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Molti uomini erano morti per ottenere l’approvazione dei loro simili, altri uomini si erano sacrificati per lo stesso motivo, altri ancora avevano vissuto una vita che odiavano e detestavano, sempre in nome di quella necessità che nessuno, mai, aveva messo in dubbio. Perché senza l’approvazione dei suoi simili un uomo era solo, un reietto, una paria, un animale che era stato scacciato dal gregge.

Questa realtà umana aveva condotto a cose terribili, naturalmente… alla psicologia della massa, agli isterismi collettivi, alla persecuzione razziale, al genocidio e allo sterminio di massa nel nome del patriottismo o della religione. Ma, d’altro canto, essa era stata l’elemento di coesione che aveva tenuto unita la razza, era stata la cosa, l’unica cosa che aveva reso possibile la società umana fin dall’inizio della sua lunga storia.

E Joe non l’aveva, questa necessità, questa componente fondamentale della razza. A Joe non importava un accidente dell’approvazione degli alttri. Se ne infischiava di quello che gli altri pensavano di lui. Che lo approvassero oppure no, per lui era lo stesso.

Grant sentì sulla schiena la calda carezza del sole, udì il sospiro del vento che camminava tra gli alberi, sopra di lui, con i suoi lunghi passi fatti d’improvvisi silenzi e di improvvisi sospiri, di ululati lontani e di dolci mormoni vicini che parlavano di cose lontane, di colline e di boschi e di pianure e di mondi di là dal mare, di là dal fiume. E nel folto di una macchia d’alberi, o tra le foglie di un cespuglio, o nell’erba, un uccello cominciò a cantare la sua lenta canzone.

Era questa la caratteristica della mutazione? Era questa la strada che divergeva dalla grande strada della razza? Il rifiuto dell’istinto primario che rendeva l’uomo un membro della propria razza?

Quell’uomo che stava acquattato sull’erba, davanti a lui, e leggeva in silenzio il testamento spirituale di Juwain, l’eredità perduta che il grande filosofo di Marte aveva lasciato alle razze che popolavano il sistema solare, quell’uomo strano che vagava nei boschi e riparava gli oggetti e riscaldava i formicai, era riuscito a trovare dentro di sé, e non altrove, grazie alla mutazione, una vita così piena da rendere inutile e trascurabile l’approvazione dei propri simili? Quell’uomo dinoccolato, quell’incredibile adolescente di cento e più a

Joe alzò il capo.

«Molto interessante,» disse. «Perché non ha continuato il lavoro fino alla fine?»

«È morto,» disse Grant.

Joe fece schioccare la lingua.

«Si è sbagliato in un punto.» Girò le pagine, tornò indietro e indicò un punto con il suo lungo indice affusolato. «Ecco, proprio qui. È a questo punto che è apparso l’errore. Ed è stato questo che l’ha fatto impantanare.»

Grant balbettò, per la sorpresa e l’incredulità.

«Ma… ma non dovrebbe esserci nessun errore. Juwain è morto, ecco tutto. È morto prima di finirlo.»

Joe piegò accuratamente il manoscritto, e se lo infilò in tasca.

«Poco male,» disse. «Tanto avrebbe mantenuto l’errore fino in fondo.»

«Ma allora tu puoi finire il lavoro? Puoi…»

Era inutile, inutile continuare, e Grant se ne rese conto d’un tratto. Inutile. Lo aveva letto negli occhi di Joe. La risposta era dipinta, inconfondibile, sul suo volto.

«Ma tu credi davvero,» disse Joe, e le sue parole furono misurate e scandite, limpide e cristalline come il ghiaccio di un torrente, negli ultimi giorni d’inverno. «Che io voglia regalare questo a voi rompiscatole umani?»

Grant si strinse nelle spalle, e la sconfitta era un peso insopportabile per lui.

«Immagino di no. Immagino che avrei dovuto saperlo. Un uomo come te…»

«Io,» disse Joe, «Posso usare da solo questa cosa.»

Si alzò lentamente, e mosse pigramente il piede, scavando un solco che attraversava il formicaio, rovesciando i comignoli fumanti, seppellendo i carretti vuoti e pieni e le formiche che li trainavano.

Con un’esclamazione improvvisa, Grant balzò in piedi, con la gola stretta da un nodo di collera cieca, una collera cieca che guidò la sua mano e le fece estrarre la pistola che gli pendeva al fianco.

«Fermati!» disse Joe.

Il braccio di Grant si fermò, mentre la pistola era ancora puntata verso il suolo.

«Prendila calma, piccoletto,» disse Joe. «Lo so che ti piacerebbe molto uccidermi, ma non te lo posso permettere. Perché ho dei piani, capisci? E, dopotutto, tu non mi uccideresti per il motivo che credi avere.»

«Che differenza farebbe, se io ti uccidessi, sapere che è stato per un motivo o per l’altro?» disse Grant, e la sua voce era rauca, sconvolta dall’odio e dalla paura. «Tu saresti sempre morto, no? Non saresti più libero, libero e con la filosofia di Juwain.»

«Ma,» gli disse Joe, e il suo tono era quasi gentile, «Non è per questo che tu mi uccideresti. Lo faresti perché sei in collera con me per un altro motivo. Perché ho distrutto il formicaio.»

«Questo avrebbe potuto essere il motivo, prima,» disse Grant. «Ma non adesso…»

«Non provarci,» lo avvertì Joe. «Prima di riuscire a premere il pulsante, saresti già ridotto in poltiglia.»

Grant esitò.

«Tu pensi che io stia bluffando,» disse ironicamente Joe, «Bene, allora prova a chiamare il mio bluff.»

Per un lungo momento i due rimasero immobili, in piedi, faccia a faccia, e la pistola era sempre puntata verso il suolo.

«Perché non ti unisci a noi?» domandò Grant. «Abbiamo bisogno di un uomo come te. Tu sei stato l’uomo che ha mostrato al vecchio Thomas Webster come costruire un motore interstellare. Il lavoro che hai fatto con le formiche…»

Joe si era mosso, aveva fatto un passo avanti, rapidamente, e Grant sollevò la pistola, ma con un attimo di ritardo. Vide il pugno avvicinarsi al suo viso, un pugno enorme, malvagio, simile a un grosso maglio spietato che lo colpì con ferocia.

Un pugno che fu più veloce del suo dito sul pulsante della pistola.

Una cosa umida e calda stava passando sul volto di Grant, e lui alzò una mano, per cercare di liberarsene.

Ma la cosa continuò a lambirgli il viso.

Grant aprì gli occhi, e Nathaniel si mise a saltare di gioia davanti a lui.

«Sei sano e salvo,» disse Nathaniel «Avevo tanta paura…»

«Nathaniel!» disse raucamente Grant. «Cosa stai facendo qui?»

«Sono scappato,» gli disse Nathaniel. «Voglio venire con te.»

Grant scosse il capo.

«Tu non puoi venire con me. Devo andare molto lontano. Ho un lavoro da compiere.»

Si mosse a fatica, appoggiando le mani al suolo, sollevandosi carponi e cercando sul terreno erboso, a tentoni. Quando le sue dita incontrarono un oggetto di freddo metallo, Grant lo raccolse e se lo infilò nella fondina.

«L’ho lasciato andare,» disse, «E non posso lasciarlo andare. Gli ho dato qualcosa che appartiene all’umanità intera, e non gli posso permettere di farne uso.»

«Posso seguire la pista,» disse Nathaniel. «Sono bravo a seguire le piste. Sono capace di trovare uno scoiattolo a qualsiasi distanza, e come posso farlo con uno scoiattolo, posso farlo con chiunque.»

«Tu hai delle cose più importanti da fare che seguire una pista,» disse Grant al cane. «Vedi, oggi io ho scoperto qualcosa. Ho avuto una visione fuggevole di una certa strada… una strada che l’umanità intera potrà seguire. Non oggi né domani, e forse neppure tra mille a