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Le montagne i

Ged vide una costa bassa sferzata dal vento piovoso, una città grigia accovacciata dietro i lunghi frangiflutti che formavano il porto, e dietro la città colline spoglie sotto un cielo gravido di neve. Si erano spinti lontano dal sole del mare Interno.

I facchini della corporazione marittima di Neshum ve

—  Molto lontano? — chiese Ged dopo che ebbero percorso alcune miglia senza vedere villaggi o fattorie da nessuna parte: pensava che non avevano viveri con loro. Skiorh girò la testa un momento, alzando il cappuccio, e disse: — Non lontano.

Era un volto brutto, pallido, volgare e crudele; ma Ged non temeva nessun uomo, sebbene potesse temere il luogo dove quell’uomo l’avrebbe guidato. A

—  È là che siamo diretti? — chiese, tendendo il braccio.

Skiorh non rispose ma continuò a camminare, avviluppato nel rozzo mantello col cappuccio a punta foderato di pelliccia. Ged procedeva al suo fianco, a grandi passi. Si erano spinti molto lontano, e lui era inso

L’otak si mosse, nella tasca, e una vaga paura si destò e si agitò nella mente di Ged. Si fece forza e parlò. — Sta





Dopo un indugio, l’altro rispose senza voltarsi: — Non lontano.

E la sua voce non sembrava la voce di un uomo ma di una bestia, rauca e senza labbra, che si sforza di parlare.

Ged si fermò. Tutt’intorno a lui stavano le colline deserte nella tarda luce crepuscolare. Qualche fiocco di neve cadeva turbinando. — Skiorh! — disse, e l’altro si fermò e si voltò. Sotto il cappuccio a punta non c’era volto.

Prima che Ged potesse pronunciare un incantesimo o evocare il potere, il gebbeth parlò, dicendo con quella voce rauca: — Ged!

E allora il giovane non poté operare nessuna trasformazione: restò prigioniero nel suo vero essere, e dovette affrontare il gebbeth così indifeso. Non poteva invocare aiuto in quella terra sconosciuta, dove non conosceva nulla e nessuno che potesse rispondere al suo appello. Restò solo, e tra lui e il suo nemico c’era soltanto il bastone di legno di tasso stretto nella sua destra.

La cosa che aveva divorato la mente di Skiorh e si era impossessata della sua carne fece compiere un passo avanti al corpo, verso Ged, e le braccia si tesero brancolando per afferrarlo. Invaso dalla furia e dall’orrore, Ged avventò il bastone, in un arco sibilante, sul cappuccio che nascondeva la faccia d’ombra. Il cappuccio e il mantello si afflosciarono fin quasi al suolo, sotto quel colpo violento, come se dentro non ci fosse null’altro che vento; e poi, fremendo e svolazzando, si risollevarono. Il corpo di un gebbeth è stato svuotato della sua vera sostanza, ed è piuttosto un involucro o un vapore in forma d’uomo, una carne irreale che riveste la realtà dell’ombra. Sussultando e gonfiandosi come se fosse mossa dal vento, l’ombra spalancò le braccia e si scagliò su Ged, cercando di abbrancarlo come aveva fatto sulla collina di Roke: e se ci fosse riuscita avrebbe abbandonato l’involucro di Skiorh e sarebbe entrata in Ged, divorandolo dall’interno e impadronendosi di lui com’era suo desiderio. Ged avventò ancora il pesante bastone fumante, schiacciandola; ma quella ritornò, e lui colpì di nuovo, e poi lasciò cadere il bastone che sfolgorava e fumigava scottandogli la mano. Indietreggiò, e improvvisamente girò su se stesso e fuggì.

Corse, e il gebbeth lo inseguì a un passo di distanza, incapace di raggiungerlo ma senza lasciarsi mai distaccare. Ged non si voltò mai indietro. Corse, corse, in quell’immensa terra crepuscolare dove non c’erano nascondigli. Una volta il gebbeth, con quella rauca voce sibilante, lo chiamò ancora per nome: ma sebbene gli avesse sottratto in quel modo il suo potere di mago, non aveva dominio sull’energia del suo corpo e non poteva costringerlo a fermarsi. Ged corse.

La notte si addensò intorno al cacciatore e alla preda, e la neve volò finissima sul sentiero che Ged non riusciva più a scorgere. Il sangue gli martellava negli occhi, il respiro gli bruciava la gola: non correva più, avanzava incespicando e vacillando; eppure l’instancabile inseguitore sembrava incapace di raggiungerlo, e gli stava sempre dietro. Aveva incominciato a sussurrare e a bisbigliare, chiamandolo, e Ged sapeva che per tutta la sua vita quel sussurro era stato presente nei suoi orecchi, appena al di sotto della soglia dell’udibilità; ma adesso poteva udirlo, e doveva cedere, doveva arrendersi, doveva fermarsi. Tuttavia continuò a sforzarsi, salendo faticosamente un lungo pendio buio. Gli parve di vedere una luce davanti a sé, e credette di udire una voce, in alto, che chiamava: — Vieni! Vieni!