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Verso il solstizio d’inverno, quando le prime nevicate pesanti cominciarono a cadere sulle vette di Gont, giunsero a Re Albi, la patria di Ogion. È una città sul ciglio delle alte rocce dell’Ultramonte, e il suo nome significa Nido del Falco. Da lassù si possono vedere la rada profonda e le torri del porto di Gont, e le navi che entrano ed escono dalla porta della baia, tra gli scogli Corazzati, e lontano, a occidente, oltre il mare, si possono scorgere le azzurre colline di Oranéa, le più orientali delle isole Interne.

La casa del mago, sebbene grande e costruita di legname solido, con camino e comignolo al posto del focolare a fossa, somigliava alle capa

E ancora non si producevano meraviglie né incantesimi. Per tutto l’inverno ci furono soltanto le pesanti pagine del Libro delle Rune, e la pioggia e la neve; e Ogion rientrava dai suoi vagabondaggi nelle foreste gelate, o dopo aver accudito alle capre, e batteva i piedi per far cadere la neve dagli stivali e si sedeva in silenzio accanto al fuoco. E i lunghi silenzi del mago riempivano la stanza e la mente di Ged, fino a che, qualche volta, gli sembrava di aver dimenticato quale suono avessero le parole; e quando finalmente Ogion parlava era come se in quel momento, per la prima volta, avesse inventato il linguaggio. Eppure le parole che pronunciava non erano grandiose, ma riguardavano cose semplici: pane e acqua e il clima e il so

Quando ve

Ged abbassò gli occhi sui bianchi fiori che le sfioravano la go

—  Sì — disse Ged.

Lui sapeva dove c’era un nido di falco, sulle pareti a strapiombo sopra il prato, e chiamò l’uccello per nome. Quello ve

—  Come chiami il tipo d’incantesimo che ha fatto accorrere il falco?

—  Incantesimo di chiamata.

—  Puoi chiamare a te anche gli spiriti dei morti?

Ged pensò che la ragazza gli avesse rivolto quella domanda per farsi beffe di lui, perché il falco non aveva ubbidito compiutamente alla sua chiamata. E non voleva permetterle di deriderlo. — Potrei se volessi — disse con voce calma.

—  Non è molto difficile, molto pericoloso, evocare uno spirito?





—  Difficile, sì. Pericoloso? — Lui scrollò le spalle.

Questa volta era quasi sicuro di scorgere l’ammirazione negli occhi della ragazzetta.

—  Sai fare un talismano d’amore?

—  Non è una gran cosa.

—  È vero — disse lei. — Ogni strega di villaggio sa farlo. Puoi compiere incantesimi di metamorfosi? Puoi cambiare la tua forma, come dicono che sappiano fare i maghi?

Ancora una volta Ged non fu del tutto sicuro che lei non avesse fatto quella domanda ironicamente; perciò rispose, ancora una volta: — Potrei se volessi.

La ragazza cominciò a supplicarlo di trasformarsi in qualcosa, ciò che preferiva: un falco, un toro, un fuoco, un albero. Lui ricusò con concise parole segrete come quelle usate dal suo maestro, ma non seppe come rifiutare bruscamente quando lei cominciò a fare moine; e per giunta non sapeva se lui stesso credesse alle proprie vanterie oppure no. La lasciò dicendo che il mago suo maestro l’aspettava a casa, e il giorno dopo non tornò sul prato. Ma vi tornò il giorno successivo, dicendosi che doveva cogliere altri fiori poiché erano sbocciati. Lei c’era già, e insieme camminarono scalzi sull’erba umida strappando i pesanti fiori candidi. Brillava il sole primaverile, e lei parlava allegramente come una piccola capraia del suo stesso villaggio. Gli fece altre domande sulla magia, e ascoltò a occhi spalancati tutto ciò che le disse, così che lui ricominciò a vantarsi. Allora lei gli chiese perché non compisse un incantesimo di metamorfosi; e quando lui ricusò, lo guardò fisso scostandosi dal volto i neri capelli e disse: — Hai paura di farlo?

—  No, non ho paura.

Lei sorrise un po’ sdegnosamente e commentò: — Forse sei troppo giovane.

Questo, Ged non poteva sopportarlo. Non disse molte cose, ma decise che le avrebbe fatto vedere. Le disse di ritornare sul prato l’indomani, se voleva; e così si congedò, e tornò a casa mentre il maestro era ancora assente. Si diresse subito allo scaffale e prese i due Libri delle Tradizioni, che Ogion non aveva mai aperto in sua presenza.

Cercò un incantesimo di autometamorfosi; ma poiché era ancora lento nella lettura delle rune e capiva poco di quel che leggeva, non riuscì a trovarlo. I libri erano antichissimi; Ogion li aveva avuti dal suo maestro Heleth il Lungimirante, e Heleth dal proprio maestro, il mago di Perregal, e così via fino a risalire ai tempi del mito. La scrittura era minuta e strana, fittissima e interlineata da molte mani diverse, e ormai tutte quelle mani erano polvere. Eppure qua e là Ged comprendeva qualcosa di ciò che tentava di leggere, e, assillato dalle domande e dall’ironia della ragazzetta, si fermò a una pagina contenente un incantesimo per evocare gli spiriti dei morti.

Mentre lo leggeva, decifrando a uno a uno i simboli e le rune, fu preso da un senso di orrore. I suoi occhi erano fissi, e non riuscì a distoglierli fino a quando ebbe terminato di leggere tutto l’incantesimo.