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Non pioveva. Quando uscì dall’atrio della East Tower Willamette, il cielo marzolino era chiaro e sereno, al di sopra dei canyon stradali. Si era messo a soffiare il vento dell’est: il vento secco del deserto, che di tanto in tanto spirava a rianimare il clima umido, caldo, melanconico, grigio della Valle del Willamette.

L’aria più chiara riuscì a sollevargli leggermente l’umore. Raddrizzò le spalle e si avviò sul marciapiede, cercando di ignorare lo stordimento, che probabilmente era l’effetto combinato della stanchezza, dell’ansia, di due so

Che il dottore gli avesse ordinato di sognare la fine della pioggia? O gli aveva ordinato di sognare Ke

Entrò nella stazione del metrò di East Broadway insieme con l’infinita moltitudine. Infilò nella macchinetta la moneta da cinque dollari, prese il biglietto e salì sul vagoncino, che presto si immerse nella tenebra al di sotto del fiume.

Il suo capogiro fisico e mentale aumentò.

Passare sotto un fiume: che stranezza, che idea assolutamente balorda.

Attraversarlo su un ponte, passarlo a guado o a nuoto, usare una barca, una zattera, un traghetto, un aereo, risalire il suo corso, farsi trascinare a valle dall’eterna rinascita della corrente: questi, sono modi sensati. Ma l’andare sotto un fiume comporta qualcosa di perverso, nel vero senso etimologico della parola. Nella mente e all’esterno di essa ci sono cammini che, già per il solo fatto di essere così tortuosi, mostrano chiaramente che dobbiamo avere preso da tempo la svolta sbagliata, se ci siamo dentro.

C’erano nove tu



Gli urti e le spinte della gente che scendeva alla Union Station fugarono dalla sua mente questa importante considerazione; dovette dedicare tutta la sua attenzione alla difesa della maniglia. Nella sua condizione di malessere temeva che se l’avesse persa e si fosse dovuto affidare totalmente alla forza di affollamento (a), avrebbe vomitato nella vettura.

Il treno ripartì con uno sferragliamento composto in parti uguali da profondi, laceranti raschi e da cigolii acuti e stridenti.

L’intero sistema ferroviario metropolitano di Portland aveva soltanto quindici a

A partire da quando, volente o nolente, la cosa l’aveva toccato di persona, il fatto che la mente dimenticasse la maggior parte dei sogni l’aveva molto interessato. Il pensiero non cosciente — sia quello infantile, sia quello del sogno — non era disponibile, a quel che sapeva, alla memoria cosciente. Ma lui, Orr, era inconscio, durante l’ipnosi? Niente affatto: era completamente desto, finché non gli veniva ordinato di dormire. Perché allora non poteva ricordare? La cosa lo preoccupava. Si chiedeva che cosa stesse facendo Haber. Il primo sogno di quel pomeriggio, ad esempio; il dottore si era limitato a ordinargli di sognare ancora una volta il cavallo? E lo sterco di cavallo era quindi una sua aggiunta (il che risultava piuttosto imbarazzante)? Oppure, se era stato il dottore a indicare lo sterco, la cosa era ugualmente imbarazzante, ma in modo diverso. Forse Haber era stato fortunato a non trovarsi sul tappeto un’enorme pila di feci equine marroni e fumanti. Anche se, in un certo senso, era ciò che era accaduto effettivamente: la fotografia della montagna.

Orr si raddrizzò bruscamente, come impalato, mentre il treno entrava sferragliando nella stazione di Ander Street. La montagna, ripeté, mentre sessantotto persone urtavano, spingevano, pigiavano per imboccare l’uscita. La montagna. Mi ha ordinato di rimettere nel sogno la montagna. E io ho fatto ricostruire la montagna dal cavallo. Ma allora, se mi ha ordinato di rimettere sulla parete la montagna, Haber sapeva che era li prima del cavallo. Haber sapeva. Haber aveva visto che il primo sogno cambiava la realtà. Haber aveva assistito al cambio. Mi crede. Non sono pazzo!

Orr ve

Orr non era una persona che ragionasse in fretta. In realtà non ragionava affatto. Di solito arrivava alle idee nella maniera più lenta, senza mai azzardarsi a schettinare sul duro, trasparente ghiaccio della logica, senza mai veleggiare sulle correnti ascensionali dell’immaginazione, bensì avanzando a fatica, gravemente, sull’accidentato terreno dell’esistenza. Egli non vedeva le co