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«Entra pure,» gridò. «Piantala di fare tutto questo frastuono, ed entra.»

La porta si aprì ed entrò un robot, ma il robot più grande e imponente che Homer avesse mai visto. Un robot dal grande corpo di metallo lucido, immenso e maestoso, e il metallo levigato pareva splendere di fuoco soffuso anche nel buio. E sulla spalla del robot era appollaiato Archie, il procione.

«Io sono Jenkins,» disse il robot. «Sono tornato stanotte.»

Homer sussultò, inghiottì, e sedette lentamente, molto lentamente.

«Jenkins,» disse. «Ci sono delle storie… delle leggende… di un passato molto lontano.»

«Sono solo leggende?» chiese Jenkins.

«Sono solo leggende e niente di più,» disse Homer. «La leggenda di un robot che ebbe cura di noi. Ma Andrew ha parlato di Jenkins, oggi, come se lo avesse conosciuto. E poi c’è la storia che narra come i Cani ti donassero un corpo, quando tu compisti settemila a

Tacque d’un tratto… perché il corpo del robot ritto davanti a lui, con il procione appollaiato sulla spalla… quel corpo non poteva essere che quel dono di complea

«E la Casa dei Webster?» domandò Jenkins. «Conservate ancora la Casa dei Webster?»

«Noi conserviamo ancora la Casa dei Webster,» disse Homer. «La conserviamo così com’è. È una cosa che dobbiamo fare.»

«E i webster?»

«Non ci sono più webster.»

Jenkins a

E così doveva essere.

Attraversò lentamente la stanza, con il passo vellutato come il passo di un gatto, malgrado la sua mole enorme, e Homer lo sentì vicino, sentì l’amicizia e la bontà che sprigionavano da quella creatura di metallo, si sentì protetto dalla forza poderosa dell’antico, antichissimo robot.

Jenkins si acquattò sul pavimento, accanto a lui.

«Voi siete nei guai,» disse Jenkins.

Homer lo fissò, senza rispondere.

«Le formiche,» spiegò Jenkins. «Me l’ha detto Archie. Mi ha detto che eravate nei guai a causa delle formiche.»

«Sono andato alla Casa dei Webster per nascondermi,» disse Archie. «Temevo che tu mi facessi cercare di nuovo, che i guardiani ricominciassero a darmi la caccia, e pensavo che forse alla Casa dei Webster…»

«Silenzio, Archie,» gli disse Jenkins. «Tu non sai niente della faccenda. Me l’hai detto tu stesso. Hai detto solo che i Cani erano nei guai per colpa delle formiche.

«Immagino che si tratti delle formiche di Joe,» disse.

«Così tu sai di Joe,» disse Homer. «Così c’era davvero un uomo di nome Joe.»

Jenkins ridacchiò.

«Sì, e combinava molti guai. Ma a volte era simpatico. Era un vero demonio.»

Homer disse:

«Sta

«Certamente,» disse Jenkins. «Anche le formiche ha

«Ma costruiscono troppo in fretta. Ci scaccera

«E non avete alcun posto dove andare? È questo che vi preoccupa?»

«Sì, abbiamo un posto dove andare. Molti posti, anzi. Tutti gli altri mondi. I mondi delle ombre.»

Jenkins a

«Io sono stato in un mondo delle ombre. Il primo mondo dopo questo. Ho portato laggiù alcuni webster, cinquemila a

«Siamo felici che tu sia venuto,» disse Homer, a bassa voce, con una sfumatura di dolcezza.

«Quelle formiche…» disse Jenkins. «Immagino che vogliate fermarle.»

Homer a

«Un modo esiste,» disse Jenkins. «So che un modo esiste. I webster conoscevano un modo… se solo riuscissi a ricordarlo. Ma è passato tanto tempo. Ed è un modo semplice, ne sono certo. Questo lo ricordo. Un modo semplicissimo.»

Sollevò una mano e strofinò il mento d’acciaio.

«Perché fai questo?» chiese Archie.

«Come?»

«Perché ti strofini la faccia a quel modo? C’è uno scopo?»

Jenkins lasciò ricadere il braccio.

«È solo un’abitudine, Archie. Un gesto dei webster. Un modo di fare che avevano nel pensare. L’ho preso da loro.»

«Ti aiuta a pensare?»

«Be’, forse. E forse no. Pareva aiutare i webster. E adesso, che cosa farebbe un webster, in un caso del genere? I webster potrebbero aiutarci. Lo so che potrebbero…»

«I webster che si trovano nel mondo delle ombre potrebbero aiutarci,» disse Homer.

Jenkins scosse il capo.

«Laggiù non ci sono più webster.»

«Ma tu hai detto che ne avevi portati alcuni con te.»

«Sì, l’ho detto. Ma ora non ci sono più. Sono rimasto solo, nel mondo delle ombre, per quasi quattromila a

«Allora non ci sono più webster, da nessuna parte. Tutti gli altri sono andati su Giove. Questo me l’ha detto Andrew. Jenkins, dov’è Giove?»

«Sì, c’è ancora,» disse Jenkins. «Voglio dire che c’è ancora qualche webster. Almeno dovrebbe esserci. Quei pochi che sono rimasti a Ginevra.»

«Non sarà facile,» fece Homer. «Nemmeno per un webster. Quelle formiche sono astute. Archie ti ha parlato della pulce che ha trovato?»

«Non era una pulce,» disse Archie.

«Sì, me ne ha parlato,» a

«Non è salita,» gli disse Homer. «È entrata, questa è la parola giusta. Non era una pulce… era un robot, un minuscolo robot. Ha scavato un forellino nel cranio di Hezekiah ed è entrato nel suo cervello. Poi ha richiuso il forellino.»

«E che cosa sta facendo adesso Hezekiah?»

«Niente,» disse Homer. «Ma siamo certissimi su quello che farà non appena il robot avrà terminato il suo lavoro. Riceverà la Chiamata. Riceverà la Chiamata e andrà a lavorare alla Costruzione.»

Jenkins a

«Un controllo automatico,» disse. «Le formiche non possono fare da sole un lavoro simile, così prendono possesso di coloro che lo possono fare per mezzo di un controllo automatico.»

Sollevò di nuovo la mano e se la passò sul mento.

«Mi chiedo se Joe lo sapesse,» mormorò. «Quando ha giocato a fare il dio con le formiche, mi chiedo se Joe lo sapesse.»

Ma questo era ridicolo. Joe non avrebbe mai potuto saperlo. Neppure un mutante come Joe avrebbe potuto vedere dodicimila a

È passato tanto tempo, pensò Jenkins. Sono accadute tante cose. Bruce Webster aveva appena iniziato i suoi esperimenti sui cani, aveva cominciato a sognare il suo grande sogno… cani capaci di parlare e di pensare, che avrebbero percorso il sentiero del destino a fianco dell’Uomo, mano nella zampa… senza sapere che l’Uomo, nel giro di pochi, brevi secoli, si sarebbe disperso ai quattro venti dell’eternità, e avrebbe lasciato la Terra ai robot e ai cani. Senza sapere che perfino il nome dell’Uomo sarebbe stato dimenticato nella polvere dei secoli, e che la razza umana sarebbe stata conosciuta con il nome di una sola famiglia.

Eppure, pensò Jenkins, se l’Uomo doveva essere conosciuto con il nome di una sola famiglia, era giusto che la famiglia fosse quella dei Webster. Li ricordo, li ricordo come se fosse ieri. Quelli erano i giorni nei quali anch’io mi consideravo un Webster.

Lo sa il Signore quanto ho tentato di essere degno di quel nome. Ho fatto del mio meglio. Sono rimasto accanto ai cani dei Webster quando la razza degli uomini è partita per sempre e alla fine ho portato gli ultimi pericolosi superstiti di quella razza folle in un altro mondo, perché i Cani avessero la strada aperta e libera… perché i Cani potessero modellare la Terra secondo il loro piano, seguendo il loro sogno.