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— Non lo sapevo finché non sono entrata — si affrettò a dire Robin. — Ma, naturalmente, adesso è ovvio che è viva. Se non lo fosse, non mi avresti lasciato arrivare fin qui.

— Ammetto la verità di quello che dici. La Maga è viva. — Sulla superficie conica di Tea cominciarono a guizzare scintille rossastre. Robin si sarebbe allarmata, se non avesse già visto le stesse scintille su Crio, quando Cirocco l’aveva sgridato. Tea stava ricordando qualcosa di poco gradevole.

— Come dicevo, la Maga sa che io e i miei amici siamo scesi fino a Teti. I miei amici sono ancora vivi, e lo rimarra

— La Maga verrà a cercarci — continuò. — Quando troverà i miei amici, saprà che sono venuta qui. Tu potrai dire che mi sono persa nelle grotte, ma la Maga non sarà soddisfatta finché non avrà trovato il mio corpo. E un corpo morto per cause naturali, e non bruciato dall’acido!

Tea non disse niente, e Robin si chiese se era davvero possibile che Cirocco scendesse a cercarli. Perché non era ancora venuta? Si era dimenticata di Gaby? Impossibile.

A quanto pareva, Tea doveva essere della stessa idea.

— Va’, allora — le disse. — Vattene in fretta, prima che cambi idea. Porta alla Maga il tuo messaggio, e che per tutta la tua vita ti sia di cattivo auspicio questa sfacciata dissacrazione della mia sala.

Robin pensò che se ci fosse stata un’altra strada, lei non si sarebbe certamente recata laggiù, ma si guardò bene dal dirlo. L’acido stava salendo, e c’era la possibilità che Tea riuscisse a orchestrare un incidente plausibile. Raggiunse di corsa la scala e cominciò a salire gli scalini a tre per volta.

Non rallentò quando, dietro di lei, la sala di Tea scomparve dietro una curva. Non intendeva fermarsi fino alla cima, ma alla fine la stanchezza la fece cadere in ginocchio e dovette riposarsi. Poi si rimise sulle spalle lo zaino e riprese a salire.

L’uscita della scala di Tea era coperta di neve. All’inizio, Robin non capì cosa fosse, e la studiò con cautela. Sapeva dai libri che la neve era soffice e morbida, ma questa non lo era affatto. Era dura e compatta.

Si infilò tutte le maglie e i vestiti che aveva, e si coprì con la coperta. Gli uccelli luminosi erano scomparsi, e intorno a lei tutto era buio. L’ultimo uccello da lei messo in gabbia era quasi morto. Salendo le scale di corsa, non aveva fatto in tempo a catturarne un altro.

Per prima cosa doveva uscire all’esterno, per cercare il mare crepuscolare e individuare la direzione dell’ovest. Cercò di ricordare se il cavo centrale di Tea si trovava a nord o a sud dell’Ofione, e non riuscì a ricordarlo, anche se era importante. Gaby aveva detto che il modo migliore per attraversare Tea era quello di mantenersi sul fiume ghiacciato. Sapeva comunque che il cavo era a poca distanza dal fiume: una volta orientatasi, contava di percorrere un breve tratto a sud, e se avesse visto che il terreno saliva, si sarebbe diretta a nord.

Prima ancora di uscire dalla foresta dei singoli fili costituenti il cavo, cominciò ad avere i brividi. Non si era immaginata che potesse fare così freddo. Era stato un errore abbandonare la giacca imbottita che Chris le aveva detto di portare con sé. Ma nelle grotte quel massiccio indumento la impacciava.





Per fortuna aveva ancora gli stivali, anche se aveva gettato via il rivestimento interno di pelliccia perché le faceva sudare il piede. Come gli altri indumenti, avevano sopportato bene l’uso. Strofinò con la neve le punte, per togliere i resti di acido, e pensò che se non si fosse messa presto in movimento, avrebbe corso il rischio di morire congelata. Pensò di riposarsi prima di partire, ma l’unico posto era la scala, e lei non voleva ritornare laggiù, dove forse Tea poteva raggiungerla.

Ricordava che il territorio attorno al cavo era dominato da una catena di montagne che correvano dagli altopiani settentrionali a quelli meridionali. Ofione seguiva un percorso quasi rettilineo in tutta la regione, e solo nel centro si suddivideva in due rami che poi si ricongiungevano in corrispondenza del cavo centrale. Uno dei due rami era sempre coperto di ghiaccio, ma l’altro, durante il ciclo climatico trente

Dopo il primo chilometro, si alzò un forte vento gelido che le fece lacrimare gli occhi. Si fermò per coprirsi meglio con la coperta, facendo una sorta di cappuccio. Mentre si stava così sistemando, vide qualcosa che si avvicinava a lei. Non riuscì a scorgerlo bene, al buio e in mezzo alla neve, ma era bianco, grosso come un orso, con grandi braccia e molti denti. Si fermò a osservarla, e anche Robin lo osservò, finché l’essere non si avvicinò a lei.

Forse non aveva cattive intenzioni, ma lei non volle correre rischi. Colpito dal primo proiettile, l’animale si osservò con grande sorpresa la macchia rossa che gli si allargava sul pelo. Continuò ad avvicinarsi, e lei gli sparò contro l’intero caricatore: a questo punto l’animale si ripiegò su se stesso e non si mosse più. Robin, con le mani intirizzite, ricaricò l’arma. La creatura era immobile, ma lei non andò a controllare. Fece un largo giro attorno a essa, e riprese il cammino.

Giunta al fiume gelato dovette decidere da che parte recarsi. Era nel centro di Tea, e in entrambe le direzioni avrebbe dovuto percorrere duecento chilometri prima di incontrare la luce del giorno.

A est c’era Meti, che pareva caldo e invitante, ma che, secondo Cirocco, non lo era affatto. Meti era un nemico di Gea, ma meno pericoloso di Teti. A ovest, naturalmente, c’era Teti, il deserto. Chissà come, dai ghiacci di Tea sembrava meno brutto di prima. Poi Robin ripensò al calore delle dune, e ai fantasmi nascosti nella sabbia, e si diresse a est. In realtà non desiderava tornare indietro, ma almeno era rimasta ferma per qualche momento e non aveva pensato al freddo che cominciava a sentire ai piedi.

Presto il freddo cominciò a salirle in tutto il corpo, e sentì il desiderio di riposarsi, ma proseguì con ostinazione, anche se tendeva a entrare in un dormiveglia, a confondere la realtà con il sogno. Per vario tempo le parve di sostenere una lunga conversazione con Gaby, senza ricordare che Gaby era morta. Sparò contro una forma che si muoveva, che forse era un’altra di quelle creature simili a orsi, e forse era soltanto un mucchio di neve. Quando staccò le dita dal calcio della pistola, il metallo era talmente freddo che un brandellino di pelle le rimase attaccato.

La luce lampeggiante, quando la scorse, ore e ore più tardi, a tutta prima le parve una seccatura. Era inspiegabile. Doveva essere un’allucinazione. Ma quando urtò contro una trave verticale di metallo, si fermò, perplessa. C’era una luce rossa, lampeggiante. Scorse una costruzione posata su palafitte metalliche, a dieci metri d’altezza. C’era anche una scala a pioli che permetteva di salire.

Scorse una macchia chiara, accanto alla scala. E una targhetta, posta a circa un metro e mezzo d’altezza. Tolse la neve che la copriva e lesse:

Robin strabuzzò gli occhi e rilesse varie volte la scritta per paura che svanisse. Poi afferrò il primo piolo, ringraziando Gaby del fatto di averlo messo di legno e non di metallo come la sua pistola.

Si sollevò a forza di braccia, controllando dove metteva ogni volta i piedi, perché ormai erano insensibili. Tre scalini per volta. Dopo un tempo lunghissimo, si guardò in alto e le parve che la scala fosse ancora lunga come l’ascesa all’Everest.