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— No.
— Ma la maestra tessitrice potrebbe dirlo a Thar. E fra poco sarà l’ora dei Nove Canti.
— Io rimango qui. E rimani anche tu.
— Tu non sarai punita, ma io sì — osservò Penthe, in quel suo tono mite. Arha non replicò. Penthe sospirò, e rimase. Il sole scendeva tra la foschia, alta sopra le pianure. Lontano, lontano, sulla lunga pendenza graduale della terra, tinti
I Nove Canti erano quasi terminati, quando le due fanciulle rientrarono. Mebbeth le aveva viste sedute sul «muro degli uomini» e l’aveva riferito alla sua superiore, Kossil, la somma sacerdotessa del re-dio.
Kossil aveva il passo pesante e il volto pesante. Impassibile nella faccia e nella voce, parlò alle due ragazzine e disse loro di seguirla. Le condusse lungo i corridoi di pietra della Casa Grande, fuori dalla porta, su per il pendio fino al tempio di Atwah e Wuluah. Là parlò con la somma sacerdotessa di quel tempio, Thar, alta e asciutta e scarna come la tibia di un cervo.
Kossil disse a Penthe: — Togliti la veste.
Frustò la ragazzina con un fascio di ca
Arha era rimasta accanto a Thar, ad assistere alla fustigazione. Ora guardò Kossil che puliva le ca
Thar le disse: — È disdicevole che tu ti faccia vedere ad arrampicarti sui muri e a correre con le altre ragazzine. Tu sei Arha.
Lei restò chiusa in un cupo silenzio.
— È meglio che tu faccia soltanto ciò che devi fare. Tu sei Arha.
Per un istante la bambina levò gli occhi verso il volto di Thar e poi verso quello di Kossil, e nel suo sguardo c’era una terribile profondità di rabbia o di odio. Ma la sacerdotessa scarna non si mostrò per nulla sgomenta: si tese un poco in avanti e confermò, quasi bisbigliando: — Tu sei Arha. Non è rimasto nulla. Tutto è stato divorato.
— Tutto è stato divorato — ripeté Arha, come aveva ripetuto ogni giorno, per tutti i giorni della sua vita, fin da quando aveva sei a
Thar piegò leggermente la testa; e anche Kossil fece altrettanto, mentre riponeva la frusta. Arha non si inchinò ma si voltò docile e uscì.
Dopo la cena di patate e di cipolle primaverili, consumata in silenzio nel refettorio stretto e buio, dopo il canto degli i
Il vento della notte era dolce. Le stelle della primavera brillavano fitte, come distese di margheritine nei prati a primavera, come lo scintillio della luce sul mare d’aprile. Ma Arha non ricordava né i prati né il mare. Non alzò lo sguardo.
— Ehilà, piccola!
— Manan — disse lei, con indifferenza.
La grossa ombra si avvicinò scalpicciando, e la luce delle stelle brillò sulla testa calva.
— Ti ha
— Non possono punirmi.
— No… È così…
— Non possono punirmi. Non osano.
Manan stava lì, con le grosse mani penzolanti, massiccio, indistinto. Aveva l’odore delle cipolle selvatiche, e il sentore di sudore e di salvia delle vecchie vesti nere che erano strappate all’orlo e troppo corte per lui.
— Non possono toccarmi. Io sono Arha — disse lei con voce stridula e rabbiosa, e scoppiò in pianto.
Le grandi mani pazienti si alzarono, l’attirarono, la strinsero dolcemente, le accarezzarono le trecce. — Su, su. Piccolo favo di miele, piccola mia… — Lei udiva il rauco mormorio nella profonda cavità del petto di Manan, e gli stava aggrappata. Le lacrime finirono presto di scorrere, ma Arha restò stretta a lui come se non riuscisse a reggersi in piedi.
— Povera piccola — disse Manan, e la sollevò e la portò fin sulla soglia della casa dove dormiva sola. La posò.
— Tutto bene adesso, piccola?
Lei a
I PRIGIONIERI
I passi di Kossil risuonarono lungo il corridoio della Casa Piccola, lenti e decisi. L’alta figura pesante riempì il vano della porta: parve rimpicciolire quando la sacerdotessa s’inchinò piegando un ginocchio sul pavimento, crebbe di nuovo quando si rialzò in tutta la sua statura.
— Padrona.
— Che c’è, Kossil?
— Finora mi è stato permesso di occuparmi di certe cose riguardanti il dominio dei Senza Nome. Se così ti piace, è ormai tempo che tu apprenda, e veda, e ti addossi queste cose, che non hai ancora rammentato nella vita attuale.
La ragazza era seduta nella sua stanza priva di finestre, come se meditasse; ma in realtà non faceva nulla, e quasi non pensava. Trascorse qualche momento prima che l’espressione cupa e altezzosa del suo volto cambiasse. Tuttavia cambiò, sebbene lei cercasse di dissimularlo. Disse, con una certa timidezza: — Il labirinto?
— Non entreremo nel labirinto. Ma sarà necessario attraversare la cripta.
Nella voce di Kossil c’era un tono che poteva essere paura, e poteva essere una finzione di paura, voluta per spaventare Arha. La ragazza si alzò, senza fretta, e disse in tono indifferente: — Sta bene. — Ma in cuor suo, mentre seguiva la pesante figura della sacerdotessa del re-dio, esultava: Finalmente! Finalmente! Vedrò finalmente il mio dominio!
Aveva quindici a
Qualche volta la noia era così intensa che lei la sentiva come un terrore: l’afferrava alla gola. Non molto tempo prima, era stata costretta a parlarne. Doveva parlare, si era detta, o sarebbe impazzita. E aveva parlato a Manan. L’orgoglio le impediva di confidarsi con le altre ragazze, e la prudenza la tratteneva dal confessarsi con le do
— Molto tempo fa — le disse, — lo sai, piccola, prima che le nostre quattro terre si unissero in un unico impero, prima che un re-dio regnasse su tutti noi, c’erano moltissimi reucci e principi e capi. Erano sempre in dissidio tra loro. E allora venivano qui per risolvere i loro contrasti. Ecco cosa capitava: giungevano dalla nostra terra, Atuan, e da Karego-At, e da Atnini, e perfino da Hur-at-Hur, tutti i capi e i principi, con i loro servitori e i loro eserciti; e domandavano cosa dovevano fare. E allora la sacerdotessa si recava davanti al trono vuoto, e riferiva loro il giudizio dei Senza Nome. Ebbene, questo avveniva tanto tempo fa. Dopo molti a