiccio robot, e con dei minuscoli, indifferenti topolini di campo. Forse esistevano ancora dei pesci, pensò Jenkins, e altre creature del mare, e chissà quali erano queste creature del mare, e che cosa facevano. Forse stavano raggiungendo l’intelligenza. Ma l’intelligenza veniva nella maniera più difficile, la si conquistava a duro prezzo, e non durava a lungo. Tra un giorno, pensò, forse un’altra intelligenza sarebbe uscita dal mare, anche se nelle profondità del suo essere egli sapeva che questo era sommamente improbabile.
Le formiche avevano deciso di rinchiudersi, pensò, Jenkins. Il loro mondo era stato un mondo chiuso e inaccessibile. Avevano fallito, forse, perché non c’era stato per loro alcun posto ove andare? O perché il loro mondo era stato chiuso fin dall’inizio? C’erano state delle formiche, nel mondo, fino dal remoto Giurassico, centottanta milioni di a