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II

IL FORMICAIO

La nebbia calava dal cielo plumbeo, come fumo danzante tra i rami scheletrici degli alberi nudi. I vapori umidi addolcivano i contorni delle siepi e degli arbusti e degli edifici, e coprivano di un velo sfumato le distanze. La nebbia si posava scintillando sull’epidermide metallica dei robot silenziosi, e avvolgeva di fievoli aloni d’argento le spalle dei tre esseri umani che ascoltavano la voce salmodiante dell’uomo vestito di nero, che leggeva da un libro aperto, poggiato sulle mani schiuse a coppa.

«Poiché Io sono la Resurrezione e la Vita…»

La figura scolpita nella pietra, addolcita dal nuovo e antico manto di muschio che la copriva, che sorgeva sopra la porta della cripta, pareva tendere con ogni sua forza verso l’alto, con ogni cristallo del suo corpo teso verso qualcosa che nessun altro poteva vedere, qualcosa che dava vita, nella pietra, a un desiderio ansioso e insopprimibile. Tesa e ansiosa com’era stata dal giorno in cui degli uomini di un’epoca ormai lontana l’avevano fatta nascere dal granito, scolpendola e modellandola perché adornasse la tomba di famiglia con un simbolismo che aveva compiaciuto il primo John J. Webster negli ultimi a

«E chi crede e vive in Me…»

Jerome A. Webster sentì le dita di suo figlio stringergli il braccio, udì il singhiozzo soffocato di sua madre, vide le file di robot allineate rigidamente in piedi, a capo chino in segno di rispetto per il padrone che essi avevano servito. Il padrone che adesso stava tornando a casa… l’ultima casa di tutti.

Vagamente, confusamente, Jerome A. Webster si domandò se essi capissero… se essi capissero la vita e la morte… se essi capissero cosa significava il corpo di Nelson F. Webster immobile là, nella bara, e la presenza dell’uomo dalla veste nera, con il libro in mano, che intonava parole sopra quel corpo.

Nelson F. Webster, quarto dei Webster che avevano vissuto su quella terra, era vissuto e morto nella tenuta, senza quasi muoversi, e adesso se ne stava andando verso l’eterno riposo in quel luogo che il primo Webster aveva preparato per gli altri Webster… per quella lunga linea di discendenti, nebulosi e impalpabili nel fiume del tempo, che sarebbero vissuti là, e che avrebbero amato le cose e i modi e la vita che il primo John J. Webster aveva stabilito.

Jerome A. Webster sentì un ri

Orgoglio… l’orgoglio della terra e della vita, e l’umiltà e la grandezza che una vita serena genera nell’animo umano. La soddisfazione del tempo da trascorrere senza assilli, e la sicurezza dello scopo. L’indipendenza data dalla sicurezza di ciò che non passa, il calore dato dall’ambiente familiare e amato, la libertà, la libertà vera degli ampi spazi, dei vasti acri di terra viva e fertile.

Thomas Webster gli stava tirando gentilmente la manica.

«Papà,» stava mormorando. «Papà.»

Il servizio funebre era finito. L’uomo vestito di nero aveva chiuso il libro. Sei robot si fecero avanti all’unisono, sollevarono da terra la bara.

Lentamente, i tre seguirono la bara nella cripta, si fermarono e rimasero immobili mentre i robot la facevano entrare nel loculo, e poi chiudevano la piccola porta e vi attaccavano sopra la targa sulla quale era scritto:

Era tutto qui. Solo il nome e le date. E questo, pensò d’un tratto Jerome A. Webster, questo era sufficiente. Perché là, su quella targa, non v’era bisogno d’altro, di niente altro. Questo era tutto ciò che avevano gli altri. Gli altri, i nomi che narravano la storia della famiglia… a cominciare da William Stevens, 1920-1999. Pa’ Stevens, lo avevano chiamato, ricordò Webster. Padre della moglie di quel primo John J. Webster, anche lui un nome e due date nella cripta… 1951-2020. E accanto a lui suo figlio, Charles F. Webster, 1980-2060. E suo figlio, John J. II, 2004-2086. Webster ricordava John J. II… un no

Lo sguardo di Webster si posò su un’altra targa. Mary Webster, la madre del bambino che gli stava accanto. No, non doveva pensare così. Non era più un bambino. Dimenticava sempre che Thomas, adesso, aveva vent’a



Tutti qui, insieme, pensò Webster. I Webster, con le loro mogli e i loro figli. Insieme nella morte, com’erano stati insieme nella vita, insieme in quella cripta, addormentati nell’orgoglio e nella sicurezza del bronzo e del marmo, con i pini visibili e mormoranti, fuori, e la figura simbolica ritta sopra la porta che il tempo aveva colorito di una patina verdognola.

I robot aspettavano, in piedi, silenziosi, ora che avevano eseguito il loro compito.

Sua madre lo guardò.

«Adesso sei tu il capo della famiglia, figlio mio,» gli disse.

Le tese le braccia e l’attirò al suo fianco, e la strinse. Capo della famiglia… di quello ch’era rimasto della famiglia, piuttosto. Erano soltanto tre, ora. E suo figlio tra poco sarebbe partito, sarebbe andato su Marte. Ma sarebbe ritornato. Tornato con una moglie, forse, e la famiglia sarebbe andata avanti. No, la famiglia non sarebbe rimasta così, ridotta a tre sole persone. Tanti locali della grande casa non sarebbero rimasti chiusi e scuri per sempre, com’erano chiusi e oscuri ora. C’era stato un tempo in cui la grande casa aveva pulsato della vita e dei rumori e della felicità di dodici membri della famiglia, che avevano vissuto tutti nei loro appartamenti separati, ma sotto il medesimo tetto. Quel tempo sarebbe ritornato. Ne era certo. Lo sapeva.

I tre voltarono le spalle alle tombe, lasciarono la cripta, percorsero il vialetto che portava alla casa, la casa che torreggiava come un immenso fantasma grigio nella nebbia.

Il fuoco scoppiettava nel caminetto, e il libro era posato sulla sua scrivania. Jerome A. Webster lo prese tra le mani, e rilesse ancora una volta il titolo:

«Fisiologia Marziana, Con Particolare Riferimento al Cervello», di Jerome A. Webster.

Jerome A. Webster, Dottore in Medicina. Il titolo accademico era riportato in basso, dopo il suo nome.

Voluminoso e autorevole… il lavoro di una vita intera. Si ergeva come un gigante, praticamente unico nel suo campo. Basato sui dati raccolti durante quei cinque a

Si udì battere leggermente alla porta.

«Avanti,» disse.

La porta si aprì, ed entrò un robot.

«Il suo whisky, signore.»

«Grazie, Jenkins,» disse Webster.

«Il pastore, signore,» disse Jenkins, «Se ne è andato ora.»