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Una porta ad un angolo dell’edificio si aprì. Ne uscì un uomo dalla testa grossa, dalla mascella pronunciata, e con una spalla più bassa dell’altra; si stava soffiando il naso in un fazzoletto rosso. Era vecchio, e il suo viso era una maschera ossequiosa.

Glisson disse, «È il segnale. Significa che qui siamo al sicuro… per ora.» Scese dal veicolo, si avvicinò al vecchio, tossì.

«In questi giorni circolano molti mala

«Lei non è l’unico a soffrirne,» rispose Glisson.

Il vecchio si raddrizzò, l’espressione servile svanì. «Suppongo che abbiate bisogno di un nascondiglio,» disse. «Non so se questo è un posto sicuro. E non so neppure se dovrei accettare di nascondervi.»

«Qui gli ordini li do io,» ribatté Glisson. «E tu ubbidirai.»

Il vecchio studiò Glisson per un istante, poi il suo viso fu distorto da un’espressione di rabbia. «Sei un da

«Tieni a freno la lingua,» lo minacciò Glisson con tono piatto. «Abbiamo bisogno di cibo, e di un posto sicuro in cui trascorrere la giornata. Avrò bisogno del tuo aiuto per nascondere il nostro veicolo. Sicuramente sei pratico della zona. E ci fornirai un altro mezzo di trasporto.»

«Meglio fare a pezzi l’hovercraft, e poi seppellirlo,» disse il vecchio con voce acida. «Si è scatenato un vespaio. Ma immagino che questo voi lo sappiate.»

«È così,» gli confermò Glisson. Si girò, fece un ce

Gli altri lo raggiunsero. Boumour e Igan sorreggevano Svengaard: sebbene gli fossero state liberate le gambe dai legami, l’uomo si reggeva in piedi a stento. Lizbeth camminava con una cautela che dimostrava come non fosse certa che l’incisione fosse guarita, anche dopo aver preso gli enzimi che avrebbero dovuto accelerarne la cicatrizzazione.

«Staremo qui durante il giorno,» a

«Ci sono notizie da Seatac?» chiese Igan.

Glisson guardò il vecchio, ordinò, «Rispondi.»

L’uomo fece spallucce. «Un Corriere è passato di qui un paio di ore fa. Ha detto che non ci sono sopravvissuti.»

«Sa qualcosa su un certo Dottor Potter?» gracchiò Svengaard.

Glisson si voltò di scatto e lo fissò.

«Non so,» rispose il vecchio. «Che strada ha preso?»

Igan si schiarì la gola, rivolse un’occhiata rapidissima a Glisson, poi fissò il vecchio. «Potter? Penso che fosse nel gruppo che tentava di fuggire seguendo i condotti dell’energia.»

Il vecchio sbirciò la torre di ventilazione, i cui contorni divenivano ogni istante sempre più distinti, mentre l’alba spuntava sulle montagne. «Nessuno è uscito dai condotti,» rispose. «Per prima cosa, ha

Glisson studiò Svengaard, gli chiese, «Perché è così interessato a Potter?»

L’altro rimase in silenzio.

«Mi risponda!» ordinò Glisson.

Svengaard tentò di deglutire. Gli doleva la gola. Si sentiva con le spalle al muro. Le parole di Glisson lo avevano fatto infuriare. Senza alcun preavviso, Svengaard si catapultò in avanti, trascinandosi dietro Igan e Boumour, e sferrò un calcio contro Glisson.





Il Cyborg lo schivò con un movimento rapidissimo, afferrò il piede del prigioniero, strappò Svengaard dalla stretta dei due bioingegneri, ruotò su se stesso, e lo scagliò lontano. Svengaard cadde sulla schiena, strusciò dolorosamente contro il terreno, si fermò. Prima che potesse fare una sola mossa, Glisson si piantò su di lui. Svengaard rimase a terra, singhiozzando.

«Perché è così interessato a Potter?» gli chiese ancora una volta Glisson.

«Vada via, via, via!» singhiozzò Svengaard.

Glisson si raddrizzò, cercò con lo sguardo Igan e Boumour. «Avete qualche spiegazione per il suo comportamento?»

Igan si strinse nelle spalle. «È una semplice reazione emotiva.»

«Forse causata dallo choc,» disse Boumour.

Harvey segnalò a Lizbeth, «Svengaard era in stato di choc, ma il suo comportamento indica che ne sta uscendo. Quei due sono dei dottori! Non riescono neppure a capire questo?»

«Glisson l’ha capito,» gli rispose la moglie. «Li sta semplicemente mettendo alla prova.»

Glisson si voltò e squadrò Harvey. La comprensione che percepì negli occhi del Cyborg provocò nell’uomo una fitta di paura.

«Sii molto prudente,» gli segnalò Lizbeth. «Sospetta di noi.»

«Portate dentro Svengaard,» ordinò Glisson.

Svengaard sollevò lo sguardo verso l’autista. Glisson, lo chiamavano i Durant. Ma il vecchio aveva affermato che era un Cyborg. Era possibile? Quei semi-uomini erano resuscitati per sfidare ancora una volta gli Optimati? Era quella la ragione della sterilizzazione di Seatac?

Boumour e Igan lo aiutarono a ralzarsi, controllarono i legacci che gli bloccavano le mani. «Cerchi di non commettere altre sciocchezze,» lo avvertì Boumour.

Anche loro sono come Glisson? si chiese Svengaard. Anche loro sono metà uomo e metà macchina? E i Durant?

Svengaard sapeva di essere sul punto di scoppiare a piangere. Isteria, si rese conto. Provocata dallo choc. Poi, assalito dal senso di colpa, iniziò a riflettere sulla sua reazione. Perché la morte di Potter mi ha colpito più di quella di un’intera Megalopoli, di quella di mia moglie e dei miei amici? Cosa rappresentava Potter per me?

Boumour e Igan, un po’ trascinandolo di peso, un po’ sorreggendolo, lo fecero entrare nell’edificio. Percorsero uno stretto corridoio, entrarono in locale vasto e poco illuminato, il cui soffitto era altissimo e fatto di travi nude. Lo adagiarono su di un polveroso divano di plastica, i cui meccanismi idraulici si adattarono con riluttanza al contorno del suo corpo. La poca luce proveniva da due fotoglobi appesi alle travi del soffitto e illuminava i pochi mobili sparsi nel locale, e mucchi di strani oggetti tutti coperti da una specie di telo lucido e scintilante. Si accorse che sulla sua sinistra c’era un tavolo di legno. Legno! Più avanti giacevano una branda, e un antico secrétaire con un cassetto mancante, sedie di vari stili. Un caminetto macchiato di fuliggine, da cui spuntava una sbarra di ferro simile a una forca, occupava metà della parete di fronte a lui. L’intera stanza puzzava di umidità e putridume. Il pavimento scricchiolava sotto i passi dei presenti. Era anch’esso in legno!

Svengaard alzò lo sguardo verso le finestrelle da cui filtrava la luce grigia dell’alba, ogni istante sempre più brillante. Ma Svengaard sapeva che la luce del sole, anche al suo massimo, non sarebbe riuscita a scacciare l’oscurità da quella stanza. L’atmosfera era tetra; gli faceva pensare a i

Che cosa mi sta succedendo? si chiese.

Udì il suono delle turbine dell’hovercraft che venivano attivate. Sentì che il veicolo si sollevava dal suolo, iniziava a muoversi… si allontanava. Harvey e Lizbeth entrarono nella stanza.

La do

«La prego, si fidi di noi,» disse a Svengaard. «Sono stati loro ad aver ucciso sua moglie e i suoi amici, non noi.»

Svengaard si ritrasse dal tocco.

Come si permette di compatirmi? pensò. Ma la do

Un silenzio oppressivo scese sulla stanza.

Harvey si avvicinò e guidò la moglie verso una sedia.