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Fuori, le nuvole sono più spesse e la giornata sembra più scura e più fredda. Forse pioverà. Il vento è alle mie spalle e mi spinge. Vado alla mia macchina e giro dalla parte del passeggero. Metto a terra la scatola e con un piede tengo fermo l'asciugamano che il vento vorrebbe portar via. Apro lo sportello e metto sul sedile la scatola. Mi chiedo se devo tornare dentro, ma sono sicuro di aver portato via tutto. Non desidero mettere da parte il materiale relativo al mio ultimo lavoro perché sia riposto in archivio. Non voglio più vedere quel lavoro.

Però vorrei vedere ancora Dale, Bailey, Chuy, Eric e Linda. Una prima goccia di pioggia gelida mi cade sulla guancia, poi un'altra. Scuoto la testa e torno all'edificio. Apro la porta. Tutti gli altri sono nell'atrio, alcuni portano scatole colme e altri sta

— Volete andare a mangiare? — chiede Dale.

— Sono soltanto le dieci e dodici — dice Chuy. — Non è óra di pranzo. Io sto ancora lavorando. — Lui non ha una scatola, Linda non ha una scatola. Sembra strano che quelli di noi che non se ne va

— Potremmo andare alla pizzeria più tardi — propone Dale. Ci guardiamo.

— Potremmo andare da qualche altra parte più tardi — dice Chuy.

— No, alla pizzeria — dice Linda.

Non diciamo altro. Io penso che non andrò.

Mi sembra molto strano guidare in un'ora mattutina in un giorno feriale. Ritorno a casa e parcheggio in uno spazio molto vicino all'entrata. Porto la scatola nel mio appartamento. Il palazzo è molto silenzioso. Metto la scatola nell'armadio a muro, dietro le scarpe.

L'appartamento è ordinato e tranquillo. Ho lavato le stoviglie della colazione prima di uscire, come faccio sempre. Mi tolgo di tasca il contenitore di plastica con gli spiccioli e lo metto sopra i cestini dei pa

Ci ha

Ho uno spazzolino da denti, un dentifricio e una spazzola nuovi che tengo per le emergenze, ma non ne ho mai avute. Questa non è un'emergenza, comunque se li impacchetto adesso dopo non dovrò pensarci più. Metto lo spazzolino da denti, il dentifricio, il pettine, la spazzola, il rasoio e il sapone da barba nel borsello apposito e ripongo tutto in valigia. Consulto di nuovo la lista che ci ha

Il signor Aldrin aveva detto di contattare la banca, il gerente del palazzo e gli amici che eventualmente potrebbero preoccuparsi. Ci ha dato una dichiarazione da consegnare alla banca e al gerente. Lì si spiega che saremo assenti per un incarico temporaneo affidatoci dalla compagnia, che i nostri stipendi continuera

Scendo le scale. La porta dell'appartamento della gerente è chiusa, ma all'interno sento il ronzio di un aspirapolvere. Suono il campanello e il ronzio s'interrompe. Non sento rumore di passi, ma la porta si apre.

— Signor Arrendale. — La signora Tomasz, la gerente, pare sorpresa. Non si sarebbe aspettata di vedermi a metà mattina in un giorno feriale. — Non sta bene? Ha bisogno di qualcosa?

— Devo assentarmi per un incarico affidatomi dalla compagnia per cui lavoro — dico. Avevo provato questo discorso per esser certo di pronunciarlo scorrevolmente. Le porgo la dichiarazione. — Ho incaricato la banca di pagare l'affitto. Lei può contattarla se non dovesse farlo.

— Oh! — La do

— Non lo so con precisione — rispondo — ma tornerò. — Non so nemmeno questo, però non voglio che lei si preoccupi.

— Non se ne va perché quell'uomo le ha tagliato le gomme nel parcheggio e poi l'ha assalita?



— No — dico. Non so perché lei pensi questo. — È un incarico speciale.

— Io rimasi tanto inquieta, ma tanto — dice la signora Tomasz. — Volevo salire per dirle… per dirle quanto mi dispiaceva, ma lei, sa… lei è sempre molto riservato.

— Sto bene — dico.

— Lei ci mancherà — dice. Non capisco come questo possa essere vero, dato che per la maggior parte del tempo nemmeno mi vede.

Quando torno nel mio appartamento vedo che è già arrivata la risposta automatica della banca. Dice che il messaggio è stato ricevuto, che il manager mi risponderà quanto prima e grazie per averci contattati.

Decido di scendere e andare a piedi al piccolo forno per il pranzo: avevo visto il cartello che offriva panini su ordinazione il giorno che avevo comprato là il pane. Il negozio non è affollato, ma non mi piace la musica che la radio trasmette: è troppo forte e ritmata. Ordino un panino al prosciutto. Fa un freddo eccessivo per mangiarlo fuori, così ritorno a casa e lo mangio nella mia cucina.

Potrei chiamare Marjory. Potrei portarla a cena questa sera o domani sera o sabato sera, se lei accettasse. Conosco i suoi numeri di telefono, sia sul lavoro che a casa. Appendo intanto le girandole e le spirali nel mio appartamento dove cominciano a girare per la corrente d'aria che filtra dalle vecchie finestre. I lampi di luce colorata che si riflettono sulle pareti sono riposanti e mi aiutano a pensare.

Se la chiamo e lei viene a cena con me, perché lo farebbe? Forse perché le piaccio, forse perché si preoccupa per me e forse perché le dispiace per me. Ma io non so con certezza se lo farebbe perché le piaccio. Per avere lo stesso sentimento in direzioni opposte, io dovrei piacerle come lei piace a me. Altrimenti non si avrebbe uno schema simmetrico.

Di che cosa potremmo parlare? Delle funzioni cerebrali lei non sa più di quanto ne sappia io adesso. Non è il suo campo. Ambedue tiriamo di scherma, ma non credo che potremmo parlare di scherma tutto il tempo. E non credo che lei s'interessi allo spazio; come il signor Aldrin, sembra lei pensi che il lavoro che si fa lì sia uno spreco di denaro.

Se torno… se il trattamento funziona e io divento come gli altri uomini nel cervello come nel corpo… lei mi piacerà come mi piace adesso?

O Marjory è un altro caso della piscina con l'angelo… e io l'amo perché credo sia l'unica che posso amare?

Mi alzo e metto su la Toccata e Fuga in Re minore di Bach. La musica costruisce un complicato panorama di valli e montagne e grandi golfi di aria fresca e ventosa. Amerò ancora Bach quando tornerò, se tornerò?

Per un istante il terrore mi ghermisce in tutto l'essere e precipito nel buio, più velocemente di quanto qualsiasi luce possa raggiungermi, ma la musica si alza sotto di me, mi solleva come un'onda oceanica e io non ho più paura.

Venerdì mattina. Vorrei andare al lavoro, ma nel mio ufficio non c'è niente da fare, e non c'è niente da fare nemmeno nel mio appartamento. La conferma della banca è arrivata.

Mi chiedo se devo mettermi in contatto con gli altri, ma decido di no. Non desidero parlare con loro. Non sono abituato ad avere un giorno così, una vacanza non pianificata, e non so cosa fare. Potrei andare a vedere un film o leggere un libro, però sono troppo nervoso per questo. Potrei andare al Centro, ma non mi va neanche questo.

Lavo i piatti della colazione e li ripongo. Di colpo l'appartamento è troppo silenzioso, troppo grande e vuoto. Non so dove andrò, ma devo andare da qualche parte. Metto in tasca il portafogli e le chiavi ed esco. Esco con soli cinque minuti di ritardo rispetto ai giorni lavorativi.

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